10
Apr

L’esperienza del bianco

Pubblicato mercoledì 10 Aprile 2024 alle 19:31 da Francesco

Come chiunque altro sono legato alla morte da quando sono stato concepito, ma è solo da una ventina d’anni, o forse poco più, che me ne occupo. Per me la nascita non è un inizio e la morte non è una fine: ne consegue che mi trovo sempre in difetto d’onestà se le circostanze mi chiedano d’esprimere “sincere” condoglianze, tuttavia quando vengo messo alle strette pago questo dazio d’ipocrisia per non risultare inopportuno né offensivo di fronte all’altrui dolore. Io stesso mi sono trovato a gestire avversi moti dell’animo quando taluni hanno lasciato il corpo, ma non nascondo come in alcune di quelle occasioni abbia ripensato con divertimento al finale di Amici miei, caustico film di Monicelli (in origine di Pietro Germi).
In questo periodo mi trovo alle prese con uno scritto di Marie-Louise von Franz, una studiosa d’estrazione junghiana, ma ne darò conto a me stesso su queste pagine una volta terminatane la lettura. Alcuni episodi raccontati nel libro mi hanno rammentato un’esperienza analoga che feci anni e anni fa in sogno, ossia l’incontro con una luce totalizzante accompagnata da una sensazione indescrivibile: in seguito chiamai tutto questo “esperienza del bianco”, giacché fui in grado di tradurne in parole solo un vago dettaglio cromatico.
Alcune persone, senza che fossi io a entrare per primo nel discorso, mi hanno raccontato cose simili a quelle esperite da me nella dimensione onirica, inoltre ho colto forti analogie e talora una perfetta aderenza nelle testimonianze lette in molteplici testi, come se la questione in oggetto attenesse davvero all’inconscio collettivo: di ciò sono molto convinto. Sarebbe forte la tentazione di lasciare il corpo prima del dovuto se ne conseguisse la ripetizione dell’esperienza descritta, ma per crepare c’è sempre tempo e io, almeno per adesso, fretta non ne ho.

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22
Feb

La parte maledetta di Georges Bataille

Pubblicato giovedì 22 Febbraio 2024 alle 18:21 da Francesco

Nelle frequentazione postuma e cadaverica col pensiero di Georges Bataille ho trovato una certa consonanza, ma anche un ulteriore amico d’avello. Più che le carni, a me strappa un sorriso e un cenno d’assenso la sua visione della manducazione, della riproduzione sessuata e della morte come dei lussi: la prima perché evidenzia la maggiore complessità della catena alimentare ed energetica negli animali onnivori, la seconda in analogia col fenomeno della scissiparità e l’ultima, la morte, intesa quale maggiore tra i lussi in quanto dispendio rivelatore e trascendente. La cornice ovviamente non è quella della morale: è questione altra.
A mio parere ancor oggi si dimostra audace e suggestivo il concetto di dépense, così come attuali sono le implicazioni politiche ed economiche di cui è portatore, ma per me risultano più stimolanti le sue premesse etnografiche e la conclusione di Bataille col senso d’appartenenza a un certo misticismo. Mi vedo già fare un uso improprio anche di questo impianto speculativo per rivendicare e celebrare le beate distanze dai peggiori gravami dello zoon politikon.

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10
Lug

Manchester by the Sea

Pubblicato domenica 10 Luglio 2022 alle 16:42 da Francesco

Non mi reputo un cinefilo e quindi non sono in grado di redigere nulla di oggettivo sulla settima arte, ma posso appuntare il mio apprezzamento quando l’esperienza di un film lasci su di me una forte impressione e proprio questo è successo con l’interpretazione di Casey Affleck in Manchestery by the Sea.
Per me l’opera diretta da Kenneth Lonergan è intrisa di una profonda malinconia non soltanto in ragione delle tematiche, ma soprattutto per come vengono affrontate e a mio parere già la sola fotografia fornisce un grosso contributo in tal senso. Banalmente mi sento di riassumere la storia come la catabasi di un uomo che si trova a fare i conti con le proprie tragedie e con i dèmoni che gli sono stati assegnati dal corso degli eventi. Anche l’andatura “rilassata” del film dà corpo all’atmosfera di cui sopra e non ultimo pure l’ordine della narrazione il quale, con l’uso del flashback, vi aggiunge un’efficacia ulteriore.
Adeguata e accostabile alla prima trovo plausibile una seconda lettura a queste due ore di cinema, ossia quella di un’elaborazione del lutto che passa attraverso il rapporto del protagonista con i personaggi minori (tali per lo spettatore, non per lui). Non so se dietro, dentro o sopra questa pellicola si annidino messaggi particolari, ma io ne serbo l’idea di un percorso inesorabile in cui il riscatto e la rinascita non sono banalizzate dalla retorica né dalla loro spettacolarizzazione e proprio per questo mi risultano credibili. Nessuna forzatura nei dialoghi, nessun artificio per saturare l’emotività giacché anche i picchi drammatici secondo me traspaiono spontanei e convincenti, come se più che un film si trattasse del tragico racconto di un vecchio amico in una serata oscillante tra l’amarcord e l’esistenzialismo.

