Le strade portano i segni della pioggia notturna. L’acqua accentua i colori delle terrazze e adorna le piante che posano per lei sopra i vasi di terracotta. Le nuvole raminghe puntano verso un altro continente e ignorano il malumore che provocano ad alcuni dei loro spettatori. Un traghetto spopolato attraversa un breve tratto di mare mentre qualche certezza gli passa accanto per dirigersi alla deriva. In queste giornate gli orizzonti appaiono particolarmente sfocati e sembra che nascondano qualche segreto mistico. Lo sguardo di una segretaria fugge oltre la finestra chiusa del suo ufficio e si perde nel promemoria degli impegni, ma la sua solerzia non impedisce alle sua dita di produrre acrobazie irregolari con una penna tappata. Gli uffici postali si riempiono lentamente e si preparano a esibire una scenografia paziente e quasi inerte. Una ragazzina scosta le parole dell’insegnante e riempie gli spazi bianchi dei libri con le prime scritture della sua intimità, nel frattempo suo padre attende docilmente il giorno del pensionamento anticipato. Un agricoltore accoglie con piacere le condizioni atmosferiche e spera che piova di nuovo mentre ignora lo splendore che lo circonda con la stessa innocenza di chi non pone mente alla sua libertà perché è sempre stato libero.
Frank Gambale è il mio chitarrista preferito e rimango estasiato ogni volta che ascolto uno dei suoi album. Su YouTube ho trovato questo ottimo video di “Beyond The Bridge”, una traccia di “Show Me What You Can Do” in cui Gambale è accompagnato da Steve Smith alla batteria e Stu Hamm al basso. Appunto con piacere la performance live di questo trio incredibile sul quale ho già speso qualche parola in passato e continuo a sperare di assistere a un loro concerto prima o poi. Penso che la classe cristallina di questa formazione sia una delle migliori cose che la musica possa offrire al mio gusto uditivo.
La forza di volontà e il suo apogeo
Pubblicato martedì 30 Ottobre 2007 alle 00:14 da FrancescoLa forza di volontà è prodigiosa e consente ad alcuni uomini di mettersi al di sopra degli dei che sono stati inventati dai loro simili. Credo che la determinazione sia l’arma psicologica più potente a disposizione dell’essere umano, ma ritengo che sia difficile studiarla, gestirla e applicarla. L’autocommiserazione è una forza passiva che culla la mente in un torpore nocivo mentre la forza di volontà è un sistema di propulsione molto complesso e pericoloso. Taluni credono che il vittimismo sia un diritto inalienabile e trascorrono intere porzioni della loro vita ad aspettare che qualcuno o qualcosa rimborsi le loro esistenze, ma penso che questo modus vivendi sia un tentativo piuttosto goffo per sottrarsi al confronto con i propri limiti. La forza di volontà è alimentata dalla disciplina e non riserva glorie immaginarie né diritti altrettanto fittizi, perciò agli occhi di certi individui risulta inutile e poco soddisfacente. Il ruolo della vittima è ambito dalle menti pigre perché offre giustificazioni apparenti per le condotte autolesionistiche, ma credo che la sua convenienza iniziale sia destinata a lasciare il passo al costo eccessivo della sua manutenzione introspettiva. Penso che sia impossibile esimersi dalla raccolta del proprio seminato e lo affermo senza il timore di sfiorare la “saggezza” popolare. La furbizia della stoltezza ospita la fioritura di risultati indesiderati e inaridisce la quarta dimensione.
Ieri pomeriggio sono andato a pedalare per un paio di ore intorno al mio comune e durante la fine del primo giro ho evitato per miracolo un bambino e la sua bicicletta. Mi trovavo sopra una pista ciclabile, ma pedalavo piuttosto lentamente per evitare i pedoni che occupavo promiscuamente il percorso pedonale e quello dedicato al passaggio dei ciclisti. A un certo punto ho notato che un bambino mi stava venendo incontro con la sua bicicletta e allora mi sono spostato sul tratto pedonale per evitarlo, ma all’improvviso mi ha attraversato la strada e fortunatamente sono riuscito a evitare la collisione senza cadere a terra. Mi sono fermato davanti un cestino, ho levato le cuffie e mi sono voltato. I genitori del piccolo si sono subito scusati con me e hanno ripreso il loro figlio, ma io non me l’ero presa affatto e mi bastava che la piccola peste fosse ancora tutta d’un pezzo. Ho chiesto al bambino se stesse bene e lui mi ha risposto di sì con un’espressione a cui si doveva perdonare ogni cosa. Ho guardato il piccolo spericolato e mentre la madre continuava a rimproverarlo io ho detto: “Queste cose le abbiamo fatte tutti da piccoli”. Dopo qualche sorriso ho salutato i presenti e ho ripreso a pedalare, ma prima ho rimesso le cuffie e ho continuato ad ascoltare i Dire Straits. Ieri mi sono reso conto che se avessi un figlio conseguenzialmente sarei un padre troppo permissivo e probabilmente diventerei un fratello immaturo per la mia prole invece d’essere un genitore.
