29
Nov

L’ufficio stampa del governo interiore

Pubblicato sabato 29 Novembre 2008 alle 11:50 da Francesco

Penso che il titolo di questo appunto definisca bene il ruolo secondario dello spazio virtuale sul quale mi trovo a scrivere abitualmente e non sento il bisogno di precisare per l’ennesima volta il compito preminente di queste pagine. È da un bel po’ di tempo che mi sento a capo della mia vita e la gestisco come se fosse una repubblica fondata sui cazzi miei. La mia politica estera non intrattiene molti rapporti diplomatici e ha una inclinazione autarchica che contraddice il suo scopo, tuttavia mantengo ordine e disciplina nelle questioni interne. Stanzio fondi per un numero limitato di cose: dischi, concerti sporadici (poiché molti artisti che vorrei vedere dal vivo sono morti e sepolti), qualche panino occasionale al mio autogrill preferito e la benzina che consuma la mia auto per raggiungere l’autogrill succitato. Non ho un programma missilistico perché il mio pene è piuttosto ridotto, ma investo pesantemente nella ricerca di carta igienica per facilitare le evacuazioni: la sicurezza prima di tutto. Le forze armate del mio governo interiore sono in fase di ammodernamento e constano di nuovi battaglioni che risulteranno operativi entro la fine dell’anno. Ho autorizzato i finanziamenti all’apparato bellico per fronteggiare il buon senso con il quale mi scontro occasionalmente. La frequenza irregolare delle schermaglie non eslcude che la tensione salga improvvisamente. Durante un recente vertice a Topolinia il feldmaresciallo Werner von Kinder mi ha assicurato di avere in serbo grandi sorprese per il mio esercito e non ho ragione di dubitare delle sue parole.

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25
Nov

Chinese Democracy

Pubblicato martedì 25 Novembre 2008 alle 06:08 da Francesco

Ieri mattina ho percorso ventuno chilometri invece dei canonici sedici e durante la fase di ritorno il mio stomaco è stato vessato dal vento contrario, ma l’ascolto di nuovo disco mi ha permesso di tollerare con più facilità il fastidio fisico causato dalle folate. L’album a cui mi riferisco è “Chinese Democracy” che finalmente è uscito dopo una lunga attesa. Devo fare una premessa. Il mio primo disco è stato “Use Your Illusion I” che ho acquistato a Grosseto una mattina di molti anni fa durante una delle mie tante assenze ingiustificate a scuola, perciò conosco i Guns N’ Roses a menadito e non ho mai nutrito grandi aspettative nei confronti di questo ultimo lavoro che vede soltanto Axl Rose come membro della formazione originale. Alla luce di tutto questo posso dire soltanto una cosa: porco dio. “Chinese Democracy” è una delle migliori cose che abbia ascoltato da un po’ di tempo a questa parte e trovo che la voce isterica di Axl sia al top, specialmente quando la sforza così tanto da farmi immaginare che le sue corde vocali debbano spezzarsi da un momento all’altro. Personalmente non sento la mancanza di Slash, Duff, e Matt i cui album (sia con gli Slash’s Snakepit che con i Velvet Revolver) non mi sono mai piaciuti. Nonostante sia passato molto tempo dall’uscita di “Use Your Illusion II” trovo che in “Chinese Democracy” vi sia una consequenzialità con il precedente album del 1992. Le chitarre sono distinte, graffianti e Axl Rose cavalca le atmosfere futuristiche del disco con linee vocali che mi sono già entrate in testa. Forse ciò che sto per affermare può sembrare un po’ eccessivo, ma penso che Axl abbia fatto bene a uscire con il nome Guns N’ Roses perché con questo album ha dimostrato (almeno a me) che è lui l’anima del gruppo. Apprezzo tutte le tracce di “Chinese Democracy”, ma “Better” e “Madagascar” sono quelle che prediligo: sono certo che ascolterò questo disco a lungo, anche a costo di rallentare per qualche tempo la mia continua ricerca di nuove sonorità. Insomma, per me quel bastardo schizofrenico di Axl Rose è ancora sinonimo di rockstar ed è riuscito a tirare fuori quattordici tracce pregevoli, ma spero che la prossima volta impieghi meno tempo. Sebbene mi piacciano i nuovi Guns N’ Roses, voglio ricordare la formazione originale con uno dei pezzi che mi esaltano maggiormente e che il video sottostante immortala durante un live a Tokyo di sedici anni fa: “Nightrain”.

