Pubblicato domenica 13 Aprile 2025 alle 18:17 da
Francesco
Mi ha sempre disgustato il puzzo di fumo e per evitarlo mi sono precluso occasioni di vario tipo, alcune forse irripetibili.
Per me il tabagismo è vomitevole in ogni sua forma, infatti urta il mio senso estetico anche quando riguardo qualche film della nouvelle vague.
Non chiedo mai agli altri di smettere quando mio malgrado ne incontro le coltri, ma prendo e me ne vado, tanto cosa può mai capire chi deve ficcarsi qualcosa in bocca per stare tranquillo? ?
Ecco perché mi fa ridere che i Camel siano il mio gruppo preferito e che la copertina del loro album migliore (per me) faccia il verso ai pacchetti delle omonime sigarette.
Sono molto affezionato a questo disco e lo ascolto quando ho bisogno che qualcosa mi parli in un certo modo.
Ne ho la prima stampa in vinile, una remaster in CD di qualche anno fa e un’edizione giapponese in SHM-CD.
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Pubblicato martedì 8 Aprile 2025 alle 02:23 da
Francesco
Era da marzo dello scorso anno che non riuscivo a serbare memoria d’un sogno, o almeno a farlo in una misura tale che mi consentisse di scriverne. Questa lunga assenza di ricordi onirici forse è stata specchio di una prolungata fase in cui il mio inconscio non ha avuto molto da dirmi o, forse, le circostanze e la modesta entità delle astrazioni lo hanno fatto esprimere a sussurri.
Mi trovo su una grande barca insieme ad altre persone di cui non rammento i volti ma che sono certo di conoscere. È bel tempo e le ore sembra che appartengano al primo pomeriggio. A un certo punto entro in sottocoperta e mi stupisco perché riconosco il volto di S., una ragazza reale con cui ebbi a parlare anni e anni fa su suo impulso. Lei non si avvede di me perché è intenta a fissare con aria stupefatta un bell’uomo che la osserva alla stessa maniera. I due si guardano intensamente, al modo in cui forse si può immaginare la folgorazione di un colpo di fulmine, e all’improvviso si baciano con grande trasporto. Alla vista di questa scena romantica vengo colto da un sentimento ibrido in cui amarezza, rassegnazione e ammirazione si mischiano insieme, perciò mi allontano e vado in un altro angolo della sottocoperta, ma qui l’ambiente cambia e mi ritrovo in un negozio in disuso presso una via commerciale che associo alla città della ragazza suddetta. Qualcuno mi dice qualcosa ma non riesco a capirne le parole. All’improvviso la scena cambia ancora e mi sembra di vedere un film a colori con Alberto Sordi (anch’esso simbolo della città a cui ho fatto cenno poc’anzi) sebbene egli non appaia e io sia convinto di conoscere il titolo della pellicola: il protagonista passa davanti a una grande struttura in cui c’è scritto “Liberal” a caratteri cubitali, poi percorre una ripida salita per raggiungere un grande monumento in marmo in cui dice e fa delle cose di cui non riesco a rammentare nulla: fine.
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Per tentare una vaga interpretazione dovrei tirarmi su le maniche se già non indossassi una t-shirt. Sotto certi aspetti questo sogno ha degli elementi ricorrenti, ovvero la distanza e la voragine affettiva, ma contiene anche degli elementi criptici e inediti di cui non so fornire manco i contorni. Proprio in questi giorni pensavo e scrivevo di come certe esigenze emotive si affaccino con più convinzione nel corso della primavera, perciò immagino che il sogno dia conto di questa recente dinamica. Credo che l’inconscio si dimeni e voglia spronarmi affinché io compia quanto mai ho potuto o voluto compiere, ma le cose non funzionano in modo così meccanico e quindi mi attendo visioni analoghe nelle notti venture. L’unico volto noto per me è stato quello di S., di cui non so più nulla da parecchi anni, ma credo che la sua apparizione sia stata simbolica e non riferisse di lei in quanto lei. La mia non è una lotta interiore, ma è simile a un fenomeno atmosferico, un po’ come la pioggia nelle stagioni monsoniche. Forzature non possono esservene né in un senso né in un altro e se nulla nasce di spontaneo, allora spontaneo è il nulla stesso.
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Pubblicato sabato 5 Aprile 2025 alle 21:34 da
Francesco
Arrivo spesso a un punto morto e non ne ho alcuno di riferimento, ma riesco sempre a trovarne uno d’osservazione. Guardo in avanti perché non ho gli occhi di dietro né il vizio della nostalgia, però non mi perdo nella stantia retorica di chi illude se stesso che vi siano alternative all’avanzata nel tempo: come tutti gli altri non posso che seguire l’andamento dell’entropia e le sue implicazioni più o meno dirette. Mi lascio trascinare dalla corrente mentre cavalco un coccodrillo di gomma.
In questo periodo non nascondo una certa e persino piacevole malinconia, però nemmeno la metto su un piedistallo in bella mostra: non sono né suo complice né suo delatore e arraffo quanto di buono mi concede. La primavera mi piace, ma produce in me moti d’animo che all’apparenza si contraddicono o si annichilano, come se vi fosse un rendez-vous di particelle e antiparticelle.
Il mio accentuato isolamento mi giova oltremodo perché mi concede vantaggi concreti, ma al contempo mi preclude ciò di cui l’attuale stagione è sovente simbolo o allegoria. In effetti sono regioni di cui non ho mappe né indizi, terre ignote ove non mi sono mai avventurato, ma almeno non passo l’estate in qualche villaggio vacanze a fare balli di gruppo: non si può avere tutto nella vita, o forse, a volte, sì. Posso parlare e scrivere a malapena per me stesso, con me stesso e in me stesso: così faccio da decenni. I miei dialoghi interiori, di cui queste righe infinite sono una delle molteplici espressioni, costituiscono un attenzione verso il mio Sé, l’amor proprio, la cura nel senso d’aver cura di me e, talora, anche della guarigione. Tendo a ripetermi perché mi faccio eco non una, ma più e più volte. Mi piace passare le mani sul mio volto rasato: detesto la peluria.
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