23
Apr

Il distanziamento sociale

Pubblicato giovedì 23 Aprile 2020 alle 07:27 da Francesco

Già prima dell’attuale pandemia ero abituato a mantenere una certa distanza dagli altri e da determinate situazioni, ovvero da contesti per me noiosi e nocivi. Mi reputo un individuo socievole, ma non vado di proposito alla ricerca di amicizie o conoscenze e questa mia mancanza d’iniziativa può restituire di me un’immagine misantropica, distorsione questa di cui non m’importa quasi nulla in quanto io non fornisco assistenza tecnica alle percezioni di terzi.
La quarantena non ha stravolto la mia esistenza perché sono abituato a prolungati periodi di isolamento e amo molto stare da solo. In passato, ad esempio, ho provato cosa significhi essere nei pensieri di una ragazza e l’inedito piacere di una risonante reciprocità, ma ho anche capito come io non abbia nulla o quasi da condividere seriamente con altri esseri umani.
Riesco a dare il meglio di me quando sto per i fatti miei e infatti le soddisfazioni più intense le ho sempre raccolte nel corso di attività solitarie, ma ciò non significa che in tono minore non conosca il gusto di intese sporadiche ed episodiche. Quando la pregressa quotidianità sarà ripristinata io ne riguadagnerò in libertà di movimento, la privazione della quale finora non mi ha pesato affatto, ma continuerò a mantenere un basso profilo in ambito sociale. Ci sono inoltre buone possibilità che io espatri a titolo definitivo in capo a qualche anno, perciò per il mio futuro intravedo un isolamento sempre più accentuato che spero sia seguito in parallelo da una tranquillità interiore di pari crescita. Le mie sono supposizioni figlie del momento e nipoti del passato, sono cosciente di come tutto possa rivoluzionarsi dalla mattina alla sera, ma al momento l’orizzonte degli anni venturi mi appare con queste forme e colori.

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28
Gen

Prolegomeni ai paralogismi di puerpere e morituri

Pubblicato lunedì 28 Gennaio 2019 alle 21:16 da Francesco

“Prolegomeni ai paralogismi di puerpere e morituri” è il mio quinto libro, ma anche il primo saggio: lo considero un vertice solipsistico e di conseguenza non potrebbe avere lettori neanche se potesse averne davvero. Se dovessi o volessi spiegarmi meglio prenderei in prestito il concetto di aseità dalla scolastica medievale, ma non intendo ritrovarmi con un’esposizione debitoria verso il passato.
Non posso cercare l’attenzione di chi si pulirebbe il culo coi rotoli del Mar Morto se solo fossero più economici della concorrenza, ma neanche quella di chi pensa a Shiva e Parvati come antesignani di Sandra e Raimondo.
Il logos ha limiti evidenti e sovente la reciprocità o anche la sola ricerca di una lieve risonanza ne causano un ulteriore restringimento. Est modus in rebus.
Secondo me un confronto autentico lo si può trarre dal parziale retaggio di alcuni pensatori che ebbero un cognome da Bundesliga: defunti e persuasivi.
C’è chi elude l’idea della morte con la fabbricazione di prole in un mondo sovrappopolato, con buona pace di Robert Malthus, e trovo questo espediente legittimo come il doppione di una figurina, ma dubito della sua efficacia: preferisco il “Si impersonale” di Heidegger alla paternità.
L’eros può risolversi in una fruizione eidetica qualora non abbia la velocità di fuga necessaria per uscire dall’orbita pulsionale, ovvero quando il gioco non valga la candela né l’emulazione di un missionario: una regolare masturbazione agevola l’esistenza più di quanto possano fare le pretese venefiche di un certo imprinting. La sublimazione è roba da ricchi di spirito e non ha tasse di proprietà.
È vero, talora la volpe non arriva all’uva, ma nulla le vieta di riprovare con la mela adamitica.
C’è un po’ tutto qui, compreso il flusso di coscienza e l’assenza di un vero interesse per Joyce. Le mie sono parole al vento come quelle che pronunciò Ulisse al cospetto di Eolo.