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21
Nov

Scorci immaginari

Pubblicato venerdì 21 Novembre 2008 alle 12:17 da Francesco

Un aereo di carta attraversò la finestra di un balcone e lasciò cadere le sue parole sopra un cortile affollato. L’indomani un ragazzo disertò la chiamata alle armi per i corteggiamenti della sera sabbatica e passò la notte a leggere le lettere che sua madre aveva ricevuto da giovane. La luce fioca di una vecchia lampada illuminava le parole melense di quelle missive: propositi sepolti dal tempo e legami sciolti dal logorio dell’abitudine. Per il ragazzo non fu semplice immaginare le sfumature di quello scambio epistolare poiché tutto ciò che ne restava era un po’ di inchiostro sbiadito. Accanto alle lettere si trovavano le copertine ingiallite di vinili datati: musica orecchiabile, adatta alle masse e specialmente a chi le compone con la propria unicità. In mezzo al ciarpame della soffitta comparve una nostalgia sconosciuta che non apparteneva agli oggetti né a colui che li stava esaminando. Qualche pensiero inutile vagò sotto il coprifuoco dell’attenzione. Il ragazzo ripose le lettere in un dimenticatoio di legno e uscì di casa per scriverne altre di proprio pugno. Altrove una vecchia Mercedes si fermò davanti al parcheggio di una stazione di servizio. Il guidatore tenne il motore accesso mentre il passeggero si sporse dal finestrino per richiamare l’attenzione di un uomo che stava aprendo la portiera della sua macchina. Appena l’uomo si voltò fu freddato da tre colpi di pistola. La Mercedes partì velocemente e lasciò i segni dei pneumatici sull’asfalto. I clienti e i gestori dell’area di servizio accorsero subito, ma prima di chiamare le forze dell’ordine contemplarono per alcuni secondi l’agonia della vittima. I sicari si sbarazzarono dell’auto e rientrarono nelle loro abitazioni: entrambi salutarono le rispettive mogli dopo una giornata di lavoro. In uno scantinato un ragazzino di quattordici anni rise istericamente durante la preparazione del suo cappio e quand’ebbe finito fissò la corda a una trave del soffitto. Il ragazzino salì su una sedia impagliata, indossò lo strumento di morte e con un calcio allontanò le quattro zampe del suo patibolo. Dopo un paio d’ore la madre scoprì il suicidio del figlio e non disse nulla per quasi un minuto, ma alla fine lanciò un grido che anticipò il suo svenimento.