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4
Mar

Voler vivere e voler morire

Pubblicato venerdì 4 Marzo 2022 alle 01:39 da Francesco

In questi tempi di facile sconforto ravviso un’idea predominante, la quale invero fa sempre da sfondo alle vicissitudini umane e ne costituisce l’orizzonte ultimo, perlomeno sotto la ristretta prospettiva biologica, ossia quello della morte.
In Ucraina esistenze innocenti vengono spezzate anzitempo dal braccio armato della politica estera e dalla tendenza alla sopraffazione che alberga negli uomini da sempre, benché in debite proporzioni e con rapportate capacità di nuocere: laggiù le persone non riescono a vivere; altrove, come in Italia, individui parimenti innocenti ma già consunti da malattie terminali o da condizioni simili, si vedono invece privati del diritto a una fine dignitosa.
Da una parte la vita non riesce ad affermarsi, perché la sua negazione più atroce per modi ed entità, ossia la belligeranza, si scatena e agisce anche contro coloro da cui è servita con riverenza; in astratta e speculare opposizione a questa inveterata circostanza, giacché la storia umana dimostra come i popoli abbiano eletto ad abitudine il reciproco annientamento, vi è l’impossibilità di morire per propria scelta, autodeterminandosi, per eludere sofferenze inutili.  
I due piani si possono sovrapporre solo idealmente, tuttavia risuona in me questo paradosso: chi vuole abbracciare la vita non può farlo in quanto vi viene strappato con forza, chi invece la vita la vuole salutare in un ultimo rito di somma libertà e catartico distacco, è costretto a protrarre il proprio dolore in ragione di questioni puramente formali, politiche, ideologiche, per le quali non vi è morfina che tenga. In buona sostanza ma in cattiva sorte, al di là di quali siano le dinamiche specifiche di queste due situazioni, ossia la guerra e l’opposizione all’eutanasia, la morte ne è il tema comune, il fil rouge che Atropo, la più anziana delle Parche, recide troppo presto o troppo tardi. Si muore, soleva affermare Heidegger per riferirsi al concetto di si impersonale, ma la fine altrui in realtà invita sempre a riflettere sulla propria.

