Di tanto in tanto m’interesso alle questioni nazionali e globali, ma non riesco sempre a capirne il motivo. Probabilmente ho un po’ di senso civico che subisce le stimolazioni dei bombardamenti mediatici, ma ipotizzo che anche un certo grado di empatia concorra a dirigere la mia attenzione verso talune tematiche. Sono ancora giovane, però nel migliore dei casi potrei vivere per altri sessant’anni e dubito che in quest’arco di tempo avrò modo di fare figli, di conseguenza potrei fregarmene completamente delle sorti di questo pianeta; allora cos’è che mi spinge a sentire un certo disagio dinanzi al suo disfacimento? Forse è il senso di colpa per lasciare in disordine un luogo in cui sono stato ospitato: diamine, un po’ di creanza! Ovviamente porre l’interesse su certi argomenti non produce in modo automatico un mutamento nei medesimi, tuttavia la presa di coscienza la reputo già qualcosa, specialmente quand’essa vada a sommarsi a molte altre.
La storia ha bisogno di tempo sia per cambiare il proprio corso che per ripetersi, ma la durata di una vita umana spesso è troppo breve per assistere alla chiusura dei cerchi. Può condurre alla pazzia la ricerca di un senso per le disuguaglianze ed è anche per questa ragione che io metto un freno alla mia empatia. Immagino che nel desiderio di un mondo migliore si annidi anche una speranza di accrescimento personale, come se quest’ultima necessitasse di un mascheramento quasi filantropico per farsi accettare all’interno di certe sensibilità: io mi reputo troppo lucido per imbellettarla e così l’accolgo nella forma di un egoismo illuminato.
A tempo debito voterò per il Movimento Cinque Stelle
Pubblicato giovedì 26 Aprile 2012 alle 23:58 da FrancescoIn questi tempi per gli imbianchini è facile riunire delle persone nelle birrerie, compresi gli astemi come me, ma non credo che Grillo rientri in questa categoria. Io mi considero un astensionista consumato, difatti in tutta la mia vita ho votato soltanto una volta alle elezioni comunali per una lista che doveva perdere, tuttavia sarebbe stato meglio se anche quella vincente fosse stata sconfitta. Nella politica italiana non ho mai trovato una formazione né un singolo candidato in grado d’invogliarmi a raggiungere le urne. Ho sempre vissuto il qualunquismo un po’ come una sconfitta e un po’ come l’unica strada praticabile assieme alle iniziative referendarie.
A livello umano ho provato simpatia per Silvio Berlusconi e difatti mi piacerebbe frequentarlo per ascoltarne gli aneddoti, ma la politica di quest’ultimo dopo il fascismo, la Democrazia Cristiana e Craxi la reputo una delle più grandi disgrazie mai calatesi in Italia. Più volte ho apprezzato delle iniziative dei Radicali Italiani e in due occasioni ho firmato ai loro banchetti sgangherati, tuttavia non sono mai riuscito a condividerne le posizioni sulla giustizia. Per breve tempo ho pensato di votare per l’Italia dei Valori, però ho finito per considerarlo un partito a conduzione familiare che inoltre ha avuto la colpa di dare i natali a personaggi come De Gregorio, Scilipoti e Razzi. L’Unione di Centro per quanto mi riguarda dovrebbe scomparire assieme al Partito Democratico e ai fascistelli redenti. Sulla Lega Nord non c’è manco da spendere troppe parole; l’ho sempre considerata una formazione di ignoranti e xenofobi che ha fatto il suo tempo con una sola cosa sempreverde: la pochezza. Per quanto riguarda Sinistra Ecologia Libertà invece mi limito a due dettagli: la sanità in Puglia e la dialettica stucchevole di Vendola.
