Salto in mezzo alla vita, sorrido alla morte e spesso piscio in mezzo alle piante di mia madre. Che quella cazzo di orchestra suoni un po’ di dixieland, voglio imparare a ballare con quella scrofa incartata nella flanella. Usciamo da questo locale: portatevi dietro le bottiglie e non dimenticatevi l’anima. Forza branco di alcolizzati in erba, andiamo a fare baldoria davanti alla camera mortuaria; chi è morto è troppo contento per lamentarsi delle nostre gare di rutti intercalate da lunghe serie di bestemmie. Ehi tu, faccia di culo, smettila di mandare SMS alla tua bella e chiama quell’imitatore di James Brown, voglio che il funk avvolga ‘sta cazzo di atmosfera funebre. L’alba aspetterà i nostri comodi e sorgerà solo quando ce ne saremo andati. Siamo gente seria e non ci piace la cultura del lutto, preferiamo commettere atti di bontà nei confronti dei i vivi invece di piangere i morti tenendoci le mani sul pacco. Non facciamo finta di essere dei duri, anche noi versiamo lacrime, ma non riusciamo a lasciarle cadere per un evento banale come la morte. Siamo giovani e vecchi, ce ne freghiamo della vedovanza; gli scialli neri stanno bene solo sulle spalle delle protagoniste dei cortometraggi porno soft o sotto i capelli di Anna Magnani. Litanie, tombe, discorsi prolissi e un numero consistente di frasi di circostanza. Se qualcuno desidera che io venga al suo funerale, o quello di un suo congiunto, deve permettermi di presentarmi come Carlo Verdone nelle prime scene di “Un Sacco Bello”: mano sullo scroto, catena pacchiana al collo e capelli alla Tony Manero. Mi sono appena accorto che non c’è una folla a pensarla come me: i duecento specchi di questa stanza mi hanno gabbato.
Sono al comando della mia vita e ne sono felice. Avverto ancora un lieve senso di incompletezza a causa della mancanza cronica di affetto che mi caratterizza, tuttavia questa carenza non riesce a inficiare il mio benessere. Stasera ho corso molto e prima di tornare a casa mi sono fermato a comprare un kebab e una bottiglia di Coca-Cola che consumerò più tardi. Sono così felice che non mi importa di conoscere l’origine irrazionale del mio splendido stato d’animo. Le mia stanza è invasa dal suono incalzante di “Powder Burns”, un album pop dei The Twilight Singers. Mi piace la mia vita perché mi aiuta a sentirmi appagato con scelte che alle volte appaiono illogiche ed estemporanee. In questo periodo provo sensazioni splendide e quasi ineffabili. La pace che mi pervade è simile a quella del 1945: i carri armati attraversano le città senza fare fuoco, i soldati americani dispensano cioccolata e i ragazzini scalzi giocano in mezzo alle macerie, tra la polvere e i rottami lasciati dai capricci bellicosi degli adulti. Da alcune notti sto seguendo una serie western trasmessa da La7: mi vedo bene con un cappello sporco, la barba incolta e uno sguardo alla John Wayne: “Avanti gringo, fai parlare la tua pistola”. Non mi presenterò per il mio mezzogiorno di fuoco: non ci penso nemmeno ad alzarmi così presto per crepare. I miei polmoni sono capienti e questa sera mi hanno dato una bella soddisfazione durante la mia corsa. Salto di palo in frasca, metto insieme frasi sconnesse e me ne compiaccio. Non ho molto da dire, ma trovo sempre delle parole con cui riempire queste pagine virtuali che incido da mesi. Concludo e mi appresto a varcare la soglia del cesso per dedicarmi a una cacata soave.
Anche questa notte ho passeggiato per i vicoli della mia cittadina. Le mie Asics hanno calpestato il selciato e le immagini di una televisione esposta in vetrina hanno attraversato i miei globi oculari. Ho sfilato sotto una fila di lampioni bianchi e ho accompagnato i miei passi con il suono di un album di Big L: “Lifestylez Ov Da Poor And Dangerous”. Non sono nato ad Harlem, non sono povero e nemmeno pericoloso. In questi giorni è sorto in me il desiderio di nuotare: dalla prossima settimana farò qualche vascata in mezzo a dell’acqua depurata con il cloro. Non vedo l’ora che sia lunedì per utilizzare a sbafo una piccola piscina situata in mezzo alla campagna limitrofa. Ho ricevuto alcune notizie da Roma: Bogdan, il mio compare rumeno, tra pochi giorni tornerà in Romania a seguito dell’ennesima delusione lavorativa. Bodo ha lavorato circa undici ore al giorno per un mese, domeniche comprese, e il suo datore di lavoro gli ha dato cinquecentocinquanta euro. Mi dispiace che questo ennesimo figlio di Ceausescu debba tornare in patria, ma penso che girerò ancora qualche scena con lui sul set della mia vita. Queste ultime parole mi fanno pensare a J. e alla sua tesina. J. è stupenda, paziente e sveglia, mi fa delirare il suo spirito da crocerossina, ma devo conoscerla meglio per capire se le mie impressioni sono corrette. Voglio vivere a lungo, molto a lungo. Il pensiero della mia morte ricorre spesso in me, ma credo che sia inevitabile a causa dell’abbondanza di tempo di cui dispongo.
