21
Mar

Un mercoledì da incendiari

Pubblicato giovedì 21 Marzo 2019 alle 08:49 da Francesco

Il multiculturalismo non può funzionare a meno che non sia sottoposto a regole certe e a numeri contenuti, ma tali paletti fanno stringere il cuore a quanti lo vivano da lontano e lo reputino un valore imprescindibile. Credo che tutti gli esseri umani siano davvero uguali solo al cospetto della morte e nella riverenza verso l’istinto di sopraffazione, perciò nutro un realistico disincanto verso ogni utopia di fratellanza. Il razzismo non c’entra nulla, tuttavia lo si può imboscare in questa grande festa dell’equivoco dove i pesi e le misure si moltiplicano all’uopo come i pani e i pesci nel cenacolo. Non si possono cancellare per decreto secoli e millenni di archetipi, però nulla vieta a qualcuno d’illudersi in merito a quest’impresa.
Ieri l’autista di un bus ha dato fuoco al mezzo che guidava, ma prima d’incendiarlo è stato così didascalico da minacciare una strage. Il protagonista di questa vicenda risponde al nome di Ousseynou Sy, un senegalese con cittadinanza italiana e un paio di precedenti che non gli hanno comunque impedito di svolgere per lungo tempo un lavoro di cotale responsabilità, ma d’altro canto ciò è stato possibile perché in Italia, malgrado la selva di leggi e norme inutili, vi sono lo stesso lacune legislative come in altri paesi in via di sviluppo suoi parigrado. Il tizio di cui sopra pare che abbia motivato le  sue azioni con la vendetta per i morti in mare, ma non ho capito se nel novero vadano inclusi anche coloro che non sono mai più tornati dalla pesca in apnea.
Che sia il limes romano o una frontiera europea poco importa: qualunque popolo che non sappia difendere i suoi confini è votato all’estinzione e non è detto che quest’ultima evenienza sia da rifuggire. Ho ragione di pensare che l’appuntamento con l’orrore in Italia sia soltanto rimandato in attesa di attentatori più scaltri e fortunati. È davvero un peccato che i processi di combustione e l’energia cinetica delle pallottole non sappiano riconoscere l’innocenza, ma talora mi sembra che anche gli esseri umani difettino in codesto discernimento.

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17
Ago

Evidenze autoptiche

Pubblicato giovedì 17 Agosto 2017 alle 22:31 da Francesco

Non faccio di cognome Voltaire e non sento mie le citazioni sulla tolleranza che gli vengono attribuite, perciò sono del tutto disinteressato all’altrui diritto di esprimere opinioni che non siano affini alle mie. L’unico confronto che abbia senso è quello armato, il resto è puro vaniloquio come questo mio trascurabile scritto.
A me piace il rigore con cui la realtà dei fatti (non quella quantica) si impone sulle erronee interpretazioni che di quest’ultima dànno uomini e donne privi di acume.
Non so ancora quantificare l’idiozia di chiunque postuli come ogni etnia e qualsiasi culto religioso possano convivere in un pacifico melting pot, magari adorno di arcobaleni, gessetti colorati e unicorni al pascolo.
Una società forte non ha paura degli stranieri né dell’Islam, ma fa in modo che i primi e il secondo temano lei. Le storture garantistiche del cosiddetto stato di diritto sono il risultato di un indebolimento dell’Occidente, flemma che tra l’altro fu profetizzata con largo anticipo da giganti del pensiero come Nietzsche e Cioran.
Non credo molto nella pena di morte come deterrente o giusto castigo, bensì nutro una fede smisurata nel ricorso alla tortura.
Lo scrivo in termini junghiani: in Europa lo spirito del tempo è improntato all’inettitudine e alla debolezza, in evidente contraddizione con lo spirito del profondo: questa sperequazione concede a fazioni allogene degli spazi per colpire gli occidentali e gli attentati terroristici sono soltanto il culmine di altre, quotidiane e spesso sottaciute angherie.
Soltanto la violenza può contenere la violenza, perciò intravedo una resistenza freudiana in ogni negazione di questa verità capitale di cui la storia è ancor oggi testimone.
Le utopistiche visioni di una pacifica convivenza dei popoli vanno in frantumi al cospetto della natura umana, scricchiolano e si sbriciolano come le ossa di chi finisce sotto i furgoni degli attentatori. Non ci si può liberare del retaggio atavico per decreto ed è bene che qualcuno se lo metta in testa, almeno fino a quando gli sarà concesso il lusso di averla attaccata al collo.

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15
Nov

Ennesime considerazioni inattuali

Pubblicato domenica 15 Novembre 2015 alle 16:46 da Francesco

Conosco un bell’imperativo di Manlio Sgalambro al quale cerco di attenermi: “Tutte le cose si devono intendere a partire dalla fine del mondo”. In conseguenza di tale assunto mi considero un testimone indiretto della presunta utopia del multiculturalismo che giunge ai ferri corti con la storia e assisto anche al grottesco stupore di chi se ne meraviglia o di chi vi indugia.
Quantomeno un tempo quella sciagura fondatrice dell’Europa che è il cristianesimo mostrava scudi crociati e alzava le else, ma poi una certa efferatezza è venuta progressivamente meno e un illusorio terzomondismo (la guancia è stata porta un po’ troppo…) ha avuto la meglio sulla ragion pratica (o real politik). Tutto nell’ordine delle cose, tutto già visto; déjà-vu, appunto. L’eterno ritorno dell’uguale. Mi trovo in un clima da fin de siècle a inizio millennio. Può essere il momento giusto per riscrivere l’opera omnia di Nietzsche e spacciarla come inedita, ma ad ogni modo io tento di restarmene a seimila piedi al di sopra del bene e del male.
Accadrà di nuovo quanto è successo per la seconda volta a Parigi e chissà che un domani non mi ci ritrovi in mezzo. Per me alla violenza bisogna rispondere con altra violenza e non mi curo di come questo semplice concetto presti il fianco agli alti ragionamenti di certuni, tuttavia se fossi convinto della maggiore efficacia di altre soluzioni non esiterei un momento a chiamarle in causa in questa mia trascurabile visione delle cose: mi reputo un individuo pragmatico, mai ideologico. Odio ripetermi e non per la ripetizione in sé, ma quando credo che questa si faccia stantia e di conseguenza non mi avventuro in analisi interdisciplinari che non spostano neanche una foglia. La breve storia umana è un florilegio di situazioni peggiori, ma la brutalità è resa tale dalla sua vicinanza temporale e non tutti sanno inquadrarla dentro cicli storici, in quell’incessante andare e venire di tendenze che come una cieca volontà afferma tutte le enantiodromie.

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