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11
Set

Una costante nel cambio delle stagioni

Pubblicato sabato 11 Settembre 2021 alle 03:43 da Francesco


In questi giorni di fine estate penso alla morte più del solito e mi abbandono volentieri alla sua contemplazione poiché la considero naturale, ma simili riflessioni volteggiano pacifiche in me e non sono i mesti segni di una tempesta emotiva. Non mi appartiene nulla di ciò che mi circonda, però l’abitudine alla mediocrità continua a farmi rivendicare il possesso di qualcosa: un oggetto, queste stesse parole, un’identità e altre inezie del genere. Non sono ancora all’altezza di rinunciare a me stesso tutto d’un colpo e invero manco ne avverto il bisogno perché voglio prolungare il mio soggiorno su questo pianeta, quantomeno entro i limiti di una dignitosa autosufficienza, ma sento che il mio legame con l’attuale grado della cosiddetta realtà si sta allentando piano piano e questo mi rincuora poiché al momento del distacco dal corpo conto di farmi trovare preparato. Insomma, mi sto facendo le ossa da seppellire.
Non posso affrontare discorsi del genere con persone ordinarie, sebbene l’impiego di questo aggettivo richieda prima una definizione del sostantivo a cui rimanda, tuttavia non sono in vena di spiegazioni né intendo tagliare quelle di cui sono dotato, perciò mi diletto in soliloqui autoreferenziali o in appunti di tale risma per il gusto del dialogo interiore.
Il mio entusiasmo di vivere si traduce ogni giorno nei molteplici interessi che coltivo, nella rinnovata sete di sapere e nelle buone abitudini con le quali ammanto la mia condotta, ma al contempo non mi nego l’icastico, utile e salubre piacere del disfattismo e non vedo nel solo scopo di prevenire una contraddizione formale con le inclinazioni di cui sopra una ragione bastevole per astenermi da tutto ciò. Non mi piacciono l’ottimismo sfrenato né la nostalgia, sono due articoli che cerco di evitare e in merito spero di raggiungere presto le emissioni zero. Il mio messaggio per i posteri lo affido a un vecchio adagio: “Sono cazzi vostri!”.
Non trasudo disprezzo e mi libero delle tossine con l’attività fisica, però non voglio neanche essere coinvolto nei destini ultimi della specie, almeno non più di quanto già implichi la mia sola presenza in questo tempo e in questo spazio. Le verità assodate hanno già le loro schiere di ierofanti e detrattori, io non ne cerco di assolute e soprattutto non ho come passatempo quello di convincere terzi per secondi fini né per una causa prima.

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10
Mag

Il salto quantico

Pubblicato domenica 10 Maggio 2020 alle 22:04 da Francesco

Ho la costante impressione che il mio tempo sulla Terra stia per finire e mi chiedo se io sia pronto al salto quantico, ma può darsi che la mia esistenza biologica continui a lungo e nel migliore dei modi. Sono sospeso in un comodo limbo dove volteggiano prospettive differenti a velocità variabili. Ripeto quasi sempre le stesse cose perché quasi sempre le stesse cose si ripetono. 
Non è mai stata alta come in quest’ultimo periodo la qualità delle mie meditazioni sulla morte ed evoco di continuo quest’ultima poiché in certi momenti la sento molto prossima. Devo capire quale sia il mio percorso più autentico. Ho il polso della situazione e un certo grado di manovrabilità, perciò spetta al mio libero arbitrio la scelta definitiva. Il mio stato attuale mi fa sentire come se mi fossi elevato spiritualmente, ma può darsi che la mia sia una pia illusione. Avverto ancora e in maniera distinta un richiamo metafisico, però non escludo che la sua consistenza sia pari a quella di un fuoco fatuo. Non so quanto io ritenga davvero imminente la fine, ma al momento non ne sono affatto intimorito e non ho idea di quale sia la radice di questo mio atteggiamento quasi atarassico, ovvero se esso scaturisca da una percezione moderata della mia eventuale e prematura scomparsa o se, invece, sia il frutto maturo di tutte le riflessioni sulla caducità a cui mi sono prestato per oltre una decade.
Rispetto a qualche settimana fa avverto in me una lucidità accresciuta e un controllo ancora maggiore della mia persona. La mia disciplina sta lambendo i suoi punti massimi e una delle sue espressioni la ritrovo nei pasti frugali che mi preparo. Sarebbe davvero buffo se io campassi fino a cent’anni e, raggiunto quel traguardo, mi ritrovassi a leggere codeste righe.

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25
Dic

In questo giorno come in un altro

Pubblicato martedì 25 Dicembre 2018 alle 12:45 da Francesco

Il cielo è terso e il sole, con le sue piacevoli radiazioni, avvolge in un abbraccio termico la mia cittadina. Si avvicendano senza posa giornate serene e placide, un po’ insolite per questo periodo dell’anno, ma io spero che la loro frequenza diventi sempre più assidua. Forse in momenti come questi può risultare più semplice fare i conti con la morte. Vorrei che l’abbandono del mio corpo avvenisse in una mite giornata di una primavera ancora lontana, serenamente, come il naturale epilogo di un’esistenza evoluta.
Sono consapevole della mia transitorietà e di tanto in tanto ne scrivo come ulteriore esercizio di ripasso, per stringerne viepiù la presa di coscienza. Mi trovo in una equidistanza pressoché perfetta da ogni reciprocità e per me sono del tutto alieni i concetti di malinconia e noia. Il famoso ordine delle cose non svela apertamente se stesso, ma le sue sembianze non sono poi così ascose come taluni ritengono: il riconoscimento dei suoi tratti preminenti richiede soltanto il coraggio di uno sguardo che sappia fissarlo per come esso si presenta. Sono aduso a un certo dinamismo e sottopongo il mio corpo a determinati sforzi per seguire una salutare prassi, ma rivendico il movimento anche nel suo arresto e difatti, talora, quest’ultimo avviene su espressa richiesta degli eventi. Sento in me un’energia che enfatizza i meccanismi fisiologici e tanto mi basta per affacciarmi a ogni giorno con gratitudine ma senza pavide riverenze.

