6
Set

Crisi esistenziale nel senso di vuoto

Pubblicato sabato 6 Settembre 2014 alle 18:05 da Francesco

Dopo dieci anni la mia sublimazione è terminata e ora è come se dovessi combattere disarmato. Anche se continuo a correre e ad apprendere, non riesco più a dirottare in queste attività tutte quelle forze che invece esigono uno sbocco nella vita affettiva.
A trent’anni non so ancora cosa siano un bacio, un abbraccio, una scopata, non ho idea di come i sensi esultino nella piena complicità di due corpi. Non so cosa significa primeggiare nei pensieri di qualcuno, non conosco i brividi di un’intesa fisica e platonica. Posso contare su meno di dieci dita le volte in cui ho aperto il cuore, ma ogni volta ho pensato che ne valesse la pena e non me ne sono mai pentito. Potrei trovare dei rapporti carnali o delle amicizie femminili molto profonde senza troppi sforzi, ma mi deprime l’incompletezza che percepisco nei primi come nelle seconde e a questi rapporti imperfetti preferisco la solitudine perché mi nuoce di meno.
Per me è tutto o niente: io non conosco mezze misure ed è anche per questa ragione che ho sempre tagliato i ponti in maniera definitiva quando le cose non sono andate per il verso giusto. Un tempo mi bastava intensificare qualche allenamento o protrarre le mie letture oltre il solito per trovare subito sollievo e per instradarmi verso nuovi orizzonti, ma ora tutto ciò non funziona più e Freud aveva ragione: la sublimazione non può durare per sempre.
Non so dove sbattere la testa e sono in balìa degli eventi. Cerco di pensare il meno possibile e tendo gli addominali quando sento le fitte della frustrazione. Ovviamente questo stato emotivo m’indispone e così, anche se dovesse capitarmi l’occasione di conoscere una ragazza, non sarei in grado di mostrarmi per quello che sono, ma nel migliore dei casi potrei dare solo una pallida imitazione di me stesso. Non ho mai usato droghe, non ho mai fumato, non ho mai pregato, non ho mai assunto psicofarmaci e non ho mai bevuto alcolici, perciò non ho anestetici di alcun tipo ed è solamente la corsa che mi ha permesso di alzare la mia soglia di sopportazione del dolore.
Questa crisi esistenziale non dipende dall’ultimo rifiuto che ho ricevuto, bensì dal modo in cui mi ha indotto a fare un bilancio della mia esistenza e dalla sua concomitanza con la perdita della mia capacità di sublimazione.
Non c’è nessuno che possa aiutarmi perché devo uscirne da solo, ma è come se avessi le mani legate e qualche pensiero oscuro trova uno spazio in me che prima non avrebbe mai reclamato.
Ci sono parole note che mi ripeto : “Per te non sorga il giorno che alla tua gioia sia compenso di dolore […] sii forte e sereno anche nei giorni dell’avverso fato”.
Mi sento lo spettro di me stesso ed è come se non fossi mai esistito. Mi ritrovo ad affrontare ciò che sono riuscito solo a contenere per lungo tempo. Non trovo un appiglio, una direzione, fosse anche quella sbagliata. Ho soltanto la mia lucidità, tuttavia è anche attraverso quest’ultima che provo per intero le sferzate del senso di vuoto. Non mi piace il vittimismo e non voglio essere ingiusto verso me stesso, ma non posso neanche sottovalutare la portata di tutto quello che mi sta succedendo dentro. Ancora una volta Eros e Thanatos lottano instancabilmente.

