27
Apr

Spleen stagionale

Pubblicato sabato 27 Aprile 2013 alle 01:57 da Francesco

Ho incrementato le mie sessioni di corsa e negli ultimi sei giorni ho coperto centodue chilometri. Il mio corpo risponde bene alle sollecitazioni e mi sento in ottima forma, ma a questo stato fisico si contrappone una malinconia di fondo alla quale io comunque lascio fare il suo corso.
Ogni primavera rinnova in me l’intensità dell’assenza d’amore, ma in cambio mi dà giornate più lunghe e piacevoli. Anche qualche vago frammento dell’attività onirica mi ricorda con una certa assiduità la voragine emotiva che si trova al mio interno, tuttavia non mi lascio inghiottire da me stesso e non nascondo l’evidenza. Considero l’amor proprio una precondizione irrinunciabile per ogni rapporto, però mi domando se non mi sia concentrato troppo su me stesso in questi anni. Qualche volta ho la sensazione che una parte di me sia diventata così passiva da non prendere neanche più in considerazione l’ipotesi che il sottoscritto possa instaurare un legame, ma io non sono un fatalista e di conseguenza metto in riga questa stortura cognitiva. Di tanto in tanto la stanchezza cerca di adulterarmi i pensieri, ma ormai conosco i suoi sotterfugi e quando mi sento spossato non prendo decisione alcuna né mi cimento in lambiccamenti fuorvianti. Attraverso un momento senza infamia e senza gloria, però continuo ad aspettarmi sia di meglio che di peggio. C’è qualcosa che mi riscalda le interiora, niente di metafisico comunque, e manco il colon irritato.

Categorie: Parole |

21
Apr

Senza spargimenti di sangue

Pubblicato domenica 21 Aprile 2013 alle 22:11 da Francesco

Ieri pomeriggio, dopo la riesumazione del cadavere di Giorgio Napolitano, mi sono recato nella capitale per prendere il polso della situazione in prima persona, senza filtri. Ho lasciato l’auto ai margini della città e mi sono mosso con la metropolitana. Lungo la strada per Montecitorio mi sono unito ad un gruppo di attivisti del Movimento Cinque Stelle, gente del frusinate alla cui testa v’era un ragazzo con una bandiera del movimento che incitava tutti a seguirlo; quando l’ho sentito gli ho detto: “E annamo va!”.  Strada facendo altri ragazzi si sono accodati e nel giro di pochi minuti siamo arrivati davanti alla porcilaia, al cospetto dell’obelisco di Psammetico II, il cui vertice a mio avviso dovrebbe ospitare i culi di buona parte dell’arco parlamentare.
Per un paio di ore molti hanno atteso che Beppe Grillo giungesse a Montecitorio, ma ad un certo punto un tizio mi ha chiesto di memorizzare un numero di cellulare e di ripeterglielo poiché aveva un problema con WhatsApp, così ho assistito alla chiamata e ho appreso da lui che Grillo ci aveva ripensato per motivi di sicurezza. In effetti ho immaginato che se il suddetto si fosse presentato anche l’Italia avrebbe dovuto aggiungere una festa nazionale simile al quattordici luglio francese e, invero, io contavo proprio su questo: in parte credo che sia stata un’occasione mancata. Nel corso della sera ho parlato con un po’ di persone, tra le quali un deputato del Movimento Cinque Stelle, mio coetaneo, che mi ha lasciato un’ottima impressione. Ovviamente tra i presenti non sono mancati gli squinternati e il passaggio di alcuni personaggi pubblici ha prodotto momenti goliardici. Indossavo una maglietta di Antigua, con un teschio e delle spade, perciò qualcuno mi ha scambiato per un membro del Partito Pirata (al quale comunque guardo con curiosità) e alla fine ho incontrato un tizio vestito da bucaniere che ne fa davvero parte, perciò gli ho chiesto una foto insieme: chissà che in futuro non si riveli un’immagine profetica.