Mi sono fatto violenza e ho provato ad ascoltare i politici italiani perché oggi l’astensionismo è la mossa più facile a cui ricorrere, ma probabilmente non è quella più efficace. Fatta eccezione per Grillo e i suoi collaboratori, non ho trovato nessun altro in grado di parlare la lingua della gente. Quel vecchio di Giorgio Napolitano è un po’ come il Papa: le loro cariche sono inutili ed entrambi declamano banalità sconcertanti con un sussiego ridicolo. Mi ha stupito come il Presidente della Repubblica, seppur non esplicitamente, abbia tentato di liquidare Grillo come demagogo.
In realtà il Movimento Cinque Stelle non è incentrato attorno alla figura del comico genovese e questa è soltanto funzionale per l’attenzione mediatica. Le idee di questo movimento sul debito pubblico, sulle questioni energetiche, sui tagli alla spesa pubblica e sulle grandi opere non sono le sparate di un demagogo, non sono le fiammate di un populista, ma appartengono a persone di cui Grillo è soltanto un megafono dal quale esce una comunicazione potabile.
Per una volta ho udito qualcuno della scena politica senza provare imbarazzo per lui, ma ho anche preso atto della coerenza dimostrata dal movimento in merito agli stipendi dei consiglieri regionali e al rifiuto del finanziamento pubblico: per qualcuno sono quisquilie, per me invece sono buone premesse. Io non mi aspetto che i grillini siano la panacea di tutti i mali, anzi, non escludo che possano rivelarsi peggiori di tutti gli altri messi assieme, ma per adesso sono convinto a sostenere le loro iniziative: in altre parole, mi sento pronto a correre il rischio di provare in seguito un retrogusto spiacevole. Mi azzardo a votare e spero che accada in Italia ciò che non è successo in Francia con Coluche.
Purtroppo sono consapevole di come parte delle questioni italiane siano sovranazionali, perciò mi auguro un ritorno al potere dei progressisti in buona parte dell’Europa. Vorrei davvero stare lontano da argomenti simili, ma non riesco proprio a staccarmene in toto.
Sabato mi sono recato in quel di Prato per assistere al concerto più epico della mia vita, ovvero quello dei Domine. Sul palco dell’Exenzia la band fiorentina ha proposto il power metal per cui è nota in tutto il mondo da tempo. Morby è un cantante fuori dal comune e non me l’aspettavo così devastante! Non avevo mai udito tanta potenza nella voce di un essere umano e non ero mai stato investito da acuti così poderosi. Ho avuto modo di vedere da vicino Enrico Paoli sulle sei corde e anche il suo modo di suonare, fedele ai pezzi incisi, mi ha esaltato moltissimo.
Ho registrato vari filmati che ho provveduto a caricare sul mio canale di YouTube. Durante il live sono stati suonati alcuni dei classici della discografia del gruppo, tuttavia mi sono esaltato a livelli stellari quando è partita The Messenger in quanto è uno di quei pezzi che non di rado mi accompagna durante le sessioni di corsa: averla ascoltata con così tanta potenza mi avrebbe rimesso al mondo anche se mi fossi presentato cadavere! Quando è partita Defenders mi sono ritrovato in una disposizione d’animo tale da colonizzare l’universo. Ho cantato ogni volta che Morby ha offerto il microfono al pubblico e sul video succitato si può notare.
Anche durante Another Time, Another Place, Another Space mi sono gasato ad un livello che mai avevo esperito durante un concerto! Ho provato lo stesso grado d’esaltazione quando è partita la classica Thunderstorm. Dovrei citare anche The Ship of the Lost Souls, “Ascending Icarus” e Dragonlord. Una menzione particolare la voglio riservare ad un pezzo al quale sono legato moltissimo, ovvero The Ride of Valkyries, che contiene una chiara citazione di Wagner anche nella parte strumentale.
Alla fine del concerto ero pronto per eseguire un colpo di stato: sprizzavo epicità da tutti i pori. Ho imparato che ai Domine non occorre un servizio d’ordine, dato che a Morby basta fare un acuto per spingere indietro la gente; tra l’altro non escludo un suo possibile impiego nel ramo delle demolizioni!
