31
Ott

Didattica efficace

Pubblicato domenica 31 Ottobre 2010 alle 01:48 da Francesco

Lo studio incostante della lingua giapponese mi ha fatto imbattere in un insegnante sui generis. Conosco circa duecento ideogrammi e per ognuno mi ricordo almeno due pronunce, di solito una in cinese e una in giapponese. La grammatica di base mi è chiara, ma non sono ancora in grado di sostenere una conversazione. In un testo posso riconoscere qualche parola e nel migliore dei casi riesco ad afferrare il senso del discorso, ma anche la lettura mi è ancora preclusa e penso di non poterla esercitare fino a quando non apprenderò almeno altri ottocento ideogrammi (anche se a quel punto, ammesso che io ci arrivi, dovrò impararne almeno altri mille per una piena comprensione). La mia scrittura non segue sempre l’ordine dei tratti, perciò un purista o un docente universitario mi bacchetterebbero di sicuro, ma ormai le parole vengono perlopiù digitate e dunque mi avvalgo della pratica manuale (siano lodati i doppi sensi) soltanto per memorizzare meglio gli ideogrammi: insomma, per me la calligrafia non è un fine, bensì un mezzo per uno scopo mnemonico. In tre anni avrei potuto fare molti progressi in più, ma tutto sommato sono soddisfatto per il rapporto vigente tra il tempo che ho dedicato a questo studio intermittente, totalmente privo di pretese, e le nozioni che ho raccolto finora.
Girando qua e là per il world wide web ho scoperto su YouTube alcune lezioni d’un tipo geniale: costui propone un metodo d’insegnamento efficace e divertente nel quale mi rivedo molto. Se potessi e dovessi tenere delle lezioni su qualsiasi cosa, probabilmente userei lo stesso modus operandi, anche se invero già lo adopero per spiegarmi in talune occasioni. Per me il turpiloquio e le volgarità di vario genere sottolineano bene i concetti, a differenza di quanto riesca a fare l’eloquio elegante e monotono di chiunque impartisca lezioni soporifere, convenzionali: in altre parole, quelle accademiche, tristemente impostate. Adoro questo yankee: è davvero un tizio brillante e lo dimostra anche con gli altri video del suo canale.

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29
Ott

Immune all’effetto Forer

Pubblicato venerdì 29 Ottobre 2010 alle 16:42 da Francesco

Durante certe ricerche ho incontrato più volte la figura di G. I. Gurdjieff, ma ho sempre avuto un approccio superficiale e quasi derisorio nei suoi confronti. L’esoterismo mi fa sorridere, anche se devo riconoscerne il fascino evocativo e attribuirgli il merito d’aver ispirato degli episodi letterari piuttosto interessanti. Malgrado la mia ritrosia cerco di attingere qualcosa dal metodo della cosiddetta “Quarta Via” e in particolare mi riferisco al ricordo di Sé e agli esercizi sull’attenzione. Non sono disposto a seguire un maestro in tematiche tanto delicate benché il sistema suddetto preveda l’indispensabilità di una supervisione. Credo che i metodi e le dottrine vengano  erosi dal tempo e dalle sofisticazioni a cui quest’ultimo sottopone qualsiasi pratica che debba essere tramandata. Io mi avvalgo di un sincretismo personale a cui aggiungo o sottraggo pezzi in base alle mie esigenze e da cui bandisco categoricamente qualsiasi forma di spiritualità, tuttavia non vedo di buon occhio neppure la filosofia e mi sento fortunato ad averne una conoscenza ridotta. Punto ad affinare la padronanza della mente e del corpo, ma allo stesso tempo compio lo sforzo quasi paradossale d’identificarmi il meno possibile con tale scopo per preservarne l’autenticità. Quanto sono carezzevoli sull’Ego gli effetti delle discussioni “profonde”? Quanta vanità s’origina nella trattazione di certi argomenti? Per quanto possibile cerco d’evitare queste “soddisfazioni” intellettuali. L’identificazione è un problema gravoso, un male congenito, al quale Krishnamurti ha dedicato le parole migliori che abbia mai letto su questo tema e di cui ho già fatto menzione in altri appunti.
Avverto la necessità naturale di conoscermi e la mia indagine non è dettata da alcun malessere. Se non avessi assecondato il bisogno di scoprirmi probabilmente la mia esistenza ne avrebbe risentito pesantemente. Non sono mai stato indotto né introdotto all’introspezione, bensì alla direzione contraria. All’inizio l’autoanalisi mi ha fatto correre dei rischi notevoli, viscerali e pregni di paura, ma poi mi ha ricompensato. Non mi è stato tolto nulla perché sotto certi aspetti non avevo nulla e continuo a non “possedere” alcunché. Quali forme nefaste avrebbero assunto le mie mancanze emotive se io non fossi stato in grado d’inquadrarle in modo distaccato? Tutto ciò non è mera teoria né un coacervo di considerazioni bislacche, bensì è reale e tangibile perché io sono ancora integro e cammino a passo spedito.

