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E ancor sciabolo tra nembifere circostanze

Pubblicato lunedì 6 Febbraio 2012 alle 12:47 da Francesco

Adesso tengo la bestia per il collo e stringo sempre di più la mia presa. Le riflessioni degli ultimi giorni e una lunga dormita mi hanno giovato oltremodo. La lotta ha smesso di essere impari, ma è ancora lontano il momento di cantar vittoria. Non c’è nessuno che mi possa aiutare e nessuno ha modo d’intromettersi in questo caso, ma per fortuna non ho motivo di preoccuparmi di una ingerenza poiché non vanto una scuderia di alleati né un harem da cui qualcuno possa tentare di lanciarsi in mio soccorso: il risparmio di inutili martirii!
Sono questi travasi di veleno nella psiche che mi esaltano ogniqualvolta mi renda conto di come non possano essermi fatali, difatti è l’incertezza della loro efficacia che puntualmente m’espone ai colpi sotto la cintura. La perdita della madre, il cancro, la povertà, la catastrofe atomica, ogni sconfitta possibile e ogni tradimento, tutto ciò io contemplo negli inferi presso cui possiedo una seconda casa; altro poi si aggiunge, amorfo e subdolo, pronto a strapparmi della vita prima che sia la vita stessa a disfarsi di me. Posso accusare i colpi e cadere molto in basso, posso financo accasciarmi e sembrare spacciato, ma c’è sempre una forza interiore che mi consente d’eseguire un colpo di reni. Non è cambiato nulla nella mia esistenza da quando la componente maligna si è acuita, ma sono rientrato in possesso della freschezza necessaria per far sì che la mia lucidità non mi serva soltanto a rendermi conto della profondità delle ferite.
Non esistono mercenari che possano affrontare simili battaglie, non c’è delega d’affibbiare né la consueta divisione della mia specie in uomini e caporali: col cazzo che io sto solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole, ma in equilibrio sulla ghiandola pineale vergato da rinnovato vigore: ed è subito acume. Fanculo Quasimodo, sono gli echi di Spartaco che devono giungermi. Non mi piacciono i tatuaggi, non vanto le cicatrici delle persone che si reputano vissute, bensì io ricorro alla levigatezza di una pelle nuova a ogni muta: mi svesto con le vipere. Andiamo avanti.

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