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7
Nov

Oltrepassare

Pubblicato mercoledì 7 Novembre 2018 alle 00:18 da Francesco

Mi pare che l’autolesionismo riscuota ancora un grande successo tra i mortali, ma io non sono un modaiolo e il mio stile è minimalista. Non v’è uno sguardo esterno nel quale io mi specchi e talora mi chiedo dove sia andata a schiantarsi quell’intesa embrionale che mi mostrò più volte i suoi baluginii.
Dalla via di Damasco alla via d’estinzione il passo è più breve di quello che prova a farsi più lungo della gamba, però in qualche modo l’uno è conseguenza dell’altro. Mi affaccio sulla realtà del presente e scorgo residui temporali che vengono dagli antipodi di Crono. Se ogni tanto incontrassi qualche fantasma gli chiederei quanto tempo mi rimane da vivere, ma la mia estrema lucidità mi preclude ogni allucinazione di servizio. Non so cosa mi riservi il domani e dubito che possa prenotare un tavolo per sbracarmi in tutta la mia ontologia. Con i miei simili parlo di cose che ci rendono diversi e ci pongono a distanze siderali. A carnevale lancerò fonemi e il resto dell’anno coriandoli: ne guadagnerà la reciproca comprensione tra me e chi non è me.
Sarebbe bello se certe storture genetiche fossero correggibili a penna e se in virtù di ciò i costi di cancelleria superassero a buona ragione i fondi per la ricerca sulle malattie rare. Fantasticare è un po’ morire, ma pare che anche vivere non faccia bene. Sono contento di me stesso e mi voglio un grande bene, perciò mi reputo un privilegiato. Cosa farei di me se fossi circondato da tante persone e mi mancasse proprio la mia vicinanza? Certo, una cosa non esclude per forza l’altra, ma a me va bene il primato dell’amor proprio. I punti di contatto non sono astrazioni matematiche e non basta teorizzarne l’esistenza affinché essi si palesino: io non ne ho e non faccio mai finta di possederne qualcuno nello scantinato o nell’alto dei cieli. Posso fare un po’ d’import ed export di frasi fatte dai cinesi, ma ormai anche il confucianesimo è inflazionato dalla crescita demografica.

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1
Mar

Compiacimento autoreferenziale

Pubblicato giovedì 1 Marzo 2018 alle 01:26 da Francesco

Mi viene da ridere nei momenti meno indicati e per i motivi più inopportuni, ma d’altro canto non provo mai a trattenermi di fronte a certe pretese di serietà e quindi mi domando se ci riuscirei davvero qualora mi applicassi: mistero, come ripeteva Enrico Ruggeri negli anni novanta.
Posso vantare un alto grado di libertà perché sono abituato a stare bene da solo, perciò non temo che qualcuno si allontani da me, mi eviti o mi conceda così tanta importanza da farmi oggetto della sue antipatie. Non ho alcuna giurisdizione sulle opinioni altrui e anche se l’avessi non saprei quale vantaggio trarne. Non conosco la pressione di terzi, ma la mia è buona, tanto la minima quanto la massima. A volte nutro il dubbio che in questa mia tarda gioventù io mi stia perdendo qualcosa, ma puntualmente mi viene in mente la fila per l’ingresso di un cinema chiuso; e comunque non voglio vedere il film di qualcun altro, ma preferisco essere il regista di quello in cui recito. Lascio passare il tempo perché mi considero piuttosto educato, però non mi abbasso a riverirlo e neanche lo prego di portare i miei saluti a qualche conoscente comune.
Conduco una vita anomala a cui manca qualcosa, però mi chiedo quale esistenza possa dirsi completa fino a quando non chiuda i propri conti col divenire. Non mi preoccupo troppo di farmi comprendere quando scrivo o parlo, inoltre mi piace portare le mie rare conversazioni a un punto morto per non discriminarle da quelle che le hanno precedute. Gli interessi e le passioni individuali mi permettono di coltivare piante rigogliose da cui traggo frutti nutrienti per il mio spirito, perciò sto attento alle spine e tolgo le erbacce.
Non avverso i rapporti umani e di tanto in tanto m’intrattengo a parlare con taluni, ma non ho mai ragioni valide per allungare il brodo. Non ho granché in comune con i miei conoscenti e vivo in una realtà troppo piccola per attendermi che qualcuno o qualcosa mi folgori sulla via del supermercato, ma al contempo le dimensioni ridotte del mio contesto mi risparmiano la lotta con una certa alienazione contro cui mi troverei di certo a combattere se vivessi in una metropoli.
Rivendico la mia individualità perché ne sono affascinato e non la riduco a mero narcisismo, bensì la incenso quale appagante certezza secondo cui nessuno possa volermi più bene di quanto io ne voglia a me stesso. L’amor proprio è la mia opera maggiore e negli ultimi tempi le ho apportato ulteriori migliorie, difatti non mi sono mai sentito tanto in sintonia con me stesso quanto lo sono da alcuni mesi a questa parte. Seggo da solo sul trono, ma può darsi che un domani me ne faccia fare uno a due posti per stare ancora più largo.