Ad un certo punto ho sentito i morsi della fame e l’impellenza della vescica, così ho socializzato con dei debosciati, gente simpatica, sempre disposta a condividere cose che tuttavia io non ho mai usato né cercato e in cui vedo solo conformismo, ovvero droghe, alcolici e presunti ideali. Sono andato a mangiare un pezzo di pizza con costoro e, una volta rifocillatici, abbiamo saputo che s’era formato un corteo. Nelle vicinanze del Quirinale siamo arrivati da soli a ridosso di un cordone della polizia e io ho preso a intonare la canzone dell’Armata Brancaleone appena un maresciallo si è mosso in controtempo rispetto ai colleghi, esibendosi in un movimento davvero goffo. Uno dei quattro ragazzi era ubriaco fradicio, teneva in mano una bottiglia di Peroni e ogni tanto chiamava al cellulare un suo amico che era nel corteo e che ci doveva dare indicazioni precise su come raggiungerlo. Abbiamo girato a vuoto come degli stronzi e in questo lungo peregrinare abbiamo incontrato un prete davanti ad una chiesa. Ho fatto il segno della croce al sacerdote e gli ho detto: “Ego te absolvo!”; chissà se poi ci è andato a puttane! Una volta raggiunto il corteo c’è stata un po’ di tensione, però nulla di che. Divertito ma un po’ deluso ho lasciato Roma verso l’una di notte. Non che avessi bisogno di conferme, ma ho capito che non cambierà mai un cazzo fino a quando non vi sarà un sano ricorso alle armi e io purtroppo sono già impegnato con la mia rivoluzione interiore, l’unica che m’interessa davvero.

Categorie: Immagini, Parole |

16
Apr

Nell’ordine delle cose

Pubblicato martedì 16 Aprile 2013 alle 11:44 da Francesco

Il mondo non è cambiato granché dal giorno della mia nascita e qualche volta mi chiedo se io lo abbia frequentato già altre volte prima di ripiombarci nell’attuale incarnazione. È un peccato che il mio ateismo mi precluda un’adesione convinta alla metempsicosi.
Da qualche parte le bombe esplodono e fanno un grande rumore, altrove deflagrano allo stesso modo però quelle onde d’urto e quei morti si limitano gonfiare delle statistiche che tutt’al più aggiornano il repertorio di qualche terzomondista. Ovunque io appoggi l’attenzione, in qualche grado, scorgo violenza, ignoranza, fanatismo e prevaricazione: da un’impiegata pubblica affetta da secchezza vaginale fino al più determinato dei salafiti. Non posso cambiare il mondo, perciò mi concentro su me stesso e cerco di perseguire l’evoluzione della mia persona, tuttavia non ne faccio una ragione di vita perché anche in questo caso la morte è un’azionista di maggioranza… Passerò giorni migliori degli attuali, di questo posso dichiararmi sicuro senza che intervenga un ottimismo di facciata. Malgrado tutto avverto in me una propensione naturale a ricercare quanto sia capace di giovarmi e non bastano le parole per invertire questa tendenza, nemmeno le mie. È un po’ di tempo che non mi regalo le analisi del sangue, ma tengo sotto controllo quei valori che ho avuto il piacere di demolire su consiglio di un tedesco sifilitico.
Uso l’esperienza, le intuizioni e l’amor proprio per farmi scudo contro l’impazzimento generale a cui assisto quotidianamente. Si avvicendano giornate terse e calde dalle quali cerco di trarre il meglio. Non mi aspetto che qualcosa cada dal cielo, né manna né i frammenti di un meteoroide. Trovo paradossale come io mi avvii verso il mio ventinovesimo compleanno meno disilluso che in passato, ma ne sono contento. Ho lanciato lontano buona parte del mio disfattismo, proprio ora che potrebbe farmi comodo. Sono colpevole d’istigazione alla serenità.

