20
Ott

Benedetta sia la contingenza

Pubblicato lunedì 20 Ottobre 2008 alle 15:47 da Francesco

Non riesco a disfarmi della mia scrittura precaria, ma sono in grado di tollerarla. Il modo in cui mi esprimo verbalmente ha una parvenza anaffettiva e talvolta io stesso commetto l’errore di ritenermi un freddo calcolatore. In passato ho creduto che la linearità della mia voce fosse un retaggio dell’introversione pubescente, ma ho abbandonato presto questa ipotesi. Se fossi ancora introverso probabilmente non sarei sereno. Mi piace comunicare e un astrologo non faticherebbe a credermi, tuttavia non sono un individuo propositivo. Non faccio mai il primo passo per interagire con qualcun altro a meno che la casualità non mi metta nelle condizioni di farlo ed è per questo motivo che le mie conversazioni migliori sono avvenute con personaggi strambi in luoghi di transito. Sono abbastanza affabile, ma disprezzo le forzature espansive che vengono perpetrate da chiunque bistratti la solitudine e il silenzio. Non condivido la tratta delle parole che ingrassa le costrizioni relazionali. Per me la contingenza rappresenta una condizione indispensabile per ogni legame interpersonale che non abbia un fine burocratico o di carattere analogo. Amo le cose che esercitano un’azione positiva su di me e in particolare quelle che incontrano l’apprezzamento della mia lungimiranza. Le abitudini salutari del corpo e della mente non coincidono necessariamente con la comodità o la soddisfazione immediata, ma rivelano nel corso del tempo i loro effetti positivi e io le coltivo con piacere perché non vedo alternative valide. Qualcuno può temere l’isolamento e reputarlo terribile, ma io credo che sia un trampolino di lancio, una cazzo di Cape Canaveral da cui è possibile raggiungere punti molto elevati. Respingo a forza di bestemmie le forme impure di gentilezza e tengo a debita distanza coloro che reputo incompatibili. Non dissimulo mai il mio atteggiamento e anche per questo abuso della sincerità ho guadagnato molte antipatie che ancor oggi mi fanno sorridere.

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28
Set

Wee wee hours

Pubblicato venerdì 28 Settembre 2007 alle 00:29 da Francesco

Due notti fa mi sono addormentato all’improvviso sopra le coperte del mio letto a causa della stanchezza che avevo accumulato con i miei esercizi fisici. Mi sono svegliato qualche ora dopo e la luce della stanza era ancora accesa, ma d’altronde solo un blackout avrebbe potuto spegnerla. In quel momento mi è sembrato di essere nuovamente un bambino e ho provato un moto di dolcezza. La scorsa notte mi sono aggirato a lungo per le vie desolate della mia cittadina e verso le cinque del mattino mi sono recato in un panificio per comprare qualcosa da mangiare. Ho acquistato un po’ di pizza e qualche dolce che ho addentato nei pressi di un giardino pubblico. Durante il mio pasto eremitico ho immaginato di essere un animale in cattività che divora la sua preda, ma forse mi sarei avvicinato di più alla realtà se avessi raffigurato me stesso come un uomo che riesce solo ad approvvigionare il suo riflesso. Farcisco le ore piccole con eventi di poco conto perché non ho di meglio a mia disposizione e cerco di farmi bastare ciò che riesco a raccogliere dalla mia capacità di provare emozioni. La mia veglia notturna non ha i colori né i rumori de “La Dolce Vita”, ma assomiglia a una lunga marcia introspettiva. Quando cammino da solo i miei pensieri si accavallano e talvolta il loro peso rallenta il mio incedere, ma non accetto che qualcosa di intangibile mi schiacci e mi oppongo fermamente a quella di parte di me che cerca una forma abietta di conforto nella contemplazione della tristezza. La mia polarità è positiva.

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