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28
Dic

Del morire

Pubblicato mercoledì 28 Dicembre 2016 alle 18:59 da Francesco

Mi sorprendo di fronte a quanti si sorprendano per la sorpresa di una morte sorprendente, ma il mio è un atteggiamento di tenero disincanto. Forse i decessi illustri ricordano più di altri come ognuno di noi sia anzitutto la propria finitezza. Mi domando se per qualcuno sussista davvero la piena illusione che l’opera sua possa garantirgli una vita dopo la morte, come se per i meriti del suo percorso terrestre ambisse poi da salma a chiedere asilo presso gli altrui ricordi.
Salvo rare eccezioni, la quasi totalità degli esseri umani è destinata alla completa dimenticanza in capo a qualche generazione, ma talora ciò avviene già dalla nascita stessa e molti orfani lo potrebbero confermare se solo qualcuno si ricordasse di loro.
Non ho nulla contro qualsiasi tipo di commemorazione dei defunti, ma per me il due novembre è, appunto, il due novembre; semplicemente mi annoiano certe celebrazioni e io stesso mi auguro di non esserne mai oggetto, benché, invero, il rischio nel mio caso sia pressoché nullo.
Preferirei essere apprezzato da vivo piuttosto che da morto, ancorché io preferirei non essere e basta. Nel caso di una mia morte prematura ho lasciato precise disposizioni, tuttavia so già che queste sarebbero prontamente disattese. Se crepassi relativamente presto vorrei tanto che il mio corpo fosse gettato in mezzo a un campo incolto, cosicché i vermi possano banchettarvi in tutta comodità. Dunque per la mia carne non vorrei né sepoltura né cremazione, ma soltanto l’abbandono alla terra: è questa un’immagine che nella mia mente chiude un cerchio e assume tinte di titanismo romantico. Insomma, una volta decaduto, che l’ex impero dei sensi sia scisso tra i suoi atomi d’idrogeno, azoto, ossigeno, carbonio, in una spartizione simile a quella che era in uso tra i figli dei re Franchi. Sono venuto per poco e, nessuno me ne voglia (circostanza di cui non dubito), spero di non tornare troppo presto su questo pianeta.