Per il mio terzo libro ho ricevuto alcuni rifiuti e delle proposte di pubblicazione a cui non intendo manco rispondere. Probabilmente non sono un grande scrittore, ma secondo notizie ancora non confermate l’asse terrestre non dovrebbe risentirne.
Il quarto libro non è ancora partito per farsi conoscere nei migliori distaccamenti della raccolta differenziata, però a tempo debito credo che anch’esso prenderà il largo per finire nel limbo del self-publishing (viva gli anglicismi, viva la regina!): stessa sorte toccherà allo scritto precedente. Qualcuno mi ha affibbiato l’etichetta di intellettuale perché qualcun altro gli ha riferito che mi piace leggere e scrivere: ah, queste arti occulte a cui si viene iniziati durante i pleniluni della prima elementare! Che siano positivi o negativi, non è raro che i giudizi di taluni si fondino sulle apparenze e sulle dicerie. Gli sbagli altrui mi hanno insegnato a non fregiarmi d’una reputazione che non abbia attinenza con la realtà dei fatti. Non mi lascio sedurre dalle lusinghe immotivate come certi bambini che attendono sempre l’incoraggiamento degli adulti, o viceversa.
In egual misura non bado neanche ai giudizi di tutt’altro tenore. Cerco di valutare me stesso nel più obiettivo dei modi proprio per sopperire all’inattendibilità delle opinioni altrui, ma talvolta ne farei volentieri a meno. Conosco persone che non sono mai soddisfatte del loro operato, altre che invece si sopravvalutano perché vivono in un ambiente ovattato, prodigo di complimenti e in cui lo sforzo conta più del risultato. Dal basso dell’ingenuità e della credulità piovono millanterie, condanne in contumacia, aspettative, promozioni e retrocessioni: le nipotine delle superstizioni. Non devo diventare nessuno, non ho ambizioni da rincorrere e scrivo con la stesso tatto che adopero per masturbarmi: schizzo a margine, io! L’esistenza di qualcosa di solito inizia con la sua creazione, mica con la sua fruizione: anzi, quest’ultima è del tutto trascurabile.
Non riesco a immaginare cosa sarebbe stato di me se non avessi avuto la fortuna e la capacità di attingere a piene orecchie da fonti musicali diametralmente opposte. Ho compreso sulla mia pelle quanto possa incidere il suono sulla tenuta della volontà. Non è la prima volta che affronto questo argomento, ma ogni tanto mi piace rinnovarne la sottolineatura.
L’autarchia emotiva da cui sono ancora governato, in parte per scelta e in parte (quello che uno yuppie a suo tempo avrebbe indicato come fifty-fifty) per l’attuale mancanza di un‘alternativa, conta su energie che mi derivano in una certa misura dalla ricezione di sonorità la cui efficacia è dettata dalle loro differenze. In realtà non ho vinili e dati digitali, ma giacimenti di metano grazie ai quali m’illumino d’immenso. Mi definisco melomane per scherzo, tuttavia non credo di esserlo davvero: ho semplicemente trovato e approfondito una forma sostitutiva di accompagnamento. Non mi preme raccogliere giudizi positivi, pacche sulle spalle, parole di conforto, manco avverto la necessità di partecipare a manifestazioni collettive d’isteria né tanto meno provo il bisogno assai diffuso di sentirmi parte di qualcosa: l’ascolto musicale per me svolge questo ventaglio di funzioni ed è uno specchio sonoro da cui talvolta riesco finanche a trarre spunti introspettivi. Perché in determinati momenti o periodi ascolto certa musica? Da cosa dipende la disposizione d’animo a preferire alcuni generi ad altri in un certo arco di tempo e come si pone l’ascolto della stessa cosa in circostanze diverse? La fruizione di un album in casa può essere differente dall’ascolto del medesimo in una strada affollata di gente, durante attività fisica o in seguito a determinati eventi. Non sono un musicista né un critico, però ho un legame profondo con la musica perché nel mio microcosmo rappresenta una risorsa capitale e costituisce qualcosa di diverso da una serie di preferenze di cui comunque mi piace disquisire. Potrei dilungarmi e scendere in dettagli ed esempi ulteriori, ma per adesso preferisco sentirmi uno dei miei pezzi preferiti di uno dei miei gruppi preferiti, “The Evil That Men Do” degli Iron Maiden (nel cui nome mi rivedo per ovvi motivi): a ‘sto giro mi piace vincere con estrema facilità.