Categorie: Parole |

12
Apr

Pain of Salvation a Ciampino

Pubblicato venerdì 12 Aprile 2013 alle 11:59 da Francesco

Ieri mi sono recato a Ciampino per assistere ad un concerto acustico dei Pain of Salvation benché invero non ne fossi granché convinto. Quando ho varcato la soglia dell’Orion gli Arstidir avevano appena cominciato a suonare e dopo un paio di pezzi la band islandese ha catturato il mio interesse con sonorità molto delicate, talvolta soltanto corali, perciò ho deciso che prima o poi ne approfondirò l’ascolto. Già presentatasi in un pezzo con i summenzionati, Anneke van Giersbergen è poi rimasta sul palco con la sua voce e una chitarra acustica. Il suo vibrato mi ha ipnotizzato per tutta la performance e avrei ascoltato volentieri qualche pezzo in più del suo repertorio: mi è piaciuta moltissimo la sua versione di “Time After Time” di Cyndi Lauper.
Ho trovato simpatica la scenografia, la quale ha offerto una cornice domestica e retrò con cui Gildenlöw e soci hanno interagito durante l’esibizione, inoltre ha dato all’intero concerto una dimensione ancor più intima di quanto già non fosse per la presenza di un pubblico esiguo.

Non sapevo se dal vivo mi sarebbe piaciuta la proposta acustica dei Pain of Salvation, gruppo che avevo già visto in un leggendario concerto a settembre dello scorso anno in quel di Veruno. Ne sono rimasto soddisfatto oltre ogni più rosea aspettativa e l’unico pezzo che non ho gradito è stato un duetto jazzato e melenso con Anneke, ovvero  la cover di “ Help Me Make It Through The Night“ di Kris Kristofferson: avrei preferito udire la voce dell’ex cantante dei The Gathering in un pezzo più potente. Ho trovato assai migliori la cover di “Dust In The Wind” dei Kansas e quella sanguigna di “Perfect Day” di Lou Reed. La band è rimasta sul palco per circa due ore e ha alternato parti più datate della propria discografia a tracce più recenti come “1979” che in veste acustica mi ha davvero stregato. Insomma, è stato un bel live, il primo in quest’anno così avaro di concerti interessanti e alla portata del mio nomadismo solitario.

Categorie: Immagini, Musica, Parole, Video |

9
Apr

Entelechia in cartolina

Pubblicato martedì 9 Aprile 2013 alle 13:56 da Francesco

Espando il pensiero per proteggermi dalla pioggia di rane, dalla caduta libera del senno e dalle depressioni collettive. Basta allungare una mano in qualsiasi direzione per cogliere il pomo della discordia, ma io non sono in vena di dissanguarmi e perseguo la meta di una serenità costante. Mi sembra che tutto concorra affinché una scure si abbatta sul presente, perciò mi faccio un po’ più in là e resto defilato nel sole primaverile mentre le ombre altrui si moltiplicano a vicenda per scoraggiarsi con altrettanta reciprocità, in misura sempre maggiore. Esercito l’autodifesa, anche e soprattutto per proteggermi da me stesso, in particolare dai condizionamenti fuorvianti delle mie introiezioni. Non mi sento parte di un disegno più grande, ma neanche una nota a margine. Forse sono quei vuoti ai quali ogni tanto guardo con sospetto che mi riempiono la vita, come se fossero delle zone cuscinetto in grado di salvaguardarmi da quanto in fondo non ho mai smesso di desiderare. Comunque, fino a qui tutto bene. Sto all’erta, però senza farmi venire il torcicollo. Faccio affidamento sulla mia parte migliore e non mi preoccupa l’idea che la mia buona stella sia ormai una nana bianca. Io non sono infatuato del fato: colpe e meriti mi appartengono in pieno. Ho avuto occasioni che non ho saputo sfruttare e ho commesso degli errori evitabili, ma non ne approfitto per edificarci sopra il muro del pianto: ‘sti gran cazzi.
Non sono infallibile e non bramo la considerazione di chi pretende che io lo sia; non sono così ingenuo da credere che esista un rimedio per ogni sbaglio, ma non ho nulla da farmi perdonare. Ora come ora a me interessa soltanto che il sole mi scaldi abbastanza da indurmi a riprendere la confidenza stagionale con le acque salmastre. Tra le mie mani riesce a passare a malapena il mio destino, perciò è inutile che io provi a filarne qualcun altro. Avverto quelle che qualcuno un po’ naif chiamerebbe “buone vibrazioni”, ma per me sono semplicemente sensazioni e intuizioni che turbinano assieme in un periodo un po’ strano, refrattario alle definizioni, insomma, ostile al verbo. Le parole grondano troppa vanità: maledette.