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26
Ott

Qualunquismo consapevole

Pubblicato martedì 26 Ottobre 2010 alle 20:37 da Francesco

Coltivo l’empatia, ma non mi faccio coinvolgere eccessivamente dai drammi che vessano questo mondo. Mi informo e cerco di non dimenticare determinate cose, tuttavia mi devo scontrare con l’impossibilità di fornire un contributo alla soluzione dei problemi altrui e di conseguenza sposo di rado le cause collettive. Le mie opinioni sostengono molte battaglie, però sono soltanto dei pensieri che talvolta faticano persino ad assumere una forma scritta e non hanno alcuna utilità. La politica ragiona troppo su se stessa e i suoi interpreti nel migliore dei casi assomigliano a dei politologi. Apprezzo le istituzioni per ciò che dovrebbero fare, però di fatto chi le rappresenta spesso mi fa dubitare che la democrazia sia il male minore. Non vivo in Niger, nel Laos, in Congo o in Nicaragua e in parte mi sento fortunato ad essere nato in Italia, ma avverto un malessere crescente nei miei connazionali. Chiunque stia bene dovrebbe quantomeno auspicarsi un netto miglioramento delle condizioni di chiunque conduca una vita difficoltosa e questo interesse non dovrebbe sorgere dalla bontà d’animo, bensì dalla consapevolezza che troppa disuguaglianza può creare un clima sociale piuttosto pericoloso anche per quelle esistenze che non risentono direttamente dei capricci dell’economia e dei trattamenti iniqui ai vari livelli istituzionali.
Una parte d’Italia assomiglia a quella Cina che un tempo era nelle mani dei signori della guerra. Lo spirito nazionale s’infiamma soltanto per le partite di calcio e la laicità dello Stato sprofonda sotto il peso dell’importanza che gli organi d’informazione concedono alle dichiarazioni banali e ingerenti del Vaticano. La morale cattolica e il senso del peccato ammorbano buona parte della società, tra cui annovero anche coloro che senza rendersene conto o per mancanza di mezzi intellettuali ne subiscono il retaggio culturale pur non essendo credenti né praticanti.
Io posso soltanto migliorare me stesso e preoccuparmi di qualche faccenda locale, ma sono del tutto impotente dinanzi ai grandi accadimenti poiché non mi rivedo nella linea politica di alcun partito. Sono un qualunquista per necessità e abbandono questa etichetta ogniqualvolta mi sia possibile, ma non penso d’essere l’unico in queste condizioni. Spero davvero che l’Italia possa sopravvivere ai carnefici che l’amministrano e la offendono, inoltre mi auguro di non doverla mai abbandonare definitivamente. Per quanto m’è possibile, cerco d’avere un po’ d’amor di patria.