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17
Nov

Piccola storia informatica

Pubblicato lunedì 17 Novembre 2008 alle 18:38 da Francesco

Devo molto all’informatica perché mi ha permesso di ampliare le mie conoscenze e di organizzarle. Non sono un sistemista né un programmatore, ma in questo campo mi piace definirmi un “power user”. Il mio primo computer è stato un Commodore 64, ma da piccolo ero più attratto dai videogiochi che dal BASIC, inoltre in edicola uscivano intere raccolte di giochi sulle celebri cassette che rendevano il mio interesse unidirezionale. Mi sono dilettato con questo mostro sacro per diversi anni e non ho vissuto l’era delle console a 16 bit, ma alcune pietre miliari di quell’epoca le ho vissute in seguito grazie all’emulazione. Dalla metà degli anni novanta in poi ho avuto un 486, un Pentium a 100MHz che portai a 133MHz muovendo i jumper, un Pentium III a 500Mhz e un Pentium IV a 1,7GHz a cui è seguito il mio primo (e ultimo) avvicinamento ad AMD. Durante la fine dello scorso millennio non ero interessato alla conoscenza della macchina che avevo di fronte, ma la utilizzavo per dilettarmi con i videogiochi. La prima connessione l’ho avuta a cavallo tra il 1998 e il 1999, ma già un anno prima avevo avuto l’occasione di accedere brevemente a Internet. Nei primi tempi dovevo connettermi con un 56K al nodo di Firenze, perciò non potevo stare online più di tanto. Il primo contatto con Internet alimentò la mia curiosità e cercai di comprenderne subito i meccanismi. È stato un effetto a catena e nell’arco di alcuni anni ho accresciuto il mio bagaglio culturale. Alla fine degli anni novanta il Web era molto diverso da com’è oggi. I siti erano meno dinamici e io stesso ne ho realizzati parecchi per diletto ricorrendo all’uso deplorevole dei frame. Il file sharing stava esplodendo con Napster e parecchi internauti preferivano ancora la rete Irc o ICQ agli odierni capisaldi dell’instant messaging. Ricordo che entrai in contatto con un tizio che vendeva videogiochi masterizzati per la prima PlayStation e da lui effettuai il mio primo acquisto attraverso Internet dato che ero smanioso di avere ogni cosa che girasse sulla console di Sony. A proposito, quello era il tempo delle prime modifiche per la PSX e i CD vergini costavano un occhio della testa e nel migliore dei casi venivano masterizzati a 4x mentre il prezzo della copia di un gioco oscillava tra le 5000 e le 10000 lire. Ricordo che il tipo in questione si faceva chiamare Master PlayStation e informava tutti i suoi clienti sulle ultime novità con una newsletter che aspettavo sempre con trepidazione: grazie a lui feci pervenire nella mia cittadina giochi che altri non avevano e divenni una sorta di leader in questo traffico bambinesco a cui compartecipavano altri ragazzini della mia età. Il Web era ancora un po’ scarno, ma penso che allora fosse più vivibile poiché la new economy era ancora allo stato embrionale e tanti espedienti pubblicitari non erano invasivi come lo sono oggi. Dopo un po’ di tempo mi avvicinai al mondo di Linux e ricordo che la prima distribuzione che installai fu Mandrake, dalle cui ceneri è nata l’odierna Mandriva. Provai anche RedHat e altre distribuzioni minori: insomma, mossi i primi passi nel mondo UNIX-Like. Lessi alcuni libri di informatica sul C e sul TCP/IP. In precedenza avevo letto e scritto programmi molto semplici in Pascal, ma fu il C che mi aprì la mente. Lo studio del TCP/IP mi è servito per comprendere il funzionamento delle reti sia in locale che in remoto mentre con la pratica del C ho compreso in modo più approfondito il funzionamento di un computer. Tante nozioni le ho perse perché non le ho ravvivate con l’allenamento e non mi perdonerò mai di non essere stato all’altezza di perseverare nello studio del C fino al tema dei socket (per levarmi lo sfizio di creare semplici applicazioni da usare in rete). Ho smanettato anche con il PHP e il MySql, ma soltanto per modificare script già fatti. Ho scritto qualcosa da zero, ma in tutti i linguaggi il mio codice è sempre stato pesante e privo di ottimizzazioni. In ogni caso quanto ho studiato per diletto non è stato inutile e mi permette ancor oggi di risolvere da solo ogni problema di software o di hardware che mi si presenti. Qualche mese fa ho montato il mio PC attuale in un case cubico di dimensioni ridotte, il NSK1380 della Antec. Sono ricorso a una scheda madre micro ATX della ASUS sulla quale ho deposto il E2160 della Intel, una GeForce 8400 e due banchi di RAM da un 1GB l’uno con clock a 800MHz di cui al momento mi sfugge la latenza. Non è certo una configurazione adatta per sbancare un benchmark, ma è più che sufficiente per i miei fini. Non mi piace la rincorsa all’hardware e per i videogiochi preferisco adoperare una console, inoltre il mondo di Linux mi ha insegnato che per un hardware meno recente la compatibilità è più probabile: risparmio e prestazioni. Dopo un anno su Ubuntu ho deciso di cambiare distribuzione e adesso sono un nuovo utente di Arch (che avevo già sperimentato qualche mese fa sul mio laptop). Adoro Arch perché permette di installare solamente ciò che si vuole, inoltre trovo che pacman sia un gestore di pacchetti eccezionale, a mio avviso superiore ad apt. Mi piace la pulizia e l’ordine. Oltre al cambio di distribuzione ho deciso di usare anche un altro desktop environment e sono passato da GNOME a KDE4. Ho apprezzato molto GNOME per il suo minimalismo, ma ho deciso di passare a KDE4 perché le mie applicazioni preferite sono legate a quest’ultimo e voglio vederle integrate senza stratagemmi (workarounds per gli esterofili). È divertente giocare con Compiz e gestire la propria musica con Amarok (a mio avviso il miglior programma della sua categoria), ma la verità è che mi piace vedere una macchina la cui efficienza dipenda esclusivamente dall’utente. Non sono un integralista e sul menù di GRUB c’è anche un sistema operativo di Microsoft. Ho installato Windows XP su una seconda partizione e ho utilizzato la licenza OEM del mio laptop (sul quale non l’ho mai adoperata) per accedere agli aggiornamenti. Per me XP è un sistema affidabile e lo utilizzo di tanto in tanto, ma senza la licenza di cui sopra non lo avrei mai installato: non lo avrei mai acquistato perché ritengo che la versione retail sia un furto e non avrei mai installato nuovamente una sua copia perché ho bandito il software pirata dal mio PC. A chi si avvicinasse al mondo dell’informatica non consiglierei mai di installare una distribuzione Linux. Credo che il mondo dell’open source debba ancora fare molti passi a livello di desktop per essere accessibile ai neofiti. Questa è la mia piccola storia informatica e sono contento di averla annotata qua in mezzo: un pesce fuor d’acqua. Potrei spendere altre parole su Usenet, sull’evoluzione del peer-to-peer e potrei citare qualche aneddoto divertente per lanciarmi in una disquisizione a metà tra informatica e sociologia, ma mi dilungherei troppo e finirei per essere dispersivo e prolisso. In futuro potrei annotare qualcos’altro su questo tema, ma per adesso va bene così. Un’ultima considerazione la devo rivolgere alla fortuna che ho avuto a nascere nel 1984, infatti la mia crescita individuale ha combaciato con l’esplosione di Internet, perciò ho potuto seguire la sua evoluzione con un tempismo perfetto. Voglio chiudere con una battuta vecchia che gira ancora in varie versioni: “Con un computer e con la vita basta usare brain.exe”.

