24
Nov

Outrage, la triologia

Pubblicato mercoledì 24 Novembre 2021 alle 19:39 da Francesco

In questi giorni ho visto per la prima volta Outrage, Beyond Outrage e Outrage Coda, una trilogia in cui il grande Takeshi “Beat” Kitano ha rivestito il duplice ruolo di regista e attore, come già era accaduto per altre sue pellicole che in passato ho apprezzato molto: Violent Cop, Sonatine, Hana-bi, L’estate di Kikujiro e Brother.
Il trittico in esame costituisce un ritorno di Kitano al cosiddetto genere gangster movie e ancora una volta racconta l’efferato mondo della yakuza, la mafia giapponese.
La storia è piuttosto articolata in quanto vi sono nomi e cariche che si succedono in accordo con la ridda di omicidi, macchinazioni e vendette prima e dopo ogni nuovo assetto di potere. Nel continuo cambiamento delle dinamiche credo che l’unica costante rimanga la figura di Otomo, interpretato dallo stesso Kitano, difatti questo personaggio sembra ancorarsi presto a un suo codice personale, già dal primo film, e finisce per farlo prevalere su ogni altro tipo d’interesse. Per me non sono tanto le crude vicende a formare la sostanza dell’opera, ma paradossalmente trovo che quest’ultima prenda corpo nella sua forma e quindi nella particolare estetica con cui lo stile del regista nipponico si rende subito riconoscibile. In altre parole l’impronta di Kitano dietro la macchina da presa risulta evidente per chi come me ne abbia già apprezzato i lavori precedenti e il suo marchio rifulge tanto nelle scene più efferate, quali le sparatorie e i momenti di puro sadismo, quanto nella delicatezza di certe inquadrature larghe che come di consueto vanno a cogliere anche il mare, un elemento imprescindibile per lui come egli stesso ha dichiarato più volte nelle interviste. E poi c’è la mimica del Kitano attore, dai sorrisi improvvisi alle smorfie durante gli spari; un volto, il suo, al contempo freddo ed espressivo, così come la gestualità che conferisce al protagonista un ulteriore carisma e di conseguenza un contributo importante al tenore della trilogia.
In questo tipo di cinema non ricerco significati profondi, bensì un intrattenimento che non sia fine a se stesso e quindi una forma capace di superare se stessa proprio come a mio giudizio avviene in modo piuttosto omogeneo in ognuna di queste tre pellicole.

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9
Apr

La polizia, il pappone e Juju

Pubblicato giovedì 9 Aprile 2009 alle 02:17 da Francesco

Ieri ho rimediato una bicicletta economica e ho pedalato tutto il giorno per le vie di Tokyo, ma precedentemente, nel corso della mattina, ho fatto un giro a piedi dalle parti di Asakusa per vedere alcuni templi. Mi piace la fede pacata e discreta con la quale i giapponesi omaggiano i simulacri buddisti e scintoisti; trovo che sia una religiosità molto lontana da quella del peccato originale e dai sensi di colpa che caratterizzano alcune correnti cristiane di cui ritengo che il cattolicesimo sia l’esponente principale per quanto concerne questi aspetti. Nei pressi di Iidabashi sono stato fermato da due poliziotti per un controllo dei documenti. La coppia di agenti è stata molto gentile e alla fine mi sono messo in posa con uno dei due mentre l’altro ha effettuato lo scatto: incredibile. Penso che una cosa del genere non potrebbe mai accadere in Italia. Tra l’altro uno dei due poliziotti ha notato la maglia della nazionale giapponese che indossavo e mi ha detto per due volte: “Soccer!”. Prima di andarmene gli agenti si sono scusati per il controllo e poi mi hanno salutato: “Have a nice day and be careful”. Io a questo premuroso avvertimento ho alimentato la brutta fama dell’Italia: “Thank you but I think Tokyo is much safer than my country”.

Qualche giorno fa ho conosciuto Juju, un chitarrista di strada che ho incontrato dalle parti di Shinjuku e al quale ho anche comprato un disco. Costui ha pure una home page: http://fweb.midi.co.jp/~juju/. Mi sono avvicinato a lui seguendo il suono del suo grandioso tapping!