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24
Ott

Non s’arretra d’un passo

Pubblicato domenica 24 Ottobre 2010 alle 23:30 da Francesco

Mi sento molto bene e credo che la mia forma fisica non sia mai stata migliore. Recentemente ho scoperto la lunghezza reale del mio percorso podistico. SmartRunner mi segnava spesso una distanza di ventiquattro chilometri, ma ogni tanto mostrava delle variazioni eccessive che non potevano essere giustificate dai lievi cambiamenti della traiettoria. Mi sono documentato un po’ e alla fine sono venuto a conoscenza del cattivo funzionamento dell’applicazione suddetta in ambito Symbian. Ho sostituito SmartRunner con Edmondo e quest’ultimo programma mi ha dato dei risultati coerenti, ma ha confermato le prime misurazioni che avevo fatto attraverso Gmaps Pedometer, inferiori a quelle effettuate tramite i primi usi di SmartRunner. Insomma, io percorro ventuno chilometri e settecento metri. In termini di resistenza cambia poco, ma devo rivedere al rialzo tutti i calcoli sulla velocità. Normalmente la mia media è di 4’,30” al chilometro e alla luce della distanza appurata probabilmente non sono mai sceso sotto i quattro minuti, neppure nella mia prestazione migliore.  Devo ammettere che mi sarebbe piaciuto potermi fregiare di questo record personale, ma alla fine non sono un podista e mi alleno per altri scopi. Ho aumentato un po’ i carichi dell’allenamento pesistico e per adesso non avverto alcuna ripercussione. Io non mi alleno in palestra, ma faccio tutto a casa, tra la mia stanza e la campagna circostante.
Voglio lavorare un po’ sulle gambe per rendere più veloci i loro movimenti e guadagnare un po’ d’elasticità muscolare. Il tae kwon do farebbe al mio caso, però non intendo iscrivermi ad alcun corso. Punto a mantenere per almeno dieci secondi la posizione dello yop chagi che ancora non riesco manco ad assumere. Sono soddisfatto della mia capacità polmonare e penso che ormai sia arrivato il momento di ottenere una padronanza maggiore del corpo. Non m’interessano le arti marziali, anche se per quanto possibile cercherò d’attingere da alcune di loro per favorire  l’elasticità fisica. Probabilmente ne uscirà fuori una tecnica ibrida di scarso valore, ma sufficiente per i miei scopi. Dovrò dedicarmi parecchio allo stretching che finora ho quasi sempre snobbato. Lo yoga potrebbe aiutarmi, ma non mi attrae e inoltre sospetto che possa dare dei benefici soltanto con un’esecuzione accurata. Tengo sempre a mente il privilegio che mi ha concesso la natura: un corpo sano.

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22
Ott

Involtini primavera e narcisismo

Pubblicato venerdì 22 Ottobre 2010 alle 22:20 da Francesco

Konban harumaki o tabemasu. Finalmente ho trovato un luogo dalle mie parti ove comprar un po’ di cibo cinese surgelato e sono molto lieto d’aver fatto tale scoperta, anche se l’incipit di questo breve appunto è giapponese. Attendo il nuovo anno per tornare in Oriente e il prossimo viaggio non mi porterà per la terza volta nel Sol Levante benché io conti di tornarci. L’Asia è la mia seconda casa e non escludo che un giorno possa diventare la prima data la devastazione che attende il paradiso in cui vivo attualmente.