Mi piace la lucidità che traspare dalle mie parole. Adoro oltremodo le critiche che muovo a me stesso perché non le esacerbo più del necessario. Faccio le veci d’ogni interlocutore e mi sforzo di essere talmente munifico da anticiparne i pensieri.
Poco importa che le mie esternazioni siano truculente, oniriche, ben ponderate o parzialmente poetiche: in ogni agglomerato di parole vergato dal sottoscritto scorgo, in misura variabile, degli esercizi di attenzione. Non mi areno nella forma, non ho la caratura dell’esteta letterario e non è neanche mia velleità conseguirla, ma punto al mantenimento della lucidità, fino al parossismo. Voglio incatenarmi alla realtà in segno di protesta contro quanto cerchi di negarla; mi sento del tutto libero quando avverto i legacci dell’autenticità e non è sufficiente un paradosso banale per spiegare ciò che provo. Le definizioni hanno poca importanza in contesti così autoreferenziali. Se fossi autodistruttivo avrei dei seri problemi a trovare un modo efficace per piegarmi, perciò sono contento di possedere le carte in regola per transitare in sfere del pensiero più adeguate alla mia indole. Defletto e rifletto quando accade nel mondo e dentro di me. Sporadiche cadute e motti di spirito sono i segni della mia umanità, limiti tangibili che abbraccio fortemente perché non voglio aggrapparmi a delle ideazioni che distorcano il reale, a meno che non dimostrino di poterlo estendere. Non corro il rischio di essere un pioniere di qualche cosa e di conseguenza posso dormire tra due guanciali senza agognare di pormene un terzo sul volto fino alla cianosi.
L’ennesimo panegirico dell’esecuzione sommaria
Pubblicato venerdì 13 Aprile 2012 alle 21:20 da FrancescoInvece di farsi violenza, le persone che non hanno più nulla da perdere dovrebbero rivolgere le armi contro i governanti. Penso che nulla cambierà in Italia né altrove fino a quando i suicidi non si trasformeranno in omicidi di politici e plutocrati o dei congiunti di queste categorie. Le mie parole sembrano quelle di un brigatista, tuttavia io sono molto lontano da qualsiasi utopia vermiglia. Credo soltanto nella violenza poiché questo mondo non è ancora capace di parlare altre lingue. Il senso d’impunità è una delle più grandi nefandezze di cui può rendersi colpevole una democrazia immatura. Ogni persona che decide di vivere ha qualcosa da perdere e quelle a cui non importa più nulla di respirare non sono motivate ad agire con l’efferatezza necessaria. Se fosse possibile finanzierei e appoggerei moralmente un’organizzazione terroristica in grado di colpire i piani alti, senza mietere vittime innocenti, ma purtroppo una prospettiva del genere esula dalla realtà e può essere ascritta in parte alle fantasie di un Super-Io che brama rivincita. Le parole non possono nulla, a meno che dopo un omicidio non giungano per posta agli infami di turno, possibilmente tagliate dai giornali e incollate su un foglio di carta per dare ragguagli in merito alle piogge di piombo. La grande colpa dei totalitarismi non è stata quella di ricorrere ai campi di sterminio, ma di rinchiuderci degli innocenti; se quella ferocia fosse stata usata contro i pezzi di merda allora anche l’idolatria del dittatore di turno avrebbe potuto trovare una ragione. Per me la democrazia è una truffa. Sostengo un dispotismo illuminato, tuttavia mi rendo conto di quanto quest’ultimo sia difficile da mantenere più che da instaurare: il passo da Federico II di Prussia a Caligola può essere molto breve.
