Sono atterrato a Tokyo la mattina del primo aprile, ma per adesso le ho dedicato soltanto un giorno e ho trascorso il resto del tempo a Kashima e a Hitachi. Appena sono uscito dalla stazione di Ueno ho avuto la sensazione di non essermene mai andato da Tokyo e mi sono trovato subito a mio agio. Durante la prima tratta del viaggio ho stretto amicizia con un signore italiano di cinquantasette anni che da un trentennio pratica Aikido e Shiatsu. Quest’uomo era al suo terzo viaggio in Giappone e si apprestava a trascorrere la maggior parte del tempo con il suo maestro di Aikido; la nostra conversazione è stata molto piacevole e ci ha quasi fatto perdere il volo che da Helsinki ci ha portato a Tokyo ove ci siamo separati poiché egli doveva proseguire per Osaka. Il giorno seguente al mio arrivo sono andato alla Tokyo Station e dall’uscita sud di Yaesu ho preso un bus per Kashima, una cittadina che si trova a circa centocinquanta chilometri dalla capitale nipponica. Kashima non è una meta turistica ed è piuttosto piccola, tuttavia l’ho trovata gradevole e ho camminato per un bel po’ lungo le sue vie deserte. Alla stazione di questa cittadina, prima del viaggio di ritorno, ho conosciuto Cristiana, una ragazza australiana di origini danesi che doveva andare a Tokyo per prendere uno Shinkansen con il quale raggiungere Kyoto. Costei si era recata a Kashima per salutare una sua amica d’infanzia, Rebecca, che si è trasferita in Giappone per insegnare inglese e con la quale anch’io ho scambiato qualche parola prima di ripartire alla volta di Tokyo. Quando le due mi hanno visto a Kashima mi hanno salutato subito e poi spinte dalla curiosità mi hanno domandato cosa facessi da quelle parti poiché è insolito che degli stranieri vi si rechino. A proposito di Kashima Rebecca mi ha detto: “This is the real Japan”. Per ora sono riuscito a riconoscere il significato di qualche insegna, perciò la mia conoscenza di ottanta kanji (a fronte dei quasi duemila canonici) non si è rivelata vana. In questo periodo i ciliegi si mostrano in tutta la loro bellezza e riescono persino a incantare lo spirito stacanovista del Sol Levante. In passato ho scritto che non potrei mai vivere in Giappone e specialmente a Tokyo, ma adesso non ne sono più così certo. Se riuscissi a imparare seriamente il giapponese potrei valutare la possibilità di trasferirmi qua per un determinato periodo e decidere in seguito se abbandonare definitivamente la mia patria natia. Forse resterò in Italia per sempre e tornerò saltuariamente in Giappone o forse quest’ultimo ospiterà la mia futura dimora, ma in ogni caso non perderò il contatto con l’arcipelago nipponico. Al momento sono contento di non avere vincoli né legami che mi trattengano da qualche parte. Penso che la mia giovinezza non possa avere una compagna migliore della solitudine: saggia consigliera e dispensatrice di gioia. Mi sento completo e se morissi in questo momento non potrei proprio lamentarmi. Spero che al mio ritorno in Italia io possa prestare servizio nell’esercito per un anno e poi decidere come adoperarmi per il mio futuro. Ho trovato la mia definizione di libertà e mi auguro di non doverla mai correggere. Sono quasi le sei e mezza di mattina ed è ora che io scorra per le arterie urbane come un globulo senza meta.
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