È una bellissima giornata colma di nubi e la sfrutterò per andare a fare un giro in campagna. Spesso sono costretto a trovare espedienti estemporanei per evitare che i miei giorni siano dei cloni ordinati sul calendario. Il relax continua a cullarmi e ad allattarmi, sembra che non abbia intenzione di svezzarmi e in parte ne sono felice. Mi chiedo se un giorno ritornerò a contatto con la placenta. Alle volte mi sembra che il tempo scorra diversamente dal solito, ma so che il suo moto unidirezionale non muta mai. Quante volte ho già vissuto questo momento? Quante volte ho digitato il punto interrogativo alla fine di questa frase? Forse in qualche mondo parallelo sono un pilota di formula uno, mentre in un altro riesco semplicemente a prendere la patente senza eseguire riti propiziatori. Dove viene stipato il passato? Alle volte i ricordi giacciono in container a tenuta stagna. Non sono un carceriere e non confino le mie poche memorie. Vorrei essere in grado di dare l’amnistia a tutte le mie reminiscenze per farle diventare ricordi nitidi. Ci sono frammenti di tempo confusi che qualcuno utilizza per creare puzzle più surreali di Dalì. La confusione è una trafficante di giustificazioni. Penso che per osservare sé stessi occorra la capacità di fendere il proprio Ego e di isolarsi temporaneamente, in modo tale da trascendere qualsiasi influenza esterna o interna. Alle volte è difficile dire: “Ho sbagliato tutto”. Suona tragico e da vittimisti, ma non credo che l’errore sia sempre qualcosa di drammatico. L’errore può essere un semplice dato di fatto, una constatazione che non muta il modus vivendi di chi sbaglia: una sentenza, un’ultima parola o un’espropriazione. Credo che le scuse e l’abiura siano formalità morali. Le mie righe sono un po’ sconnesse, ma io le comprendo. Per me è venuta l’ora di muovere le gambe: fatica, aspettami.
Ci sono ricordi mai vissuti che si fanno strada sotto la corteccia cerebrale. Un uomo senza una gamba è appoggiato al muro di una strada buia, suona il sax e attende l’ultimo autobus per raggiungere l’ultima fermata. Poco più in là, dentro una casa colma di trapunte ricamate a mano, una giovane donna sola si strafoga di barrette dietetiche. Conto i giorni che passano come un rapinatore conta le banconote all’interno di venti metri quadri. Odori nauseabondi violentano le narici. Un coro russo intona un orgoglioso motivetto sovietico e al contempo un branco di topi affamati assale una culla. Alcune candele accese illuminano le siringhe che si trovano nel sottopassaggio di una strada secondaria, i riflessi sugli aghi colpiscono le cornee degli astanti e richiamano l’attenzione delle gazzelle. Il pantano colleziona le orme dei disperati e offre l’ultimo alloggio alle carogne degli animali. I rovi e le erbacce circondano le case dei clandestini: nomadi sedentari provenienti dall’Europa dei poveri alimentano le proprie tradizioni. È un primo pomeriggio d’estate ricoperto dalle nubi; un vecchio matto recita un sermone davanti a uno stormo di corvi appollaiati sui cavi dell’alta tensione e attende inutilmente un loro plauso. Finti innamorati studiano strategie per dominare la propria relazione sentimentale. La lotteria delle malattie infettive continua senza sosta le sue estrazioni. Stracci impregnati con il sorriso di Mastro Lindo detergono le mattonelle del pronto soccorso mentre tutto tace nel frastuono.
Un reggimento di rottweiler con occhi iniettati di sangue si aggira per le strade alla ricerca di cuccioli d’uomo. Giovani reazionari ostentano simboli anacronostici per placare la fame d’identità. Telecamere indiscrete fanno capolino dai capitelli senza che nessuno se ne preoccupi: la privacy non è un diritto, ma solo una parola inglese che fa tendenza. All’interno di una grande pinacoteca fatiscente sono esposte tele macchiate dagli schizzi urinari di artisti quadrupedi e nature morte circondate da piante rampicanti ancora vive. I cassonetti bruciati e le grida prive di senso sono manifestazioni d’odio sempre più comuni. Lo scontro di opinioni spesso si trasforma in uno scontro armato, una mattanza senza fine che giova alle casse delle pompe funebri e svuota le pompe dei vigili del fuoco. Lo scheletro urbano soffre di osteoporosi: fratture multiple e scomposte sono all’ordine del giorno. Durante l’ora di pranzo le famiglie spengono le televisioni e i cellulari per ascoltare meglio le proprie grida: strali violenti, invettive, bestemmie armate e insulti calibrati ad hoc. Il tenore stonato lancia le proprie urla, la mogliera risponde e le voci bianche dei figli suggellano la banalità del dramma domestico. Liti e pacificazioni, diplomazia spicciola e psicologia in pillole. Uomini pluridecorati nascondono le proprie perversioni dentro una cassapanca costruita con una morale subdola, intanto le loro figlie sfoggiano corpi decadenti e comprano paste costose che non provengono dalle pasticcerie. Colonnati erosi dal tempo testimoniano in silenzio l’epilogo di ogni generazione rincoglionita dagli effetti lisergici e dalla trasgressione ordinaria.
Stamane sono andato alla ASL per ottenere il certificato medico che mi occorre per rinnovare il foglio rosa. Trovo che l’Azienda Sanitaria Locale del mio comune sia un luogo lugubre popolato da umanoidi senza più speranze leggibili negli occhi. Fuori piove sul bagnato, mentre nel mio intimo l’empireo è compenetrato dai raggi gamma del relax. Non c’è una sola nube che riesca a ottenebrare la mia interiorità; credo che le ottime condizioni atmosferiche delle mie interiora invisibili dipendano dall’indifferenza timida che nutro nei confronti dei successi e dei fallimenti nei quali incorro da ventidue anni. Dovrei utilizzare più virgole, ma preferisco sforzare i miei polmoni per leggere ciò che scrivo. Parole tutte d’un fiato, come una medicina inutile somministrata a un malato terminale. In casa ho molti libri e tra questi ce ne sono due che non ho mai letto e che non ho intenzione di leggere: i libri in questione sono due opere di Herman Hesse. Non mi piace la poesia, non ho abbastanza sensibilità per comprenderla, non ho la volontà di assimilarla e desidero tenerla lontana da me. Alle diciassette mi recherò a scuola guida: penso che prenderò la patente in concomitanza con la perdita della mia verginità e immagino che tutto ciò avverrà dopo il completamento del ponte sullo stretto di Messina. A parte la facile ironia: spero di prendere la patente prima di crepare per vecchiaia.