La notte mi ha sempre regalato ore di dolcezza riflessiva e per questo motivo le sono molto grato. Credo che i migliori momenti della mia vita abbiano fatto la loro comparsa durante la notte: camminate senza compagnia, musica senza musicanti, monologhi ad alta voce e pisciate con le braccia allargate. Ho esplorato cabine telefoniche maleodoranti, ho inalato gli odori dei panifici, ho contemplato il pessimo writing sui muri, ho deposto trifogli di fronte a lavatrici arrugginite ricoperte dall’intonaco, ho ascoltato i lamenti di alcune persiane e ho frugato negli occhi di chi è passato accanto alla mia ombra. In certi momenti ho avuto paura senza motivo. Alle volte ho camminato con gli occhi chiusi, lentamente, senza temere gli ostacoli urbani. Penso che la notte abbia molto da offrire. Nel mio immaginario ci sono coperte invernali riscaldate dall’intimità, occhiate minacciose a causa del sonno, scambi di parole e parole scambiate per altre, frasi di circostanza che non vengono pronunciate e il desiderio di tornare a casa. Durante le mie camminate notturne ho letto molti manifesti funebri e ogni volta, dopo la lettura di uno di quei comunicati così macabri, sono stato assalito da un po’ di malinconia. La notte ha messo in luce la mia empatia, ha acuito i miei riflessi e mi ha dato ripetizioni esistenziali. Le ore buie che ho trascorso a camminare, in realtà sono state ore spese a studiare me stesso davanti a un tecnigrafo invisibile. I miei sono vaneggiamenti a tarda ora, ma contengono un briciolo di senso che mi fa commuovere un po’. Ho bisogno di una piccola rivoluzione personale, devo insorgere contro l’inerzia, ma a tempo debito. Mi sento bene, ma ho sonno: laverò i miei denti, mi avvolgerò nella coperta che si trova sopra il mio letto e adagerò il mio cranio sopra il capezzale.
Voglio vivere altri cinquecento anni prima di incontrare i barellieri alati. Attendo le prime vacanze interplanetarie: desidero bagnare il mio ventre con l’acqua di un mare senza nome. I miei piedi vogliono camminare lungo territori che non sono ancora stati riportati sulle carte geografiche. Non sono io a scrivere queste parole, ma è la mia voglia di trascendere che si manifesta con la scrittura. Spero che qualcuno mi lasci avvicinare a quella porta per sbirciare un futuro troppo lontano per i miei limiti biologici. Penso che a volte la vita sia corta e incapace di accorgersi delle prodezze del tempo. Voglio mantenere le mie memorie, voglio ritrovare le reminiscenze perse e collezionare frammenti di eternità: voglio vedere il divenire mentre diviene. Anche se vivessi cento anni non riuscirei a soddisfare la mia curiosità. Mi chiedo se la morte sia solo una pausa da uno stato di coscienza. Anche la morte ha una morte o è immortale? Forse solo chi è già morto possiede un livello di astrazione così elevato da rispondere a certi quesiti metafisici. Non mi servono le pagine sacre propinate dal teologo di turno con l’hobby della profezia. Voglio osservare disegni inesplicabili che mi facciano intuire i meccanismi che regolano l’esistenza. Serro lo sguardo e mi lascio cadere in una laguna blu, attendo che le bolle d’aria consolino le mie costole e che le lunghe alghe gialle solletichino la giovialità dei miei piedi.
Oggi compio ventidue anni: è passato molto tempo dal momento in cui sono uscito dalla fregna di mia madre. Trascorrerò il mio compleanno vagando a vuoto per la campagna e tornerò a casa tra qualche ora, con la faccia ustionata dal sole. Spero che le nubi attenuino gli effetti dei raggi solari. Vorrei farmi un regalo, ma non ho bisogno di nulla. Quel burlone del Papa ha definito i pacs come “l’eclissi di Dio”; perfetto, eclissiamolo questo dio fiabesco che è mosso da una banda di burattinai porporati. I pacs non mi riguardano, ma credo che siano un passo importante per un paese che si definisce laico e moderno. Ratzinger dovrebbe tornare a giocare con l’uniforme della Hitler-Jugend invece di lanciare i suoi strali da vecchio despota. Perché un non credente deve essere limitato nei suoi diritti da un’oligarchia religiosa? Credo che la differenza tra Al Qaeda e il Vaticano sia solo nella forma. Un giorno ogni religione crollerà, comprese tutte le confessioni cristiane e il ricordo legato a questi culti di follia risiederà solo nella bellezza architettonica dei luoghi di culto. Provo un’avversione viscerale nei confronti della religione e in particolare di quella cattolica. Non mi vesto con maglie che inneggiano a Satana o che riportano il numero della bestia sul girocollo, mi fa ridere ogni tipo di esoterismo e ritengo che coloro che si illudono di praticare arti occulte, o di altra matrice esoterica, siano solo gli ennessimi schiavi di un culto con un cerchia ristretta di proseliti. La Trimurti induista, Yahweh, Belfagor, l’Arcangelo Gabriele, Maometto, Mosè, Mitra, Astaroth per me hanno lo stessa importanza di Uan, Four e Five, ovvero la trinità di “Bim Bum Bam”, Benny Hill, la signora Coriandoli, il mago Do Nascimento e Tomas Milian nei panni de “Er Monnezza”.
