A me questo mese ricorda sempre i fedayin di Settembre Nero, ma le mode cambiano e le organizzazioni terroristiche si avvicendano sulla cresta dell’onda o sulla mezzaluna. Sto convivendo con un po’ di sciatalgia, ma almeno non rischio una condanna per uxoricidio a differenza di quanti scelgano con troppa fretta il ruolo di family man. In ventinove giorni ho corso 433 chilometri a una media di 4’20” con un dislivello totale di appena 1200 metri. Da luglio mi sono lasciato alle spalle 1488 chilometri, perciò qualche fastidio rientra nell’ordine delle cose come i danni collaterali in guerra e le vincite nella ludopatia. Domenica, dopo sette mesi, sono tornato a gareggiare in occasione del giro del lago di Chiusi, un percorso in parte sterrato e in parte asfaltato con salite impegnative, inoltre quest’anno ai suoi canonici diciotto chilometri si sono aggiunti quattrocento metri per una deviazione obbligatoria. Ho fatto il mio passo, non ho seguito nessuno, mi sono gestito bene e sul finale ho ripreso vari atleti.
Il quindicesimo chilometro in discesa sono riuscito a correrlo addirittura in 3’14” e quando sono tornato in pianura ho compiuto altri sorpassi. Stavo bene e ho vinto anche uno scatto finale sul rettilineo del traguardo. La media è stata di 3’43” al chilometro (benché Icron riporti 3’48” poiché lo calcola su 18 chilometri). Per me questo significa che su una mezza maratona piatta devo provare a tenere un’andatura di almeno 3’39” al chilometro, tuttavia mi faciliterei le cose se cominciassi a stringere amicizia con il signor Tapering: chissà, prima o poi.
Mi rallegra la fermezza con cui il moto unidirezionale del tempo sa restringere le possibilità individuali: si tratta di un’ottima dieta esistenziale per il girovita. Quando avevo qualche anno di meno mi dovevo trascinare dietro molte aspettative in più, ma a un certo punto ho cominciato a smarrirle e non ne ho mai denunciato la scomparsa. Non ho idea di cosa sia davvero la libertà perché ancor oggi associo a questa parola un concetto sfuggente, forse addirittura latitante, però ho sempre avuto la netta impressione che il suo ostinato inseguimento conduca al suo esatto contrario: per quest’ultima suggestione ringrazio il mio sponsor, ovvero la vita degli altri.
È l’ultimo sabato estivo quello da cui trasmetto in differita, tuttavia non mi trovo sulla lunghezza d’onda di terzi né conosco prime donne e secondo me anche i secondi contano poco: per De Coubertin l’importante è partecipare e io dissento anche su questo; insomma, non me ne va bene una, come le guerre mondiali alla Germania o le cure ordinarie ai malati terminali. Qual è il mio ruolo, esattamente? Non ho tutta questa fretta di entrare in campo, anzi, vorrei prima scaldarmi un po’ con un’ecpirosi. Purtroppo sono smemorato e della vita precedente non ricordo né quale luogo né quale data io abbia concordato con la mia anima gemella per l’appuntamento in quest’incarnazione, ma spero di rimediare in capo a qualche secolo con una scatola di dolciumi: zuccheri e grassi saturi sono ambasciatori e pacieri ideali in molte occasioni. Ci sarà tempo e modo, almeno finché ci sarà tempo e modo.
Nell’universo e nei suoi immediati dintorni ci sono tanti posti da scoprire, ma conto di restare ancora un po’ sulla Terra per scrivere meglio la recensione che le lascerò quando lascerò il corpo. Forse dovrei volare basso, ma se potessi farlo davvero andrei persino oltre e mi recherei in apnea sul fondo della fossa delle Marianne per una foto di gruppo con gli abissi. Ho una vita interiore così ricca che non m’interessa cosa passa per la testa agli altri, preferisco le mie prime visioni, quindi non proverei mai a spiare quella di un suicida che fosse così incauto da lasciare una tempia aperta.
Mi aggiro tra i fantasmi e le rovine nascenti di un’epoca decadente, ne contemplo i disaccordi e le contraddizioni mentre il cielo perde pezzi d’intonaco. Il tempo precipita rovinosamente all’indietro e le lancette dei suoi estimatori ne indicano le gravi ferite. Tra i nembi gli angeli sono in crisi d’astinenza per la mancanza di salvezza e piangono lacrime acide mentre perdono le piume dalle ali consunte. Tutt’attorno ogni cosa brilla di luce propria, l’ultima, e lo Spirito Santo soffia sulla candele delle chiese per spegnere anch’esse: la nuova tendenza è la tinta unita, visione corvina, total black in ossequio al black out definitivo.
I culti salvifici terminano i saldi sulle giacenze dei magazzini e si preparano ad abbassare le saracinesche: i mercanti del Tempio se la passano male e gli usurai s’indebitano con le proprie certezze. Il prezzo delle anime è in caduta libera, ultimo atto d’arbitrio, come lo fu l’avvento di Lucifero poiché a breve anche il Diavolo non saprà più cosa farne né come liquidare quelle ancora in suo possesso, perciò mentre tutto si esaurisce in sé non resta che iniziare il conto alla rovescia degli eoni. Il silenzio si prepara ad accamparsi per una notte che non passerà mai. L’addio a ogni forma di addio, la perfezione del nulla, la cancellazione ultima e pristina di ciò che fu come se non fosse mai stato. Nessuna preoccupazione può più destarsi dal sonno della ragione, ma d’altro canto nell’oscurità le macchie di vita non risalterebbero neanche se davvero ne sporcassero l’omogeneo dominio. La disgregazione diventa obsoleta e subisce anch’essa la sorte di cui è dispensatrice, difatti le viene a mancare quella terra sotto i piedi sulla quale basa la propria epifania.