Categorie: Parole |

6
Apr

Si vis pacem, para bellum

Pubblicato sabato 6 Aprile 2013 alle 07:20 da Francesco

Sono trascorsi quasi sei anni dal mio viaggio in Corea del Sud. Di Seoul ricordo il contrasto tra la fatiscenza e la modernità, più netto di quello che in seguito ho notato in Giappone e a Taiwan. L’Estremo Oriente ha sempre esercitato su di me un’attrazione naturale e mi auguro di tornarci quanto prima, tuttavia i soggiorni a quelle latitudini mi hanno dato di modo di apprezzare ancor di più il mio luogo natio malgrado io sia riuscito sempre ad eludere l’asineria del campanilismo. Non sono un esterofilo e al contempo non nutro alcuna forma di orgoglio nazionale; mi sento un apolide, ma di questo status non faccio una bandiera sennò tanto varrebbe che mi avvolgessi in quella sotto cui sono nato. Non è semplice sfuggire alle definizioni, alle identità e soprattutto a tutto ciò che si presta all’identificazione; forse negarsi al logos significa anticipare in parte la morte, tuttavia sembra che questo sia lo scopo ultimo dell’esistenza, o almeno è quanto mi è suggerito a gran voce dai silenzi dei cimiteri in cui talora metto piede; ad ogni modo io non attribuisco un senso funereo e nefasto a questi pensieri.
Non voglio perdermi in troppe digressioni, anche se esse ormai si sono insediate in larga parte di questo appunto col mio beneplacito. Ho evocato i miei ricordi coreani in quanto pare che al nord del trentottesimo parallelo siano in atto i preparativi di una catarsi nucleare. Il regime di Pyongyang nel corso degli anni ha attirato più volte il mio interesse, perciò non c’è nulla che mi stupisca nelle disamine offerte dalle testate giornalistiche e dalle emittenti televisive. È banale ogni citazione che attinga dal più celebre romanzo di Orwell, quello il cui titolo è uguale all’anno della mia nascita, ma è altresì scontato ogni spunto che prenda piede dall’immaginario nato in seno alla Guerra Fredda: corsi e ricorsi storici. Non cerco la coerenza nei potenti della Terra, e forse mi stucca di più il buonismo d’ogni aspirante analista che l’efferatezza di un dittatore, ma nella figura merdosa del papa l’uno non esclude l’altra e difatti trovano un punto d’incontro che rassomiglia al buco del culo. V’è il fanatismo dell’Occidente, in apparenza pacato, ma più simile ai modelli a cui si oppone di quanto le contrapposizioni illusorie facciano credere: un po’ come il denaro che è solo carta alla quale viene attribuito un valore di comodo, lo stesso assegnato ai crocefissi. Mi torna alla mente una celebre citazione degli indiani Cree, la quale paventa come soltanto una volta distrutta ogni forma di sostentamento l’uomo scoprirà che non si possono mangiare i soldi: io vi aggiungo un monito sull’altrettanta scarsa digeribilità delle icone sacre.

Categorie: Parole |