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21
Ott

Quandunque il Sé si trasmetta in differita

Pubblicato giovedì 21 Ottobre 2010 alle 00:14 da Francesco

Anni fa mi denigravo giustamente. Se non avessi insultato me stesso non sarei mai riuscito a svegliarmi dall’apatia. Non ho mai trovato un maestro né qualcosa che potesse guidarmi, sennò avrei risparmiato un po’ di tempo. Ho sempre ricevuto esempi negativi che fortunatamente sono stati ottenebrati dalla mia lungimiranza. Anche quando ero sfiduciato e versavo nella mestizia in me sopiva la forza interiore che ancor oggi mi permette di camminare a mezzo metro di altezza. Potrei essere invulnerabile emotivamente, ma se assecondassi questa tentazione arrogante e arida dimostrerei soltanto una forma di debolezza meno palese, invece sono ancora disposto ad abbassare ogni difesa qualora delle circostanze eccezionali lo richiedano e proprio in questa capacità venata di consapevolezza io intravedo la parte migliore di me: non sono affatto freddo.
Il mio approccio ai sentimenti non è passionale né razionale, ma è dettato dall’unione di Psiche ed Eros alla luce del sole e non tramite incontri al buio come nell’opera di Apuelio o nelle usanze pulsionali delle decadi più recenti.
Il tempo non mi inganna più benché io qualche volta riesca a buggerare lui. Sono giovane, però comincio a rischiare di non vivere alcun trasporto emotivo e non mi faccio fregare da un timore che dovrebbe sorgere in me: fanculo, io lascio che divori le energie di qualcun altro. Il futuro è in divenire per definizione e così come non lo metto nelle mani di una cartomante, non lo depongo neanche sulle paure millantatrici che tra l’altro non trovano spazio nella mia lettura della realtà. Nei paraggi della mia persona, dalle anime in pena si levano cassandre esagerate e previsioni cupe, pare inoltre che per costoro ogni passo avanti debba essere seguito da un salto indietro. Mi disgusta questo leitmotiv depressivo e tendo a non dare fiducia a chiunque non l’abbia in sé. Spesso avverto grandi reticenze, sovente più assordanti delle verità che nascondono. L’onestà nei confronti altrui è auspicabile per vivere bene, però credo che quella verso sé stessi diventi addirittura imprescindibile per sventare certi disastri. Proroghe continue, rinvii ingiustificati e vari ricorsi a impegni abituali possono ritardare molto l’incontro di un individuo con i limiti a cui prima o poi dovrà dare udienza. Un tumore che viene lasciato ingrandire, un nemico a cui si concede il tempo di rinforzarsi: a terribili infermità porta la ferma decisione di lasciare altrettanto ferme le questioni insolute a livello interiore. Non critico la società poiché è troppo eterogenea per prestare il fianco a dei giudizi attendibili, però cerco di comprenderne una parte per non farmi contagiare dalla cecità volontaria. Lo ripeto per l’ennesima volta: io non pretendo di cambiare il mondo, d’altronde sarebbe un moto infantile di romanticismo, ma compio gli sforzi intellettuali e fisici per evitare che accada l’esatto contrario. Insomma, i conflitti intestini hanno ripercussioni sull’esterno e prima di puntare il dito contro gli altri forse un individuo dovrebbe domandarsi se non sia stato lui per primo a commettere l’errore di avvicinarsi a persone incompatibili. Talvolta l’incompatibilità è del tutto artificiale e viene evocata per negare qualsiasi valenza ad un’affinità che oltre alla gioia porterebbe anche la necessità di un confronto personale in uno dei soggetti interessati. Credo che nei veri inetti la felicità sia subordinata alla sopravvivenza di determinate istanze psichiche malgrado la parvenza di normalità e d’integrazione sociale che può risultare da un’attività febbrile in più campi o dalla semplice ripetizione di una routine cristallizzata.
Nei mezzi d’informazione forse la questione dei suicidi non viene affrontata spesso per evitare un aumento del tasso di mortalità, ma non sono rari i casi in cui una mancanza di insight porta alla morte come se si trattasse di una carenza organica. Forse una morte vivente insorge anche in coloro che si adattano alla tristezza e dunque l’adattamento a livello personale non rientra nei principi della selezione naturale perché quest’ultima, secondo me e limitatamente al campo emotivo, si spinge al di là di quanto è stato teorizzato per la sopravvivenza. Non compatisco chi decide di togliersi la vita sebbene per questa regola io preveda doverose eccezioni, contenute nel numero e mai nelle circostanze. Il suicidio fisico e quello emozionale per me rappresentano le lezioni più convincenti della natura per quanto riguarda la salvaguardia di sé stessi.

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17
Ott

Contatto

Pubblicato domenica 17 Ottobre 2010 alle 02:37 da Francesco

Suppongo che in una relazione amorosa la sessualità svolga una funzione capitale. Trovo banali e poveri i rapporti che offrano soltanto la carnalità o un appagamento platonico, insomma tutti quei legami incompleti che ancor oggi evito e derido, tuttavia mi domando se io sia all’altezza di sostenere un rapporto che racchiuda in sé un equilibrio perfetto tra istinto e intelletto.
Ormai credo che io abbia conseguito una certa esperienza sotto l’aspetto platonico, però sono completamente impreparato al contatto fisico. Una sciagurata che decidesse d’imbarcarsi in una relazione con me dovrebbe pazientare un po’ per raggiungere l’orgasmo. Probabilmente i primi tempi mostrerei la mia goffaggine e non sarei in grado di fottere come si conviene: ah, diamine! Immagino che una donna percepisca l’abilità del partner a toccarla e penso invece che un uomo difficilmente si renda conto di come i propri gesti impattino sulla cute femminile, tuttavia non mi preoccuperebbe la mancanza di tatto che potrei mostrare all’inizio e dunque neanche l’ansia da prestazione riuscirebbe a farsi spazio in me.
Dalla mia prima sega ne è passato di sperma sotto i ponti, tuttavia non credo che la pornografia mi abbia insegnato granché sul sesso: tanti calli e poche nozioni. Forse soltanto l’esperienza può insegnare le dinamiche dell’amplesso a chiunque sia disposto ad apprenderle senza curarsi subito del proprio appagamento. La sessualità è una dimensione piuttosto lontana da me e con una licenza poetica la definirei in perenne afelio dalla mia realtà, ma ne immagino il potenziale e credo che quest’ultimo sia sconosciuto anche a coloro i quali, pur sessualmente attivi, abbiano soltanto dei rapporti meccanici, improntanti a degli automatismi atavici. Io uso la masturbazione come valvola di sfogo per le pulsioni sessuali e nella mia vita la sua incidenza è tutt’altro che compulsiva, tuttavia non credo che quest’ultima possa svolgere un’altra funzione oltre a quella regolatrice per cui io la osanno.
Io vivo bene nonostante la mancanza d’amore perché ho la consapevolezza dalla mia parte e conosco, da spettatore estraneo ai fatti, quali danni inenarrabili possa subire una vita qualora forzi se stessa per obbedire alle debolezze. La pazienza è la virtù dei forti e talvolta non porta a nulla, ma io la ritengo preferibile a tutta la gamma di disastri annunciati che ormai tracima dai libri d’ogni epoca e dai volti di molta gente.

