21
Ago

Ordet di Carl Theodor Dreyer

Pubblicato domenica 21 Agosto 2022 alle 21:37 da Francesco

Qualche sera fa ho guardato per la prima volta questo vecchio film danese e l’ho apprezzato in sommo grado. La storia è basata su un’opera teatrale e secondo il mio modesto parere la regia ne tradisce l’origine già dalle prime sequenze piuttosto statiche, ma credo che tale caratteristica giovi alla trasposizione stessa. La pervasiva religiosità del racconto si esprime con profondità diverse a seconda dei personaggi, perciò la gamma della fede è illustrata da un capo all’altro della convinzione, ossia da chi ne è rapito a chi invece l’ha smarrita e perlopiù ciò avviene entro i definiti confini di una famiglia che è la protagonista corale della narrazione.
Su tutte a me è piaciuta il la figura estraniata, estatica e quasi profetica di Johannes Borgen, giacché per suo tramite la parola (questa è la traduzione di ordet dal danese) rivela il senso ultimo dell’opera, ma tale epifania segue una parabola all’inizio della quale Johannes appare come un folle, un alienato, una persona malata e la scena più bella secondo me consiste proprio in un suo discorso alla nipote (la figlia di suo fratello e della morente Inger) mentre la macchina esegue un lento e splendido movimento semicircolare. In una spontanea associazione d’idee Johannes mi ha fatto venire in mente una vaga rassomiglianza con Rasputin per la sua aurea di misticismo e per le fattezze dell’attore che lo ha impersonato.
In seno alla vicenda principale del racconto va a inserirsi e a risolversene un’altra, più prosaica, che riguarda l’amore tra l’ultimogenito di Morten Borgen (il pater familias) e la figlia di un uomo che intende la fede in maniera diversa rispetto ai Borgen. Quando ho visto il film non sapevo di cosa trattasse, ma l’impronta teologica mi è parsa evidente sin dall’inizio e tuttavia non ha inficiato la mia fruizione dello stesso. Pellicola eccelsa.

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29
Lug

La fontana della vergine di Ingmar Bergman

Pubblicato venerdì 29 Luglio 2022 alle 00:20 da Francesco

Di Bergman amo molto Luci d’inverno perché in quel film secondo me egli riesce a sondare gli abissi dell’esistenza attraverso l’accurata descrizione di uno strazio teologico, inoltre adoro il modo in cui affronta l’ineluttabilità della finitudine ne Il settimo sigillo e in entrambi i casi il mio profondo apprezzamento è anche di natura estetica (oltre alla regia ne ammiro il peculiare bianco e nero), ma è ne La fontana della vergine che a mio parere riesce a coniugare la luce e il buio nel più efferato dei modi.
Anche in quest’ultimo film, in particolare quando il padre di Karin viene inquadrato di spalle e si rivolge verso l’alto dei cieli, avverto quel silenzio di Dio che solitamente è attribuito al nome della trilogia composta dal già citato Luci d’inverno, da Il silenzio e da Come in uno specchio.
Forse soltanto ne Il settimo sigillo avverto un’eguale evocazione degli archetipi, ma nel caso de La fontana della vergine immagino che dipenda anche dall’ispirazione medievale su cui si basa la storia. A mio parere anche il tema della vendetta è preminente sebbene emerga con tutta la sua forza solamente nella parte finale della pellicola. Per me la narrazione è un crescendo che ha due punti apicali nella plastica, favolosa e iconica scena dello sradicamento di un piccolo albero e quando la testa dell’ormai defunta Karin viene sollevata. All’inizio fiabesco fa da contraltare una ridda di tratti che appartengono al concetto di ombra junghiana, o almeno questa ne è la mia percezione, ma proprio da tale opposizione scaturisce a mio avviso il significato ultimo dell’opera di cui ognuno può discutere davvero solo ed esclusivamente con la propria coscienza.

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20
Set

Non aggiungete un posto a tavola

Pubblicato lunedì 20 Settembre 2010 alle 00:54 da Francesco

Non ho sogni da inseguire benché mi piaccia correre. Per me la frustrazione e la bramosia sono simili al bastone e alla carota, ma ancor oggi queste forze opposte e complementari trainano lo sviluppo della mia specie. Non ho contributi da infondere nel mondo e per tale mancanza chiedo venia anche alla consorte di quest’ultimo: la storia. Sono di passaggio da queste parti sebbene al momento non riesca proprio a ricordare la mia destinazione né ove sia cominciata questa gita fuoriporta. Forse dovrei consultare qualche testo sacro per ovviare alla mia smemoratezza, ma nutro il sospetto che gli elenchi telefonici contengano indizi più attendibili.
Gli assetati di potere fanno bere molte cose alle persone meno ambiziose, però questo atto di carità non incontra sempre l’apprezzamento di taluni e in particolare di coloro che preferiscono gli stuzzichini a base di utopie fuori luogo, fuori tempo e fuori portata. Pace e prosperità forse verranno servite al gran rinfresco del futuro, perciò chiunque tra i presenti le voglia assaporare deve recarsi al di là dei limiti biologici. Io opto per un digiuno terapeutico e per ora non sento le farfalle nello stomaco. Cumuli di nozioni, manciate di esperienze e un velo d’individualismo sono gli ingredienti fondamentali per preparare l’impasto dell’identità, ma è possibile scegliere quale forma adottare tra quelle disponibili nell’epoca vigente e sbizzarrirsi con la fantasia per crearne altre d’aggiungere alle più famose: la stellina di David, i disegnini pagani e le crocette cristiane. Al posto del sale in zucca certuni preferiscono quello nei sacchetti per proteggersi dal malocchio e dal lume della ragione. Se sapessi giocare a domino userei le rune come pezzi per le partite. L’analfabetismo scongiura il pericolo che un individuo possa leggere il proprio oroscopo, perciò ne approvo l’insegnamento nella scuola italiana. Ho ragione di credere che il mio ascendente sia una nerchia in fase di masturbazione. Non attendo smentite né messia, perlomeno non a cena.

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15
Dic

Non c’è due senza tre

Pubblicato sabato 15 Dicembre 2007 alle 08:19 da Francesco

Ieri mattina due uomini si sono presentati alla mia porta e appena ho scorto le loro figure ho compreso la natura propagandistica della loro visita. Ho fatto accomodare per la terza volta una coppia di Testimoni di Jehovah e come al solito non ho eluso il confronto con loro. Memore degli incontri precedenti sono riuscito ad anticipare alcune frasi dei miei interlocutori e ho schernito un po’ la loro fede senza offenderla. Ho condotto la conversazione pacificamente, ironicamente e l’ho arricchita con qualche aneddoto personale sui miei viaggi e sulla mia verginità. Ho trascorso piacevolmente una parte del mio tempo mattutino con i miei due ospiti, ma costoro dopo tre quarti d’ora sono dovuti andare via e mi hanno promesso di tornare in futuro. Prima che le coppia se ne andasse le ho rivolto un paio di domande. Ho chiesto qualche informazione sull’inesattezza delle previsioni apocalittiche de “La Torre di Guardia” e sulla questione delle trasfusioni di sangue, ma i due hanno rimandato le risposte dato che erano in procinto di uscire. Per me i Testimoni di Jehova sono un ottimo sparring partner con cui allenare la mia dialettica e non rinuncio mai a uno scambio di opinioni con loro né con altri a meno che non intervengano cause di forza maggiore. Dalla Corea del Sud all’Italia e viceversa ho calamitato più di un proselitista. Mi chiedo se la mia estraneità a ogni credo sia messa in evidenza da qualche neon colorato.

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