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8
Feb

Lo stato attuale

Pubblicato giovedì 8 Febbraio 2018 alle 19:46 da Francesco

Converto ogni giornata in autostima così come le stelle fondono l’idrogeno in elio e mi espongo a determinate influenze per eludere le forze contrarie della mediocrità, ma prendo atto di tutto questo in virtù di riscontri concreti e non sulla mendace base di uno stolto convincimento.
Avverto dentro di me una grande forza, ne sono pervaso e già ne posso prevedere gli ulteriori accrescimenti: rasento vette a cui non ero mai assurto prima. 
Forse non faccio altro che raccogliere quanto ho seminato in anni di fruttuosa solitudine e intanto semino gli altrui fantasmi perché essi non riescono a tenere il mio passo, infatti si perdono nella scia altrettanto evanescente delle mie progressioni. Posso rovesciare gli eventi che mi riguardano, ma non tutte le tartarughe che si capovolgono lungo la mia strada: ognuno deve imparare a badare a se stesso. Da solo valgo moltissimo, mi sento una legione e al contempo non m’illudo che la mia condizione solipsistica sia la migliore possibile, tuttavia usufruisco dei suoi vantaggi strategici e sostanziali.
A distanza di tempo riesco a dare un senso compiuto al passato e unendone i frammenti posso ricavarne un utile mosaico. Non ho una sola virgola da cambiare in ciò che il fato ha scritto per me finora e spero che anche il mio DNA non abbia mai bisogno di correzione alcuna né di altri aggiustamenti. Il mio equilibrio si è attestato da quasi un anno su una linea avanzata e tutto procede come avevo previsto. Guardo l’orizzonte solo per intimidirlo e invito gli eventi a farsi avanti, ma d’altro canto essi non possono fare altrimenti. Non ho energie da recuperare e ormai posso soltanto espanderle, perciò non temo eventuali contrazioni delle medesime in un futuro che sia prossimo o remoto. Devo fare tesoro della nuova età dell’oro che ho cercato al mio interno, verso zone insondabili. Gli sforzi da me profusi sono stati ripagati lautamente e ne godo i risultati in un pacifico isolamento, dunque non ho pendenze con il divenire e non ho nulla di cui lamentarmi.

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20
Mag

Quando le nubi si addensano e tutto resta com’è

Pubblicato venerdì 20 Maggio 2016 alle 00:43 da Francesco

Sono trascorsi più di dieci anni da quando vaticinavo al mio avvenire una decade d'isolamento emotivo, perciò le mie previsioni si sono rivelate giuste oltre ogni più rosea o tetra aspettativa. Talora ho udito il lontano richiamo di qualche sirena, tuttavia non mi sono mai infranto su una scogliera né su un seno e di quelle voci sibilline non mi è rimasta neanche un'allucinazione.
Ho vissuto da solo i momenti più intensi ed estatici della mia giovane esistenza, ma più volte mi sono ritrovato a domandarmi se una tale condizione sia stata davvero un privilegio e ogni volta qualcosa d'ineffabile mi ha risposto di sì.
Ho cercato dentro di me ciò che non sono mai riuscito a trovare fuori di me e, anche grazie alla proverbiale benevolenza della fortuna verso gli audaci, mi sono imbattuto in un fuoco interiore che sporadiche folate hanno affievolito solo in quei momenti bui di cui il dualismo stesso è fatto.
In alcune zone di questo pianeta la vita vale poco e anche lontano da quegli inferni terrestri le sue quotazioni non sono certo alle stelle, perciò sono contento che il mio unico bacio sia stato quello della summenzionata fortuna. Ho assistito alla caduta di parecchi individui e il fiume non sembra ancora pago di cadaveri; poco importa che certi morti sembrino ancora vivi.
Io penso a me stesso senza nuocere agli altri e sto riguadagnando il dovuto distacco da certe pretese del cuore per le quali evidentemente non ho ancora le spalle abbastanza larghe, però tutto questo non mi suona nuovo e quindi non mi resta che migliorare l'esecuzione di un vecchio spartito. Non voglio imparare niente da nessuno e non mi faccio un bagno di umiltà, ma intendo sporcarmi le mani per risvegliare le forze che in me sono sopite e della cui presenza non potrei dubitare neanche se lo volessi. Le mie parole sono autoreferenziali, ma d'altronde io esisto (per così dire, o qualsiasi cosa voglia dire) soltanto in relazione a me, perciò non spetta loro l'onere di alcuna spiegazione di cui non siano già munite: ecco le comodità del solipsismo.

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