Due giorni fa sono uscito di casa con un paio di pantaloni da ginnastica del Liverpool e una maglietta di Ken Il Guerriero. Era pomeriggio, pioveva a dirotto e per due chilometri ho impugnato un ombrello malandato che in seguito ho abbandonato con cura vicino a dei cassetti della spazzatura. Non ho cantato sotto la pioggia come Gene Kelly, ma sono entrato nella stazione ferroviaria del mio comune e ho comprato un biglietto di sola andata per Roma. Successivamente mi sono diretto al terzo binario per attendere il mio treno, ma prima ho speso qualche secondo per ridere della bruttezza dei graffiti amatoriali che si trovano nel sottopassaggio della stazione. Ho atteso alcuni minuti dietro la linea gialla della banchina e poi mi sono accomodato nelle scomodità esose di Trenitalia. Dopo un’ora e cinquanta minuti ho raggiunto la capitale e ho mangiato un boccone alla stazione di Termini, poi ho preso la linea B della metropolitana e sono sceso a una delle ultime fermate dell’EUR. Ho camminato per un po’ e alla fine ho raggiunto il Palalottomatica per vedere il concerto dei Dream Theater e dei Symphony X, ma non sono riuscito a trovare un biglietto e ho partecipato brevemente allo sconforto degli alti esclusi. Mi sono lasciato alle spalle le orde di venditori partenopei che erano asserragliate davanti al Palalottomatica e ho compiuto il viaggio di andata al contrario. Non pensavo che i Dream Theater e i Symphony X facessero il tutto esaurito a Roma poiché il giorno precedente avevano già suonato a Bologna e l’indomani erano attesi per un’altra data nel meridione.
A me non piace chi sposa delle cause nobili per acquisire un po’ di consenso e non mi piacciono nemmeno coloro che tentano a tutti i costi di fare gli anticonformisti. Provo un senso di forte repulsione nei confronti delle persone che angustiano il prossimo con i loro strali verso le istituzioni e non mi riferisco a chi si batte concretamente e in sordina per i diritti della propria categoria, ma il mio disprezzo è rivolto contro quelle anime in pena che provano a dissacrare ogni cosa per sentirsi qualcuno nel loro mondo immaginario e in particolare punto il dito (anche se preferirei puntare una Colt) verso chi mi contatta per descrivermi la sua personalità “complessa”. Comprendo chi manifesta la proprie opinioni e ammiro chi lo riesce a fare con estro, ma invoco la pulizia etnica per chi infastidisce il suo prossimo con sproloqui ripetitivi e molesti. Adduco un esempio anticlericale per spiegarmi meglio. Sono d’accordo con chi mostra un dissenso forte nei confronti della Chiesa e del suo capomafia, ma quando tale dissenso si ripete in modo sterile allora mi rendo conto che la persona che lo esprime lo fa unicamente per darsi un tono e per cucirsi addosso un’identità rivoluzionaria. A differenza di qualcuno credo che le rivoluzioni non si facciano con le parole né con le magliette di Che Guevara che pendono dalle bancarelle, bensì con i fucili, dunque mi aspetto che il buffone di turno imbracci un’arma e faccia fuoco sul pontefice a patto che il suo astio ossessivo sia reale. Ci sono molti esempi simili a quello che ho riportato in queste righe. Alcune persone parlano, parlano e parlano, ma sono poche quelle che agiscono e le restanti si limitano a masturbarsi con il loro anticonformismo apparente, stupido e banale anche qualora abbia una parvenza criptica. Trovo che parecchi individui “impegnati”, che si autoproclamano artisti e uomini d’ingegno, possano essere rappresentati dalla classica figura del radical chic, inoltre una buona parte di costoro non riesce nemmeno a scrivere decentemente nella propria lingua. Attenzione: io non ritengo di avere una buona padronanza dell’italiano e non tedio i miei simili con le mie idiozie. Questo breve scritto è un invito scolpito nella merda e recita quanto segue: “Si prega la Signoria Vostra di non rompermi le palle con la dietrologia né con altre forme di coglionerie che servono da succedaneo per colmare i vuoti esistenziali. Confidando nella Vostra fattiva collaborazione, Vi invio un cordiale saluto”.