In merito a temi del genere tendo a ripetere le stesse cose, manco fossero dei mantra oscuri, però conto sempre di smettere prim’ancora che la morte mi faccia la grazia di tacermi su cotanta prosaicità. I miei sfoghi un po’ forbiti contengono intenzioni reali che non sanno concretizzarsi perché io sono ancora attaccato alla vita, tuttavia, per quanto possa valere, appoggio almeno moralmente chiunque stia architettando lo spegnimento anticipato di qualche esistenza infame. La violenza è la risposta sbagliata e dovuta a chi non si pone delle domande; in ogni caso io preferirei che eventi inaspettati mi dimostrassero il contrario, fino al punto di farmi pervadere da un senso di profondo infantilismo in seguito ad un’eventuale rilettura di questo appunto.
Il mondo è fantastico perché è diviso in due parti: in una comandano le armi e nell’altra i capitali che ne permettono la fabbricazione. In questo cazzo di delirio fatto di piombo e indici borsistici la vita umana è messa all’indice, in senso stretto come i cappi che puntualmente vengono tirati fuori per i cambi di stagione. Qualcuno s’illude che basti trasferirsi da qualche altra parte per sfuggire alle logiche di un capitalismo sregolato, alfiere di una tirannide che ha troppi simboli e troppe facce per stagliarsi chiaramente in questi anni crepuscolari; forse un posto al sole lo si può trovare in Corea del Nord, almeno nei giorni in cui il cielo non è ottenebrato dal grigiore. Non sono un sadico e non mi piacciono le lunghe agonie, di conseguenza spero vivamente che tutto il sistema salti in aria al più presto, che il denaro diventi cartastraccia su cui scrivere inni orfici e che nelle banche i sistemi di sicurezza non abbiano più ragione di rimanere in funzione. Non m’interessano le questioni politiche e non me ne frega un cazzo degli scandali di un partito che per anni ha puntato le dita xenofobe contro le facce nere quando invece sono stati i colletti bianchi a incubare la pandemia finanziaria di cui oggi quasi tutti possono sentire l’effetto anale. La legge elettorale può interessare soltanto a degli psicotici: il problema sono le persone, non il modo in cui queste assurgono al potere.
In una cornice così funebre, dei miei conoscenti disquisiscono di questioni sportive, forse per evadere dalla realtà o forse per pochezza inveterata, tuttavia mi tengo a debita distanza da gente di tal fatta perché non voglio udirne le diatribe da emittente regionale né tanto meno le immedesimazioni da telecronisti. Non scado affatto nella retorica delle priorità, bensì manifesto un’aperta insofferenza nei confronti delle cazzate che vengono spacciate per questioni di Stato. Da quant’è attuale “Panem et circenses” potrebbe essere un singolo di Lady Gaga: ho ragione di credere che in futuro per me sarà difficile compiere un accostamento altrettanto aberrante. Sogno un taglio quasi completo della spesa pubblica, la dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato per una cifra pari al debito sovrano e l’insorgenza di condizioni tali che palesino la convenienza ad abbandonare la moneta unica: ah, il fascino oversize delle utopie! La storia non serve a nulla: tanto vale impiegare quelle ore di lezione per portare gli alunni all’aperto, almeno in primavera. Che il Sole anticipi l’abbrustolimento di questo pianetino. Tutto si ripete, sempre.
Sono il testimone disinteressato di un’epoca decadente, ma non mi lascio contagiare dal tenore della cronaca né dalle esperienze oniriche. Mi difendo dall’afflizione su due fronti: quello esterno e quello interiore. Da parecchi mesi non riesco a ricordare i miei sogni, ma quasi in tutti i risvegli trovo residui di mancanze affettive. Sono abituato a rinvenire tracce del genere nei miei pensieri e nelle mie azioni, ma ormai ho abbastanza perizia per maneggiarle senza farmi male.