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15
Nov

Le fusa

Pubblicato sabato 15 Novembre 2008 alle 02:27 da Francesco

Non sono cagionevole e mi ammalo di rado, ma da alcuni giorni la sinusite e il raffreddore mi costringono a stare tra le mura domestiche. È quasi una settimana che non vado a correre e mi manca l’endorfina che sono abituato a guadagnare a forza di falcate. Dopo una lunga pausa ho ripreso a scrivere il seguito de “La Masturbazione Salvifica: Diario Agiografico Di Un Onanista”, ma finora ho steso soltanto sette pagine: questo dato conferma quanto ho annotato qualche giorno fa a proposito della mia carenza creativa. Per fortuna scrivo per diletto e dunque posso concedere tempi biblici alla redazione dei miei manoscritti. Mi sento bene nonostante la mia mucosa nasale non sia in perfetto stato e respiro il mio benessere nel ventre delle circostanze interiori in cui mi trovo: una condizione che non può essere sottoposta agli esami clinici. Talvolta la frequenza con la quale incorro nei paradossi mi spinge a chiedermi se io mi abbassi a piegare certe idee alle mie esigenze, tuttavia l’entusiasmo che deriva dal mio vuoto positivo produce effetti ricorrenti e reali. Non sono circondato soltanto da sensazioni piacevoli e indipendenti, ma attorno a me orbitano anche dei felini. Sono cresciuto in mezzo ai gatti e conosco l’odore del loro piscio. Fino a qualche anno fa avevo un gatto persiano di cui adoravo l’espressione e l’indolenza e lo ritenevo il capo silenzioso dei suoi quattro compari. Ho avuto anche due cani, un pastore tedesco e un pastore maremmano, ma preferisco i gatti e in particolare i gatti persiani. Non ho mai idealizzato gli animali e non ho mai creduto che le bestie fossero migliori degli esseri umani. Vivo da poco con due nuovi felini che ho battezzato Eisenhower (il maschio) e Mata Hari (la femmina).