Il respiro della coscienza: l’evasione dalla fuga
Pubblicato venerdì 26 Ottobre 2007 alle 00:53 da FrancescoUn interrogativo si propaga con la stessa cadenza dei suoi colleghi: “L’amore ruota attorno al popolo della Terra oppure quest’ultimo si limita a roteare una delle sue manopole eteree per sintonizzarsi sulle frequenze dell’utopia?”. La vocazione congenita per l’amore assomiglia a uno spiraglio da cui qualcuno tenta di passare per scappare dalla morte, ma credo che una tale lettura corrompa ogni manifestazione di questo sentimento. Talvolta l’amore e la morte compongono dei drammi ampollosi che si svolgono sulle pagine di un libro, sul palco di un teatro, nell’occhio inflessibile di una telecamera o in una stanza che è destinata a rimanere vuota, ma in tutto questo non vi trovo né pathos né romanticismo fosco. Mi sembra che a volte il desiderio di amare nasconda il timore della morte e penso che queste due entità psicologiche si incrocino più di quanto io riesca a presumere. Ritengo che l’amore non possa essere disinteressato, ma in questo caso al vocabolo “interesse” conferisco un significato più “filosofico” per affrancarlo dalle connotazioni materialistiche dell’eloquio popolare. Talvolta sembra che si debba vivere per sempre e non è semplice emanciparsi da questa illusione poiché è tanto confortante quanto errata. Può risultare sgradevole e difficoltoso guardare le prime avvisaglie della propria finitezza nel fiore degli anni e forse l’impresa diventa ancora più ardua quando si giunge in prossimità della morte senza averla messa in conto. Non penso che sia salutare trascorrere una vita a contemplare la propria finitezza, ma forse questo è ciò che accade quando l’amore viene considerato come un modo per evadere dalla fuga della vita. Qualcuno pretende che l’amore giri in senso antiorario per accedere a un’esistenza perpetua, ma questo genere di pretese assomigliano a quelle di un bambino che non vuole andare a dormire. Trovo che sia indispensabile accettare integralmente la presenza futura della propria assenza qualora si voglia amare in modo sublime. Suppongo che l’amore e la morte agiscano su due piani diversi e si incrocino al sorgere delle problematiche esistenziali nella sfera introspettiva. Non ho mai amato e credo di non essere mai morto finora, ma non ritengo che la mia inesperienza possa pregiudicare in qualche modo le mie considerazioni trascurabili.
Il respiro della coscienza: le spirali dello sviluppo
Pubblicato giovedì 25 Ottobre 2007 alle 00:08 da FrancescoIl capo si china con un moto sonnolento sopra un banco della scuola dell’obbligo e durante questa manovra soporifera può accadere di rendersi conto che non si riesce a trarre un insegnamento concreto né da un libro né da chi ha l’onere di spiegarlo. Le gerarchie sociali cominciano a instaurarsi nei corridoi su cui si affacciano le aule della società futura. Alcune bambine assomigliano a delle centometriste nel loro passaggio dall’età dell’innocenza al battesimo della malizia e le loro spettatrici coetanee le osservano con invidia o con rassegnazione perché non dispongono degli stessi mezzi fisionomici per rompere il ghiaccio e l’imene. La moda in voga è il primo passo verso la scultura di un’epoca, ma al contempo è lucrativa e spietata come uno dei suoi tanti revival. La violenza e il sesso sono un evergreen nell’immaginario collettivo e producono perversioni banali che di tanto in tanto sfociano in atti efferati. I tentativi di spettacolarizzare ogni inezia sono ripetitivi e si fondo con gli sforzi sempiterni di speculare su ogni cosa in un mix scontato che talvolta produce momenti di frenesia generale. Qualcuno che si appresta a vivere può essere intimorito dai dubbi sul futuro e le sue scelte corrono il rischio di essere le figlie di una logica errata. Non è raro che taluni formulino il loro giudizio sul mondo in base agli eventi casuali della loro esperienza e le grandi verità che si disperdono di fronte a un aperitivo spesso sono l’ululato della frustrazione o il canto ingenuo di una serie costante di combinazioni fortuite. È difficile scorgere dei movimenti regolari in una ridda di gesti confusi, di espressioni sibilline e di dati falsati, perciò non resta che alzare con grazia il dito medio verso un punto avverso prima di iniziare ad allenare la mente e il fisico per dedicarsi anima (junghiana) e corpo a…