Rassicuro sempre l’inconscio che quell’assenza non durerà ancora molto, ma evidentemente egli non mi crede più poiché glielo ripeto da quindici anni e di conseguenza scalcia dove può, ovvero nella psiche, quando la lascio aperta sul cuscino, di fianco alla calma. Se io fossi più stupido del necessario probabilmente lascerei a briglia sciolta le inquietudini consequenziali e mi forzerei a stringere una relazione insincera pur di chetare i moti del profondo, però sono dispettoso e non immolo l’autenticità per un armistizio. Non guardo la clessidra, anche se con tutta la sabbia che mi è caduta addosso è difficile che qualcuno possa scovarmi: dovrebbe scavare molto a fondo. Le impressioni che mi giungono da qualunque ambito per me sono delle frecce avvelenate, però hanno traiettorie prevedibili e di conseguenza non sono difficili da evitare. Esercito l’attenzione e preservo la mia lucidità, ovvero la regina madre. Non traduco le opinioni apocrife, tatuate nei crani dalla pochezza anziché dalla volontà di comprendere. Sono accampato al margine di una dimensione quasi solipsistica, tuttavia godo di un colpo d’occhio che sovrasta le bassezze altrui. Curo i miei interessi tra ostacoli alterni, tra parole indefinite come queste e azioni ripetitive che non mi alienano. Ho un potenziale, forse sprecato: a tempo debito ne farò un monumento, un po’ come l’arsenale dismesso di una repubblica che è stata a lungo sotto l’influenza sovietica; in me impera l’amor proprio, malgrado le sacche di resistenza…
Non cerco sorprese tra le convessità di cacao né in mezzo alle amarezze di cui è prodigo tutto il calendario gregoriano. Vivo al di fuori del pensiero altrui. Non sono l’idea fissa di qualcuno né un usurpatore di sonno. Appartengo a me stesso in misura sempre maggiore, ma faccio attenzione a non innalzare muri d’indifferenza e di spocchia che possano rivelarsi troppo alti da scavalcare. Vige in me un equilibrio ritrovato di cui l’ironia è la prova più evidente sebbene non compaia in queste righe un po’ seriose.
Avverto la sublime vacuità dell’esistenza e cerco di fare buon uso del tempo che mi separa dalla morte. Non caldeggio la fine, ma la rammento sovente poiché anch’essa è parte della natura e mi rifiuto d’inquadrarla in un’ottica angosciosa, tanto diffusa quanto crudele, mendace e inutile. Spero di non ammalarmi d’immortalità, però vorrei diventare un ultracentenario: insomma, non mi dispiacerebbe attardarmi un po’ tra le nevrosi dei miei simili. Accetterei di rinascere secondo le regole della metempsicosi, ma per la resurrezione della carne in chiave cristiana credo che mi darei malato: non mi hanno mai ispirato le cene di classe e le ho sempre disertate con piacere. Non ho mai colto il senso di celebrare una cifra perché probabilmente non ce n’è uno: forse si tratta di una scusa come un’altra per allestire un convivio sul quale intavolare dei secondi fini. Mi sento uno straniero quando scrivo o parlo in italiano. Ormai non mi preoccupo più di dare un senso ai discorsi e talvolta questa noncuranza genera situazioni surreali che almeno a me non provocano imbarazzo alcuno. Io non sono uno sciagurato, perciò addobbo i fraintendimenti con l’estemporaneità di un menefreghismo pacato. Chissà come si traduce in italiano l’espressione che segue: “Me ne sbatto i coglioni”. Ci sono cose a cui tengo, le meno importanti: i miei pilastri invece brillano di luce propria e non c’è bisogno che io mi crucci per la loro amorfa salvaguardia.