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8
Nov

Sessione proficua

Pubblicato sabato 8 Novembre 2008 alle 01:46 da Francesco

Talvolta ho la sensazione che la mia introspezione mi abbia lanciato velocemente verso alcune barriere personali e suppongo che la sua spinta vigorosa mi abbia permesso di superarle. Non temo il dolore interiore e plaudo ancora allo stato atarassico in cui versano beatamente i miei recessi. Nel corso della mia vita non ho mai subito sofferenze rilevanti, ma in passato le mie valutazioni erronee mi hanno indotto a ingigantire le conseguenze di alcuni episodi che rappresentano quasi delle tappe obbligatorie nella crescita di una persona. Sono ancora giovane e ho tutto il tempo per penare, ma non penso di dedicarmi a questa pratica masochistica poiché non rientra nella mia indole. Il mio benessere scaturisce dall’assenza di bisogni impellenti. Non mi serve denaro: spendo poco. Non ho bisogno di sesso: non mi attrae la carnalità senza il collante affettivo e liquido i miei impulsi sessuali con la masturbazione. Non mi occorre l’approvazione di terzi né un attestato di stima: produco personalmente queste suppellettili dell’Ego. Trovo banali le trasgressioni perché penso che possano essere ritenute tali soltanto da coloro che subiscono consciamente o meno l’influenza del retaggio cattolico o di qualche struttura dogmatica che presenti caratteri analoghi. Intendo dire che affinché una trasgressione sia tale, ci devono essere regole morali da infrangere e io ho sradicato tutto questo abbastanza precocemente. Non ho una forma di autorità contro la quale ribellarmi e non avverto la necessità di sovvertire qualcosa o qualcuno. Mi trovo in una condizione che non mi spinge a raggiungere i capisaldi dell’appagamento comune e ritengo che questo stato in alcuni individui possa celare una depressione profonda qualora abbia la convalida dell’apatia, ma io mi mantengo occupato e non sento pressioni né pesi. Se il mio umore fosse cupo io non riuscirei a svolgere alcuna attività fisica: posso fare un’affermazione di questo genere perché conosco le reazioni del mio corpo. Ho l’impressione che la mia verginità si stia trasformando in una sorta di atteggiamento asessuato e credo che questo possa essere un po’ pericoloso. Il mio desiderio di estraniarmi da me stesso per tutelarmi e conoscermi non deve minare le mie potenzialità affettive. Cerco sempre di guardare le mie azioni da due punti e svolgo questo compito in tre fasi. Prima provo a guardare i miei gesti come se non fossero miei, poi levo questa sorta di filtro imparziale (imparziale per quanto possibile, ovviamente) e infine mi osservo nuovamente da lontano come uno spettatore estraneo alle mie circostanze. Ormai tutto questo mi appare banale e in parte semplice poiché ho sviluppato una certa confidenza con me stesso. Non penso che le mancanze affettive possano compromettere la mia esistenza, ma devo ammettere che un tempo avevo paura che l’assenza di certe sensazioni potesse farmi diventare un handicappato sentimentale. Mi rendo conto che posso apparire freddo e distaccato, tuttavia ho un lato passionale che non emerge mai poiché finora non ho mai avuto e non mi sono creato le occasioni per portarlo in superficie. Mi farebbe comodo nascondere certe cose se temessi i miei giudizi, ma trovo che il pubblico ludibrio (in cui io sono il pubblico che deride se stesso) sia un banco di prova fondamentale. Non voglio celare nulla. A me piace essere trasparente e non mi tiro mai indietro dai miei monologhi né dalle conversazioni. Non sono un esibizionista, infatti ho sempre mantenuto un comportamento discreto e un profilo basso. Non apprezzo coloro che cercano alleanze, attenzioni o stimoli, ma capisco che possano sentirne la necessità. Per me le premesse sono fondamentali e come ho già scritto altre volte mi disgusta qualunque rapporto personale che nasca dal bisogno: lo trovo innaturale. Alcuni organismi possono sviluppare una grande tolleranza nei confronti di determinate sostanze e credo che il mio carattere abbia seguito un percorso analogo, infatti riesce a tollerare l’assenza di alcune soddisfazioni che paiono indispensabili a un numero rilevante di persone. Il mio compito è mantenere l’equilibrio tra la grazia del mio benessere interiore e le mie potenzialità affettive e per adesso non ho difficoltà a bilanciare queste due entità. Non è facile adoperare le parole per spiegare a me stesso ciò che intendo, ma io posso comprenderlo ugualmente perché lo vivo. Alcune volte vorrei smettere di crogiolarmi nelle mie conquiste interiori, ma per redigere bollettini funesti dovrei trovare un po’ di disperazione autentica e dubito di poterla rimediare senza una macchina del tempo.