Sempre a Shinjuku ho conosciuto un personaggio davvero grottesco, un individuo che sembrava uscito da uno di quei film polizieschi degli anni ottanta che guardavo da ragazzino. Questo tizio è un pappone australiano che cerca clienti stranieri lungo le strade di Shinjuku e si fa chiamare Charlie; io a lui mi sono presentato con la stessa sincerità e gli ho detto di chiamarmi Raffaele. Charlie ha capito subito che non avrebbe rimediato uno yen bucato da me, ma evidentemente gli sono risultato simpatico poiché ha risposto a ruota libera ad alcune delle mie domande. Gli ho chiesto quale fosse oggigiorno l’attività principale della Yakuza e lui mi ha detto che l’organizzazione si dedica principalmente al traffico di droga e al gioco d’azzardo via Internet. A suo dire lui conosce qualche membro della Yakuza e prova rispetto per loro mentre nutre un odio immenso per i nigeriani che a suo avviso sono rei di essere dei “motherfuckers”. Alla fine ho fatto credere a Charlie di essere in Giappone per tastare il terreno in modo da capire se sia una terra fertile per cominciare un’attività poco legale e così mi ha detto quanto segue, a grandi linee e per quanto io ricordi: “I can sell everything for you in this area, if you can import ecstasy from overseas, that’s the best, here the police is weak, no experience”. Penso che prima o poi questo gioco del finto narcotrafficante finirà con il mettermi nei casini, ma lo trovo divertente, educativo e interessante. Quando mi sono congedato da Charlie sono stato fermato nuovamente da un negro che mi ha chiesto se volessi entrare in un locale, ma io gli ho risposto: “I’m from Italy, I know how it works”. Questo tizio ha sorriso e poi mi ha dato la mano: “Okay man, take care”. In realtà la mia nazionalità non c’entra nulla, la street knowledge ormai la si può ricavare estrapolando le parti autentiche da determinate forme di intrattenimento che si occupano di temi del genere e dalla cronaca nera sia nazionale che internazionale di cui sono sempre stato un po’ appassionato; questo è il caso di dire che tutto il mondo è paese. A parte le storie di qualche gangster della domenica, ogni giorno che passa trovo Tokyo sempre più bella e piacevole da vivere.

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7
Apr

Malavita e scosse telluriche

Pubblicato martedì 7 Aprile 2009 alle 02:34 da Francesco

Ieri mattina ho camminato per diverse ore da Ueno fino a Shibuya e al mio ritorno in hotel mi sono unito nuovamente al trio francese. Abbiamo cenato dalle parti di Shinjuku e poi siamo andati a Roppongi, una zona di Tokyo sulla quale vale sempre la pena di spendere due parole. Lungo le strade di Roppongi è facile incontrare ragazzi africani che cerchino di attrarre clienti in determinati locali, ma per fortuna i miei compagni di avventura non sono stati così stupidi da lasciarsi spennare in qualche strip club. Ho avuto modo di parlare con un ragazzo originario di Città del Capo mentre i francesi provavano a ottenere alcuni “vegetables” a un prezzo ragionevole per soddisfare il loro vizio oppiaceo. A un tratto ho chiesto a uno di questi sgherri dalla pelle scura se fosse possibile incontrare dei membri della Yakuza e uno di loro mi ha risposto seriamente con un sorriso forzato, inoltre conoscendo le mia nazionalità ha adoperato nella sua risposta una parola della mia lingua che è famosa in tutto il mondo: “Before you need to bring a ‘lupara’ then I can introduce you”. A me sarebbe piaciuto davvero incontrare qualche membro di basso profilo di questa organizzazione criminale, d’altronde credo che la criminalità organizzata (e non i semplice teppisti che si possono trovare in ogni dove) per certi versi rappresenti un tratto caratteristico di alcune nazioni e dunque non vedo per quale motivo non possa essere equiparata ad altre mete turistiche. Anche i ragazzi francesi mi hanno preso sul serio e, quando lo sgherro succitato mi ha risposto senza scherzare, loro un po’ spiazzati mi hanno detto: “If you wish then go but we want just weed”. Quando abbiamo lasciato Roppongi io e il trio maghrebino ci siamo pisciati addosso dalle risate su questo episodio e abbiamo trascorso il resto della notte a cazzeggiare con il pallone tra le vie deserte di Ueno. Al calar del sole Tokyo si trasforma e alcuni giapponesi perdono la loro apparente imperturbabilità nei fumi dell’alcol con tutte le conseguenze comiche che ciò comporta. Durante le ore notturne la capitale nipponica non ha nulla da offrirmi e soltanto la piacevole compagnia del trio francese mi spinge a stare in piedi fino a tardi; ormai io e loro siamo il quartetto europeo che gira per le strade con un pallone arancione. Ieri pomeriggio ho appreso quanto è accaduto in Italia, ma le notizie non mi hanno scosso; è una battuta infelice, ma non potevo resistere. Spero che tutto si sistemi per gli sfollati, ma si tratta di una storia già vista a cui temo che anche questa volta non seguirà un lieto fine. Dovrei chiamare mia madre per sapere se anche in Toscana sia stato avvertito il terremoto, ma ogni volta che viaggio non chiamo mai lei né nessun altro e non intendo interrompere questa buona abitudine. Mi trovo in un paese ad alto rischio sismico, ma da questa parti esistono già da tempo le giuste contromisure; mais bon, c’est la vie.

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