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15
Ott

Dark Tranquillity a Roma

Pubblicato venerdì 15 Ottobre 2010 alle 00:04 da Francesco

Martedì mi sono recato nella capitale per assistere ad un concerto dei Dark Tranquillity. Il live è stato aperto dai Lunar Sea, un gruppo italiano che io non sono proprio riuscito ad apprezzare malgrado le indubbie qualità. Gli Insomnium sono stati i secondi a suonare e la band finlandese mi è piaciuta molto sotto ogni aspetto, ma d’altronde sapevo già cosa aspettarmi poiché l’ultimo album del gruppo, “Across The Dark”, è stato soggetto a più di un repeat da parte mia. L’unica nota dolente è stata l’acustica dell’Alpheus, appena sufficiente, almeno per me.
I Dark Tranquillity hanno eseguito parecchi pezzi, alternando le tracce dell’ultimo disco alle loro creazioni più note. La voce di Stanne dal vivo è impressionante e mi ha colpito il modo in cui egli cerchi sempre un contatto con il pubblico, tanto che verso la fine del live ha avuto anche le palle di gettarsi tra gli avventori per compiere un po’ di sano stage diving. Erano quasi dieci anni che non ascoltavo nulla dei Dark Tranquillity e questo live mi ha permesso di riavvicinarmi al gruppo svedese, tanto da invogliarmi a rivedere una loro esibizione. Come al solito, durante questo genere di eventi, ho incontrato personaggi piuttosto folcloristici con i quali mi sono intrattenuto a discorrere un po’.

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13
Ott

La salvaguardia dell’autenticità

Pubblicato mercoledì 13 Ottobre 2010 alle 16:22 da Francesco

Nel migliore dei casi resterò a questo mondo per altri settant’anni, ma non ho progetti né idee con cui costipare l’avvenire e continuo a non provare il bisogno di crearmi un’identità precisa per ricavare dal tempo a mia disposizione i germogli dei ricordi futuri. Ancora una volta mi permetto di ospitare una citazione di Emil Cioran sebbene non abbia ancora l’età per poterla condividere pienamente: “Quello che so a sessant’anni lo sapevo altrettanto bene a venti. Quarant’anni di un lungo, superfluo lavoro di verifica…”.
Sono in grado di camminare da solo e posso orientarmi tanto con le scelte ponderate quanto con i colpi di testa benché io non sappia replicare le prodezze di Oliver Bierhoff. Provo una certa insofferenza nei confronti di chiunque non possa guardare dentro di sé o non voglia farlo per timore delle possibili conseguenze, tuttavia riesco a tenermi lontano da individui del genere e adopero paratie di silenzio o d’indifferenza per non deviare troppo l’attenzione da me stesso. Vivo in una democrazia immatura e sono circondato da persone insicure, però, dando un rapido sguardo alla storia e ammettendo che quest’ultima riporti la verità, non posso certo lamentarmi più di tanto del tempo in cui vivo e invero non ne ho motivo alcuno, almeno per quanto riguarda direttamente la mia esistenza. Sono una comparsa, felice di non essere papabile per il martirio. Io seguo l’andamento dei giorni e non ho grandi critiche da muovere a chicchessia. Credo che il bene si affermi da sé e si sviluppi al di là delle intenzioni più feconde.
La mia condotta non è improntata al diniego e alla derisione dei giudizi altrui, ma si premura di limitare le coercizioni più o meno percepibili che possono essere dettate da alcune circostanze. Talvolta appaio sgradevole e sgarbato, ma tali apparenze secondo me costituiscono un prezzo accettabile da pagare per non snaturarmi eccessivamente in un ambiente che pullula di indoli diametralmente opposte alle mia. Non m’illudo d’essere sempre autentico e talvolta, anche a distanza di anni, noto a posteriori l’artificiosità inconsapevole di certe azioni o di determinati ragionamenti. La falsità non si annida soltanto nelle debolezze altrui e non la tratto mai come un corpo estraneo, ma cerco anzitutto di prevenirla in me e non riesco sempre a scongiurare il suo ingresso furtivo nelle espressioni della mia personalità. Non provo sensi di colpa su questo punto poiché si tratta di episodi che sfuggono alla mia coscienza, tuttavia rinnovo a me stesso l’invito a compiere maggiori sforzi per ridurre ulteriormente questa enclave della stupidità.