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5
Nov

The land of opportunity

Pubblicato mercoledì 5 Novembre 2008 alle 22:16 da Francesco

La scorsa notte ho fatto la spola tra Sky TG 24 e la CNN per seguire l’ascesa di Barack Obama. Le elezioni statunitensi non hanno riservato sorprese, ma a mio avviso hanno suggellato un cambiamento inevitabile nel clima internazionale. Non sono interessato all’aspetto politico di questo evento, ma ne apprezzo la forma mediatica. Gli analisti politici sono una razza molto prolifica e tra questi annovero anche coloro che si illudono di esserlo. Non so cosa faranno Barack Obama e il suo staff, tuttavia che gli Stati Uniti e il mondo traggano beneficio da questa elezione o che scoppi un nuovo conflitto mondiale, a me fa piacere che un negro vesta i panni dell’uomo più potente del mondo. Qualcuno userebbe termini come “afroamericano”, “nero” o “di colore” per indicare il neopresidente, ma io trovo che soltanto il primo di questi termini sia corretto quanto quello che ho utilizzato poc’anzi. Il termine “nero” è adoperato per edulcorare la parola “negro” che talvolta in italiano assume un valore dispregiativo, però non ho mai gradito questo compromesso pro forma e ho utilizzato sempre il secondo vocabolo nonostante generi accuse di razzismo. Sono un filoamericano perché apprezzo molti aspetti che appartengono alle contraddizioni statunitensi e non ho mai provato avversione nei confronti del braccio armato di Washington che in parte si estende anche in Italia, ma allo stesso tempo ho sempre ritenuto ridicole le espressioni maccartiste di qualche yankee esaltato. Non cerco l’oggettività al di fuori dell’introspezione poiché non ho i mezzi per dar corpo a delle affermazioni assolute e non mi stancherò mai di sottolineare questa mia prudenza valutativa, ma credo che una superpotenza non consegua un tale titolo soltanto per i suoi meriti bellici.

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1
Nov

Lievemente criptico

Pubblicato sabato 1 Novembre 2008 alle 23:36 da Francesco

Si parla di parlarne, ma non serve a granché se non a sgranchire la lingua tramite la fonazione. Un grillo mi comunica che qualcuno ha fatto qualcosa a qualcun altro, ma io non presto orecchio alle cronache degli analfabeti e mi domando dove sia finito l’insetticida. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, perciò è normale che talvolta uno si senta gasato come un ebreo d’altri tempi. Qualche word play lede il politically correct secondo i futuri diplomatici che annacquano la loro lingua con gocce d’oltreoceano. I cacciatori di taglie cercano novità tra le forme XL, ma sanno che presto dovranno cambiare mestiere. Le donne non si toccano neanche con un fiore e io non l’ho mai sfiorata una neanche con le dita, ma pare che alcune di loro apprezzino gli alcaloidi dei papaveri. Il tempo passa e qualcuno lo investe sopra strisce psicotrope: la mia speranza è che gli venga ritirata la patente e la licenza di vivere. Le leccate di culo mantengono il clima umido. Le opinioni valgono in base alla popolarità di chi le sostiene e alla luce di questo non si può turbare il sonno della ragione: signora, lei quante ne vuole? Mio figlio è laureato. Mio figlio è sposato. Mio figlio lavora in quel posto. Sua figlia, invece? Lei ha figliato. Futuro interlocutore, tu che sta al di là delle previsioni, mi chiederai cosa ne penso e io ti risponderò con un congiuntivo e qualche aggettivo ricercato. Non va mai bene un cazzo. I ragazzi fanno un gioco di squadra, ma gli squadristi non sono ammessi: milord, questo è razzismo. Lettere di raccomandazione e lettere di disperazione: “Caro Gastone, io le scrivo perché un brav’uomo non arriva alla fine del mese, ma per la droga di Stato ha sempre qualche lira da spendere”. Che si faccia appello alla natura affinché aumenti l’altezza media per consentire alle persone di vivere al di sopra delle loro possibilità. Il cartello all’ingresso era abbastanza chiaro: “Non si può entrare tutti sul podio”. Chi sta sopra le righe finisce nelle liste di prescrizione che vengono redatte da schiavi autoctoni, ma differenti livelli di ironia e indifferenza si occupano di queste inezie con una pulizia etnica degna del feldmaresciallo Mastro Lindo. Le colpe sono sempre degli altri e si scarica il barile per solidarietà: mal comune mezzo gaudio. Siano maledette le mie mani per i refusi che producono e siano perdonate per le correzioni che apportano: Muzio Scevola non avrebbe potuto dire altrettanto. Per me un dio antropomorfo è un dio bastardo e allora che ogni simulacro si goda questo epiteto. Voglio chiamare le cose con il loro nome e voglio scrivere ogni nome come è stato scritto in origine. Amen mon ami, se mi si consente il francesismo. Le lettere fuggiasche devono essere rintracciate e rimpatriate: il loro surplus deve essere eliminato per evitare una catastrofe malthusiana.

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