Il turno dell’estate si approssima alla conclusione e io la sto salutando con gli ultimi bagni nelle acque cristalline della mia zona, ma certi anni, con il permesso delle condizioni atmosferiche, prolungo il refrigerio salmastro fino a novembre.
A parte i congedi stagionali v’è altro di cui intendo scrivere. Mi sto allenando con regolarità dal primo di giugno e sto raccogliendo i frutti della mia costanza. A luglio ho corso 448 chilometri, ad agosto 607 e proprio in quest’ultimo mese ho battuto il mio record personale di uscite consecutive: sono arrivato a farne ventisette. Mi serve ancora un po’ di tempo per riprendere e persino migliorare la velocità di punta, ma sono nella direzione giusta, qualunque essa sia. Guardo con ottimismo alle mie statistiche in ragione di un test che ho svolto da solo un paio di giorni fa, ovvero 18,5 chilometri a una media di 3’50” al chilometro, con seimila metri di strada bianca dovuti al passaggio in pineta.
Mi piace allenarmi e non mi pesa l’assenza della competizione, ma a tempo debito cercherò di capitalizzare in gara i piacevoli sforzi a cui mi sottopongo per i fatti miei. Non ho ancora espresso il mio massimo e conto di farlo negli anni venturi.
Mala tempora currunt sed peiora parantur
Pubblicato mercoledì 2 Settembre 2020 alle 17:24 da FrancescoDi recente mi sono trovato a parlare vis-à-vis con una “giornalista” straniera, ma il risultato non è stato dei più edificanti. Minchia, se costei può fregiarsi di quel titolo io mi sento in grado di assumere la direzione di Le Monde.
È una di quelle subdole creature che dietro le già deprecabili apparenze del mondialismo perora la rivalsa della sua etnia. Il razzismo non è prerogativa dei bianchi, ma è “patrimonio” comune degli esseri umani e la crudele prova di ciò si trova nelle reciproche intolleranze che si possono trovare alle latitudini più disparate, nella storia delle civiltà e in quei conflitti ancora vivi che spesso non interessano molto l’Occidente.
Le ho fatto presente come il multiculturalismo stia fallendo ovunque e vi sia un antisemitismo di ritorno d’impronta islamica, specialmente in Francia, cloaca europea da cui alcuni ebrei transalpini se ne sono andati per trasferirsi in Israele su invito dello stesso governo di Netanyahu, ma a suo parere si tratta dell’effetto di paure infondate. Eh già, davvero inspiegabili alla luce degli attentati dell’ultimo lustro.
Poi le ho ricordato come nella civilissima Svezia i flussi migratori abbiano creato delle zone dove de facto vige la Shar’iah e nelle quali gli autoctoni sono stati abbandonati dal loro governo, con un incremento dell’insicurezza e un picco delle violenze sessuali.
L’ho invitata a controllare le statistiche della criminalità di Londra e ciò che viene fatto ai bianchi in Sudafrica, ove non di rado alcuni buontemponi s’introducono nottetempo nelle fattorie isolate per dare sfogo ai loro istinti più bestiali, ma la frequenza e l’efferatezza di quei casi non attecchisce sulla stampa quanto la morte di qualche criminale a cui viene data la patente di martire in virtù della sua melanina.
Poiché anche lei è stata in Giappone le ho chiesto se il Sol Levante potrebbe conservare il suo grado di sicurezza qualora accettasse grandi flussi migratori e le ho fatto l’esempio di Tokyo, una megalopoli in cui si può girare a qualsiasi ora del giorno e della notte senza temere alcunché.
Alla domanda retorica di cui sopra ne ho fatta seguire un’altra: “Come mai nazioni come la Polonia e l’Ungheria non vogliono arricchirsi culturalmente per mezzo di cotali meraviglie? Sai che non me lo spiego?”.
Le ho esposto le ovvie ragioni per cui la classe media statunitense ha votato per Trump e le ho suggerito quantomeno di dubitare che quel pacifico movimento chiamato BLM (burn, loot and murder) rappresenti l’intera comunità afroamericana; inoltre le ho fatto presente come una delle fondatrici di quella sigla (tale Yusra Khogali) sia altrettanto razzista quanto coloro contro cui dice di combattere poiché ebbe a definire così i bianchi: “White people are recessive genetic defects. This is factual“. L’invito è sempre quello di controllare motu proprio tali affermazioni.
Ah, poi siccome indossavo una maglietta di lode a Rodrigo Duterte le ho ricordato come prima da sindaco di Davao e poi da presidente delle Filippine egli abbia inflitto duri colpi al crimine con mezzi poco ortodossi, ma forse dal suo punto di vista è meglio avere tossici pericolosi e molesti in giro per le strade perché tanto contano solo le apparenze del cosiddetto stato di diritto, con buona pace di chi viene vessato dalla feccia e non ha modo di difendersi. Potrei aggiungere qualche parola sul Myanmar e su come l’Occidente abbia cambiato opinione in merito ad Aung San Suu Kyi, rea di proteggere il suo popolo, ma credo che questo mio trascurabile scritto sia già fin troppo lungo.
Mi sono scordato di invitarla a dare un’occhiata a com’era New York con la tolleranza zero di Rudolph Giuliani e cos’è invece oggi sotto l’inetta guida di Bill de Blasio, ma spero di tornare sull’argomento quando l’esasperazione della maggioranza silenziosa porterà alla nascita del Quarto Reich.