Si rinnovano nella mia interiorità le esortazioni a lasciare anzitempo il corpo, eppure queste suadenti offerte non mi convincono affatto e con pari pervicacia continuo a rigettarle. La morte è un’allettante prospettiva, anzi, io la considero proprio un’esigenza metafisica, ma al momento trovo che un’adesione volontaria al suo carattere irreversibile non sia affatto in accordo né con la mia età né con la situazione in cui verso. Tali ragionamenti in me non scaturiscono dalla mestizia o da tumulti emotivi che rispondono ad aggettivi analoghi, ma sono i getti piroclastici di una profonda e prolungata ricerca interiore.
L’introspezione ha un certo margine di errore e soprattutto può esporre a rischi elevati chi la pratichi, nondimeno io non potrei prescindervi neanche se volessi in quanto da tempo immemore mi sono sbarazzato di tutte quelle illusioni che consentano di bloccarne i lavori. Paradossalmente questo periodo di pensieri mortiferi è molto fecondo in quanto mi offre angoli di lettura e prospettive che in altri momenti mi sono preclusi o di cui, tutt’al più, posso azzardare una simulazione. Tali riflessioni si agitano come in un mare di Dirac e condizionano i miei ritmi circadiani, così talora mi trovo a dormire pochissimo per vari giorni di seguito fino a quando non recupero forze e lucidità con una dormita da ore in doppia cifra. Il mio mondo onirico risente di simili oscillazioni e mi offre visioni inedite, intense, angoscianti o di difficile interpretazione, ma comunque ricche di informazioni e di indizi sulle regioni più remote della mia personalità. Non devo morire per mia mano, non ancora, la mia indole non è autodistruttiva, ma seguo la sottile linea che divide l’ultima volontà dalla sua volizione. A mo’ di Ulisse mi lego all’albero maestro per udire richiami pericolosi.
Altruismo egoistico: un allenamento banale e proficuo
Pubblicato sabato 17 Maggio 2008 alle 13:53 da FrancescoUso alcuni metodi comportamentali per affinare la padronanza di me stesso e uno di questi prevede un ricorso continuo all’empatia. Cerco di evitare che le emozioni influenzino eccessivamente la mia condotta e in determinati contesti mi sforzo di agire sempre nello stesso modo per rivendicare l’indipendenza della mia volontà, ma questo procedimento non sottrae nulla al comparto emotivo e si limita a regolarlo per impedire che assurga a un ruolo diverso da quello a cui è destinato in un’esistenza equilibrata. Quanto ho appena descritto si traduce concretamente in un atteggiamento altruistico che in realtà serve la causa di un egoismo positivo. Anche nei momenti in cui sono tremendamente incazzato o smodatamente euforico tento di rapportarmi ai miei simili in modo da facilitare le loro azioni e penso che occorra citare qualche situazione in cui tutto ciò possa avvenire, ma credo che le dinamiche di queste circostanze ipotetiche non vadano descritte cosicché all’immaginazione resti il compito di portare avanti un’indagine facile e positiva con cui accrescere certi aspetti dell’introspezione: all’ingresso di un locale, davanti alle strisce pedonali, di fronte a una domanda vaga, nei pressi di una richiesta d’attenzione o lungo le sponde dei contrattempi. Confermo la mia sovranità individuale ogniqualvolta io riesca a immedesimarmi nelle esigenze del mio prossimo senza che il mio stato emotivo mi condizioni e qualsiasi inezia altrui che io faciliti con il mio comportamento diventa un’unità del mio calcolo volitivo. Trovo che sia incredibile il potenziale che si cela dietro ogni sciocchezza quotidiana e questa considerazione mi permette di notare per l’ennesima volta quante opportunità offra ogni singolo momento dell’esistenza per allenare l’individualità in modo tale che essa non si dissoci dal mondo né da chi lo popola.