Sono passati quarantuno anni da quando sono venuto al mondo e negli ultimi dodici ho corso quarantamila chilometri, ma non sono arrivato da nessuna parte e non so neanche se vi sia una destinazione: v’è davvero una fermata escatologica presso cui scendere? Non ho meta e vagabondo nel ristretto tempo dell’attuale incarnazione. Cerco di fare in modo che il mio organismo secerna poco cortisolo e tutto sommato sono contento. Non ho radici né punti fermi, però ho un preciso senso estetico e mi pervade una certa sicurezza interiore full optional: sono proprio in una botte di ferro che spero non arrugginisca.
Con il proverbiale senno di poi si può fare qualunque cosa nel regno della fantasia, ma a discapito di quanto accade e viene interiorizzato nel dominio della realtà. Io sono tra le cose del mondo, cosa del mondo io stesso.
Per il mio genetliaco non ho regali da farmi né da ricevere, non v’è quest’oggi nulla che mi cagioni un picco glicemico, non ho nostalgie da riverire con incensi e ricordi né effusioni da scambiare. Non ho fiori del male da innaffiare, non isso la bandiera del pessimismo e, nella misura del possibile ma soprattutto della mia pigrizia, provo a levigare il tempo corrente. Non so cosa accadrà in futuro, ma se millantassi doti di chiaroveggenza di sicuro aprirei una trasmissione televisiva su qualche rete locale, con un modus operandi un po’ anacronistico, di fatto vintage, ma comunque valido per imbonire gli spettatori più âgé.
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Giu