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15
Lug

Al di là del principio di piacere

Pubblicato venerdì 15 Luglio 2016 alle 10:54 da Francesco

Freud riteneva la pulsione di morte un'ipotesi irrefutabile e il proprio pessimismo un risultato, a differenza dell'ottimismo dei suoi avversari che invece egli considerava una premessa.
Il principio di piacere è volto alla gratificazione immediata e al mantenimento di un basso livello dell'eccitamento, ma talora gli subentra il principio di realtà che dilaziona la gratificazione e si fa carico di una temporanea tolleranza al dispiacere per questioni di adattamento alle circostanze.
La pulsione di morte pare che sia la tendenza al ritorno allo stato inorganico, ovvero a quella fase primeva dell'evoluzione in cui la vita si instillò in una sostanza inanimata; una concezione del genere mette in discussione quella visione della vita che verte sulla ricerca dell'evoluzione, come nel perseguimento del superuomo di nietzschiana memoria, tuttavia è lo stesso Freud a sottolineare subito quanto possa risultare dolorosa la rinuncia a una credenza così consolidata. Fatico ad accettare in toto un tale postulato, ma escludo che la mia ritrosia sia d'ordine emotivo e la ritengo invece propria di un sano atteggiamento dubitativo. Invero dalla mia prospettiva atea non sarebbe per me gravoso accogliere l'idea di riassumere la vita nello scopo di morire, ma forse non ci riuscirei lo stesso in quanto mi sembrerebbe troppo bella perché fosse vera.
Alle luce di cotanta foschia il richiamo alla filosofia di Schopenhauer è un moto spontaneo a cui anche Freud fa cenno in un passo del suo scritto, precisamente quand'egli riporta le parole del filosofo tedesco sulla morte quale "vero e proprio risultato, e, come tale, scopo della vita".
Mi domando se Thanatos, la pulsione di morte, sia davvero latente in ognuno di noi, ovvero in ciò che Jung chiama inconscio collettivo; mi chiedo inoltre se i capitoli più neri della storia della civiltà, non ultimo quello odierno del fanatismo islamico, siano da attribuire alla manifestazione di questo principio che, in determinate circostanze e presso certi gruppi, non trova gli ostacoli del principio opposto, cioè di Eros, la pulsione di vita. Ecco dunque che dietro ogni massacro può essere scorto il tentativo di riportare tutta l'umanità a ciò che fu in principio poiché "gli esseri privi di vita sono esistiti prima di quelli viventi".
Sono un uomo, mi ritengo empatico in un giusto grado e mi limito al mero esercizio speculativo di considerare la violenza senza fine come una mera coazione a ripetere, ma non faccio mia una tale veduta poiché non ne avverto l'autenticità; d'altro canto penso che sia importante lo sforzo di sospendere talvolta ogni tipo di emotività, blanda o parossistica che sia, affinché la lucidità possa operare nelle migliori condizioni possibili come un chirurgo in un ambiente asettico.

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10
Set

I miei riti di passaggio: parte due

Pubblicato giovedì 10 Settembre 2015 alle 23:09 da Francesco

Cadono i corpi dei molti, invero di tutti: prima furono padri e madri, poi divennero dei cadaveri e un domani anch’essi saranno sterminata dimenticanza. Qualche volta sui figli non si ripongono più speranze, ma rose, crisantemi o qualsiasi altra cosa che si confaccia ai costumi funebri della cultura d’appartenenza. Il silenzio dei morti è identico ovunque e ovunque inamovibile.
Lungo le strade dei miei anni terreni scorgo come spesso certuni seppelliscano una parte di sé assieme alle salme nelle quali un tempo vibrava la vita e su cui essi proiettavano i propri umori. Sono intero, io, non ho mai impugnato il badile né ho mai strappato un fiore dalle proprie radici per aggiungere morte a morte. Mi volto verso l’altrui sofferenza per puro caso o forse qualcosa mi induce a farlo senza che me ne renda conto, però quelle coltri di dolore sono troppo distanti perché io possa comprenderle davvero. Non mi manca l’empatia, bensì il ponte sul quale farla scorrere e una destinazione verso cui dirigerla, perciò la lascio assisa sul suo trono, regina d’un regno senza nome nel nome di un Io senza regno.
Un obolo alle prefiche e libero accesso alle frasi di circostanza affinché tutto si ripeta secondo i crismi dei fantasmi. Sono orfano nella mia lingua madre e non partecipo alle feste né alle veglie. Condivido dettami antichi che agiscono sottopelle, ma ne seguo le tracce senza coprire le mie e non mi chiedo dove conducano. C’è chi fatica a stare al mondo e chi se lo porta in groppa senza fiatare più di tanto, tuttavia sapere cosa sia giusto è talora una questione dal sapore insoluto. Proferir parola e preferire di non averlo mai fatto, non per uno smodato amore verso il silenzio, ma per scongiurare i fastidi del rumore. Cosa c’è da dire che non sia ancora stato detto? Forse ciò che manca davvero è il modo giusto di ripetere quanto è già stato pronunciato, però io non dirigo i cori e m’illudo di farne parte solo nelle scene mute, quando al Logos viene negato anche l’onore delle armi e appare in tutta la sua futile apparenza, funzionale solo al quieto vivere.
Così divàgo, solìvago, e un altro mio giorno cangia il proprio senso, perdendolo e ritrovandolo. Oggi la quiete si fa discorsiva, non ci sono arcieri che mirino all’aorta e un vento fresco decreta il principio di qualcosa mentre sancisce la fine di qualcos’altro. La calma prima della tempesta è un’occasione di ristoro e non un presagio di morte: è un momento d’utile quiete e di cui io intendo aumentare la durata sempre di più, al punto che si metta al passo della mia.


Marina con nuvole di pioggia di John Constable, 1827
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