Il soul isterico di Wilson Pickett allieta le mie orecchie. L’estate sarà calda e lunga, almeno così affermano certi signori che hanno a che fare con la meteorologia. Forse l’afa estiva sarà più sopportabile per i conti pubblici che, a quanto pare, sono con l’acqua alla gola. Sono contento che il crack della Parmalat trovi ancora spazio sulle pagine dei giornali e spero che il processo a Tanzi e soci si concluda prima della prossima glaciazione. Vorrei il 41 bis per ogni Barabba infame che ha fatto “economia creativa” con i denari dei piccoli risparmiatori, ma credo che sia difficile che un sistema così canceroso condanni se stesso. Mi chiedo se le banche riusciranno a ridurre questo paese nelle stesse condizioni dell’Argentina; forse è meglio che io prepari il passaporto per dirigermi in qualche paradiso fiscale. Le strade italiane sono lerce, gli abusi edilizi proliferano sotto l’impassività di leggi scritte con il culo, la speculazione ormai è un dogma morale, il nepotismo si conferma anche nel ventunesimo secolo, la corruzione è diffusa e tollerata quasi a ogni livello e la legge del taglione vige ancora in certe zone dello stivale italico: forse il tempo non passa così velocemente, probabilmente mi trovo ancora negli anni ottanta e non me ne rendo conto. Se penso all’Italia mi viene in mente uno di quei paesi dell’Est nati dalla caduta dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, con la differenza che, a mio avviso, le donne dell’Est sono più aitanti. Espatriare o no? Se dovessi abbandonare la mia patria non scriverei mai una nuova “A Zacinto”, ma manco per il cazzo.
Il sax frenetico di Bob Berg accompagna il mio ozio domenicale. Sono annoiato e contento. Muovo le dita sulla tastiera, sbadiglio senza coprire la bocca e scoreggio con veemenza. Mi sono alzato alle undici e trenta, eppure ho già sonno. Come posso ingannare le prossime ore? Alle volte mi piacerebbe mandare avanti il tempo come facevo da piccolo con le VHS della Disney. So che non dovrei trovarmi nella mia stanza, ma da qualche altra parte a fare qualcos’altro. Non sono atteso da persone speciali, non ho nomi da pronunciare con entusiasmo e per me non ci sono grandi eventi da attendere con impazienza. Ogni tanto trovo che sia davvero deprimente trascorrere intere giornate senza fare un cazzo, mentre altre volte l’astinenza da qualsiasi attività provoca in me una sensazione piacevole. Vorrei essere in grado di restare a letto per interi giorni, senza fare nulla, tranne fissare le travi del soffitto e ascoltare le battute indecenti sussurrate dal mio intelletto. Anche gli anfratti della mia intimità sembrano avvolti dall’ozio, infatti non sento più quel bisogno di affetto venereo e platonico che non ho mai toccato. Sono curioso di sapere come sarà il mio futuro: sarà brillante e simpatico o schivo e musone? Il mio presente è un po’ indifferente, ma in fondo gli voglio bene. Trovo che il mio passato sia tremendamente lunatico e un po’ taccagno: i ricordi che mi ha regalato non sono brutti, tuttavia non mi piacciono.
Un contadino vide in lontananza un uomo che scappava dal luogo di un incidente automobilistico. L’uomo teneva il suo cuore in mano, correva con affanno per i campi controllati dalla notte mentre veniva schernito da un gatto che procedeva a ritroso. Sulla strada le fiamme danzavano in mezzo alla morte degli automobilisti: un valzer di fuoco popolava l’A4. D’improvviso un gruppo di cavallette fosforescenti attraversò i resti dei veicoli e si tuffò nell’altra parte dei campi. Il contadino di qualche riga fa tornò presto sulla sua branda. Gli ulivi agitarono le fronde per incitare la corsa dell’uomo in fuga, una volpe maculata aprì un occhio e stette sul chi vive, un padre sordo si gettò con un sasso al collo in un torrente vicino e lasciò che il suo tonfo rimbombasse nel vuoto della serata tenebrosa. A un tratto il fuggiasco cadde come corpo morto cade; un serafino scese dai giardini pensili e ricoprì il corpo disteso sull’erba con pezzi di corallo e numerose conchiglie. Un nuovo epitaffio e la vecchia burocrazia attesero il loro turno. Gli eventi si prepararono a diramare il richiamo alle armi per il lutto, la vedovanza e le condoglianze degli scialli neri. Un po’ di colla sui muri e un paio di manifesti sulla colla per richiamare qualche anima devota all’ennesimo rito di partenza.