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9
Ott

La fiera del supplizio

Pubblicato sabato 9 Ottobre 2010 alle 19:02 da Francesco

Un pomeriggio, durante il mio soggiorno a Taiwan, mi recai in una grande libreria di Taipei con l’intenzione di acquistare un paio di libri in inglese e uno dei due fu “The Rape of Nanking” di Iris Chang, di cui tra l’altro esiste anche una traduzione in italiano.
La lettura del testo mi ha portato a diverse conclusioni. Anzitutto mi ha confermato il grado di ferocia che i giapponesi adottarono nel corso della Seconda Guerra Mondiale, di cui supponevo erroneamente che la costruzione della cosiddetta “ferrovia della morte” in Birmania fosse stata la massima espressione. Ho trovato anche una conferma per quanto riguarda l’uso delle bombe atomiche da parte degli Stati Uniti per porre fine al conflitto nel Pacifico. Ho sempre sposato la tesi di alcuni storici secondo cui il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki costrinse l’Impero Giapponese a una resa che nel caso in cui non fosse giunta avrebbe prodotto un numero considerevolmente maggiore di vittime, sia tra le fila degli Alleati che tra quelle del Sol Levante. Ovviamente lo sdegno di alcuni contemporanei non tiene conto di quanto e come si sarebbe protratto il conflitto senza un’azione così drastica che Truman fu ben lieto di non dover compiere una terza volta.
Il massacro di Nanchino secondo me viene giustamente definito come un olocausto dimenticato. Nel mondo occidentale pare che gli ebrei abbiano l’esclusiva sulle persecuzioni e ancor oggi certi politici tirano in ballo la Shoah per argomentare le loro idee con dei parallelismi che ogni tanto si rivelano piuttosto imbarazzanti.
Nell’arco di alcune settimane, a Nanchino, i giapponesi uccisero circa trecentomila civili, ma non si limitarono a compiere un eccidio e dettero prova di un sadismo pari a quello nazista o forse addirittura maggiore in alcuni frangenti. I civili agonizzanti erano usati come bersagli viventi per l’uso della baionetta, le donne venivano mutilate, i genitori venivano costretti ad avere rapporti sessuali con i figli, altre vittime venivano sepolte vive, le decapitazioni erano innumerevoli e i cadaveri (o ciò che ne rimaneva) subivano scempi di vario genere.
Non credo che possa essere istituito un concorso per eleggere il massacro più cruento, tuttavia nei testi di storia che finiscono sui banchi di scuola forse dovrebbe trovare spazio anche questo evento, magari un paio di paragrafi prima di quello in cui solitamente viene raccontato l’operato dell’Enola Gay e del Bockscar.
Infine, oltre alle considerazioni superficiali di carattere storico, ho ricavato l’idea che l’empatia collettiva possa essere una questione prettamente geografica e cronologica. Non importa tanto cosa sia successo, bensì dove e quando oltreché al modo in cui siano rese note le coordinate spaziotemporali. Nella storia come nella politica ci sono troppi paralogismi e faziosità eccessive. Credo che i cambiamenti avvengano inevitabilmente al di là delle idee con cui la superbia dei vincitori (oggi si chiamano “eletti”) prova a rendersene interprete e attuatrice. Determinismo e meccanicismo non sono concetti che mi appartengono. Non disturbo la Terra, la lascio ruotare attorno al suo asse e ringrazio chiunque si prenda la briga di identificarsi con le ideologie o le correnti di pensiero, difatti se non ci fossero così tanti amanti dei giochi di società, anch’io, invece di perdere tempo a scrivere cose del genere, dovrei impegnarmi a mantenere gli squilibri del mondo in cui sono nato.

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