Il respiro della coscienza: la genesi
Pubblicato mercoledì 24 Ottobre 2007 alle 00:47 da FrancescoUn uomo e una donna istituiscono un vertice straordinario di quarantasei cromosomi e attendono l’esito della gestazione per accoglierne il risultato a braccia aperte. Talvolta il cordone ombelicale diventa un cappio al collo per le libertà di uno dei procreatori ed è possibile che questa asfissia progressiva provochi dei gesti inconsulti. Il collante che lega una donna incinta all’uomo che l’ha ingravidata può assumere le forme più disparate: la cieca obbedienza a una dottrina religiosa, l’osservanza di una tradizione, l’abitudine alla figliolanza, un interesse morboso, l’incapacità di sottrarsi a un presunto obbligo verso la propria prole o un sentimento profondo verso quest’ultima. In ogni ora del giorno una donna può essere fecondata tramite un gesto d’amore del suo compagno, con uno stupro violento o grazie ai ritrovati della fecondazione artificiale. Alcune madri sono delle vittime egoiste e vogliono a tutti i costi un figlio a cui non possono garantire un futuro, ma non riescono a sopportare l’astinenza dalla maternità e alla fine concepiscono per via uterina un metadone vivente di qualche chilo. Ogni tanto un po’ di curaro cade in un biberon e un infante resta tale nella memoria di chi continua a vivere, ma da molte mammelle grondano gocce bianche che proteggono i fiocchi azzurri e rosa dalle tinteggiature nere. I primi anni di vita appartengono alla pedagogia, ma durante l’inconsapevolezza neonatale l’imprinting trivella l’inconscio. I giocattoli occupano il tempo del bambino e quand’egli cresce gli viene consegnato il balocco gnostico degli adulti: una delle tante religioni che sono nate in seno alle esigenze del quieto vivere. Nella fase pubescente la distinzione tra il bene e il male assume una forte discrezionalità e, qualora non siano considerate le innumerevoli sfumature morali, possono comparire delle mostruosità antitetiche: una vocazione altruistica e misticheggiante o un amore sfrenato per una forma di nichilismo distruttivo. Oltre a questa divisione dicotomica e alle sue diramazioni vi è una corrente piuttosto vasta che verte sulla mansuetudine dell’individualità a cui è semplice omologarsi per avere un facile accesso alle forme di anticonformismo convenzionale e alle valvole di sfogo che hanno la forma delle promesse utopiche dei vizi schiavisti. La ricerca di un’identità avviene con lo sfoglio dei cataloghi di stereotipi nelle volte mediatiche o in qualche sotterraneo adiacente che pretende ingenuamente di differenziarsi da quanto lo sovrasta. Tutto questo non è altro che l’inizio.
Qualche ora fa ho visto l’ultima parte della trilogia dei colori di Krzysztof Kie?lowsk e mi è sembrata un’ottima conclusione. La protagonista è una studentessa di nome Valentine che vive da sola e lavora come modella. La giovane ha una relazione con un uomo che si trova all’estero con il quale scambia quotidianamente delle telefonate pregne di gelosia. Il film entra nel vivo quando Valentine incontra la figura enigmatica di un uomo anziano che vive in solitudine. Il vecchio in questione è un giudice in pensione che trascorre le sue giornate a spiare le conversazioni telefoniche dei vicini e si rapporta con Valentine in un modo misterioso che a tratti diventa divinatorio. Gli eventi si succedono con un ritmo perfetto e sono adornati da elementi ricorsivi che aggiungono un po’ di stupore alle sequenze. Il film non termina in maniera autoreferenziale, infatti il finale si lega anche i ai capitoli precedenti e sintetizza uno dei significati della trilogia prima che compaiano i titoli di coda. I tre colori di Kie?lowsk hanno dipinto alcuni dei miei pomeriggi grigi e mi hanno portato a riflettere sulla vita da un punto di vista che poggia sul destino e sul fatalismo, ma ho preso in esame questa prospettiva senza accettare completamente le comodità stupide e nocive della presunta ineluttabilità degli eventi.