15
Nov

Ennesime considerazioni inattuali

Pubblicato domenica 15 Novembre 2015 alle 16:46 da Francesco

Conosco un bell’imperativo di Manlio Sgalambro al quale cerco di attenermi: “Tutte le cose si devono intendere a partire dalla fine del mondo”. In conseguenza di tale assunto mi considero un testimone indiretto della presunta utopia del multiculturalismo che giunge ai ferri corti con la storia e assisto anche al grottesco stupore di chi se ne meraviglia o di chi vi indugia.
Quantomeno un tempo quella sciagura fondatrice dell’Europa che è il cristianesimo mostrava scudi crociati e alzava le else, ma poi una certa efferatezza è venuta progressivamente meno e un illusorio terzomondismo (la guancia è stata porta un po’ troppo…) ha avuto la meglio sulla ragion pratica (o real politik). Tutto nell’ordine delle cose, tutto già visto; déjà-vu, appunto. L’eterno ritorno dell’uguale. Mi trovo in un clima da fin de siècle a inizio millennio. Può essere il momento giusto per riscrivere l’opera omnia di Nietzsche e spacciarla come inedita, ma ad ogni modo io tento di restarmene a seimila piedi al di sopra del bene e del male.
Accadrà di nuovo quanto è successo per la seconda volta a Parigi e chissà che un domani non mi ci ritrovi in mezzo. Per me alla violenza bisogna rispondere con altra violenza e non mi curo di come questo semplice concetto presti il fianco agli alti ragionamenti di certuni, tuttavia se fossi convinto della maggiore efficacia di altre soluzioni non esiterei un momento a chiamarle in causa in questa mia trascurabile visione delle cose: mi reputo un individuo pragmatico, mai ideologico. Odio ripetermi e non per la ripetizione in sé, ma quando credo che questa si faccia stantia e di conseguenza non mi avventuro in analisi interdisciplinari che non spostano neanche una foglia. La breve storia umana è un florilegio di situazioni peggiori, ma la brutalità è resa tale dalla sua vicinanza temporale e non tutti sanno inquadrarla dentro cicli storici, in quell’incessante andare e venire di tendenze che come una cieca volontà afferma tutte le enantiodromie.

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7
Nov

Archivio onirico: sogno n° 23 e sogno n° 24

Pubblicato sabato 7 Novembre 2015 alle 02:52 da Francesco

In queste ultime settimane ho fatto due sogni apparentemente opposti che a mio avviso sono invece le due facce della stessa medaglia, ovvero l’esistenza: Eros e Thanatos.



Sogno n. 23

Mi trovo in una stanza e d’un tratto, guardando il cielo, noto un bagliore che traccia una linea bianca verso l’alto da cui poi ne disegna un’altra verso il basso: l’immagine che ne consegue è simile a quella dei due lati di un triangolo equilatero che s’incontrano al vertice dello stesso.
All’improvviso un altro bagliore precipita verso di me e il mio mondo, tuttavia non faccio in tempo a prenderne pienamente atto e mi ritrovo altrove. Tengo la mano di una persona sconosciuta e questa mi dice che non rivedrò mai più chi ho incontrato fino ad allora. Sono di nuovo bambino e passeggio su un suolo bianchissimo che somiglia alla superficie lunare: altro non lo rammento.



Sogno n. 24

Mi trovo in un locale con delle persone che non conosco. Ad un tratto esco fuori e mi siedo per terra accanto a una ragazza senza che in me vi sia alcuna intenzione di volerla avvicinare, però ne riconosco i tratti del volto e quando anche lei riconosce i miei subentra tra noi un silenzio che io rompo con un elogio di sua maestà il caso. Costei ha capelli corvini e un viso che conosco da tempo immemore. La ragazza ha qualcosa con sé, una bimba piccola che accudisce sotto una coperta, ma l’infante a sua volta si trova dentro a una bizzarra custodia di plastica che si adatta ai suoi movimenti. Chiedo il nome della piccola: Acella. Faccio notare alla ragazza come il caso ci abbia consentito di ritrovarci e le chiedo se sia fidanzata perché vorrei frequentarla: lei sembra convincersi dei miei intenti e il sogno s’interrompe.

Il primo sogno è chiaramente influenzato dai miei recenti approfondimenti sulla metempsicosi e forse esprime anche il disincanto del mio inconscio per la vita corrente, infatti a livello cosciente non avverto nulla del genere; c’è un’idea palingenetica, la voglia di un azzeramento, una tabula rasa da compiere per ripartire ex novo, tuttavia l’idea di rinnovamento non è poi così… nuova! Immagino perciò che i bagliori rappresentino un certo modo di distruggere secondo un preciso ordine, affinché la ricostruzione possa avere un senso: le due linee a mio avviso rappresentano quell’ordine sotto forma di regolarità geometrica. Quella persona che non vedo e di cui tengo la mano sono io, ancora in fase di divenire, perciò la stretta è un punto tra la mia nuova nascita e il futuro, ancora indefinito. La superficie lunare penso che sia un dettaglio scaturente da alcune mie letture, precisamente riguardanti Gurdjieff: in queste la Luna è la destinazione di quelle anime che finiscono sottomesse a novantasei leggi e si ritrovano così in condizioni minerali: in tale dettaglio colgo un indizio su quanto impiegheranno i miei progressi per realizzarsi, difatti nelle circostanze anzidette, secondo determinati insegnamenti, a quel punto l’unica evoluzione possibile rimane quella collettiva con i suoi tempi molto estesi. Non nutro alcuna convinzione in merito a quest’esoterica parte, ma l’ho chiamata in causa esclusivamente a fini interpretativi.

Nel secondo sogno ho provato una dolcezza infinita e solo un’altra volta ho serbato il ricordo di una sensazione così forte. Al risveglio mi sono davvero dispiaciuto che tutto quello che avevo provato non appartenesse alla cosiddetta realtà e per un po’ ne sono rimasto amareggiato. 
La ragazza del sogno ha un nome preciso: Stefania. Per lungo tempo costei ha rappresentato  per me un ideale di bellezza, carattere, finanche indole che io, per mia colpa, non sono riuscito a raggiungere, ma dubito che il sogno si riferisse a lei e penso invece che l’abbia usata come simbolo per rappresentare ancora una volta la componente femminile di cui la mia vita è ignara. Con l’evocazione di questa figura l’inconscio mi ha reso note le sue rimostranze per le carenze affettive che in me si sono pressoché cronicizzate e la riprova dell’impiego di quella figura è nel nome della bimba: Acella. Quest’ultimo in realtà è un cognome tipico del sud, presente anche nell’area da cui proviene la ragazza suddetta. La bizzarra custodia di plastica della bambina è invece un riferimento a me, ovvero è la mia Anima (in senso junghiano): essa non cresce ed è per questo che si adatta alla custodia in cui è portata. Illesa, ma in perenne stasi, la femminilità di una donna rimane per me un’idea astratta. Il mio elogio del caso e il tentativo di riprendere a interloquire con Stefania esprimono nel sogno una speranza che nella realtà della veglia è stata soltanto una frustrazione.

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