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27
Ott

Chiarimenti non strettamente necessari

Pubblicato giovedì 27 Ottobre 2011 alle 22:09 da Francesco

L’epoca corrente mi costringe spesso a chiudere i rubinetti dell’empatia. Se mi lasciassi distrarre dalle disgrazie del mondo finirei per farne parte senza risolvere alcunché, ma seguo le tragedie da lontano perché se le ignorassi ne provocherei una a me stesso attraverso un uso improprio dell’indifferenza. Mi sforzo di conciliare il distacco emotivo con l’impegno di non perdere la mia umanità, ma talvolta mi sento un acrobata morale e lascio dietro di me contraddizioni apparenti che in realtà confermano la buona riuscita degli intenti suddetti.
La brutalità per me è un liquame cancerogeno che vìola le leggi fisiche oltre a quelle d’una certa etica, difatti cola e si arrampica lungo le pareti della piramide sociale. Io non credo affatto che le ingiustizie cadano esclusivamente dall’alto come manna avvelenata, bensì le noto a diversi livelli mentre saltano e rimbalzano: le imposizioni burocratiche che non di rado si fanno vessazioni, le pretese economiche che viaggiano ad una velocità diversa da quella della realtà, le paure di chi non possiede i mezzi intellettuali per scacciarle e finisce nelle spire delle circonvenzioni, coloro che sono rei d’essere nati ad una latitudine fatale in cui la speranza di vita è la prima a morire, i cuori ingenui devastati dal gusto del potere narcisistico di coloro a cui si sono votati e tant’altro ch’è difficile scrivere senza scadere in una retorica assordante e stucchevole, ovvero la complice peggiore della sofferenza inutile che inquina la razza umana. Il cinismo di cui mi avvalgo non è il vezzo di uno stronzo, ma lo strumento per tollerare la follia democratica che partorisce despoti e regni invisibili, altresì il narcisismo che si trova in me non scaturisce dalla voglia di prevaricare né dal desiderio di differenziarmi, bensì è anch’esso un mezzo tramite cui riesco a tollerare una mancanza d’amore che guadagna tempo di giorno in giorno e il cui giogo riesco a contenere con la sublimazione. Se mi vedessi da fuori, senza conoscermi, forse mi considererei un reprobo, ma se conoscendomi io mi ritenessi tale allora finirei per guardare il dito invece della luna.

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30
Lug

Dall’ecpirosi in là

Pubblicato sabato 30 Luglio 2011 alle 18:48 da Francesco

Talvolta mi perdo, ma dopo ogni scomparsa vado a cercarmi perché sono il mio migliore amico e ci tengo a me stesso. Finora, nella mia giovane esistenza, non credo di essermi mai trovato ad affrontare delle prove realmente dure e ne sono contento. Spesso e volentieri ricorro all’ironia per tamponare qualche fuoriuscita di senno, ma solamente con dei ragionamenti accorti riesco a cauterizzare le ferite che mi procurano certe riflessioni a cui colpevolmente io concedo spazio di manovra. Dovrei coltivare un maggiore distacco da tutto ciò che mi rende iracondo e inasprisce le mie frasi. Rischio di restare un innocuo egoista per tutta la vita. Ogni volta che sono sul punto di abituarmi a trascorrere il tempo restante come se il futuro assomigliasse molto al presente e al passato, puntualmente gli eventi si fanno ambasciatori di un’intuizione che non compie mai fino in fondo la propria metamorfosi. Ogni tanto ho l’impressione che delle strane coincidenze mi rimproverino la mancanza d’amore di cui sono correo. C’è troppo agonismo per i corpi e le menti altrui, ma io non voglio gareggiare con altre persone per raggiungerne una: queste per me non sono affatto le premesse di un rapporto profondo, bensì le regole dell’accoppiamento animale. Nessuna immagine femminea orbita nei miei pensieri: non ve n’è traccia.
Tempo fa scoprii per caso una pulsar, però a suo dire ella era già parte di un sistema binario e così, pian piano, ho levato il terzo occhio dal fascio di radiazioni che emetteva: io mi sarei voluto perdere nel suo campo magnetico, in quella croce del Sud. Qualche volta ho la sensazione che sia più difficile trovare la vita sulla Terra che nel resto dell’universo. Sono un cosmonauta con la tuta spaziale sgualcita. Non mi aspetto nulla e intanto fluttuo, tutt’altro che piegato alla sorte di cui non riconosco l’autorità. Tendo al bene e la negazione non mi è propria, ma d’altronde non potrebbe esserlo in nessun caso: fortunatamente, aggiungo.

 
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10
Mag

Princìpi d’amore

Pubblicato martedì 10 Maggio 2011 alle 16:41 da Francesco

Ultimamente dalle mie parole s’alzano verso la coscienza le mancanze affettive di cui io sono un portatore sano. Forse le spire della primavera, in cui paiono volteggiare le creazioni più sublimi, acuiscono in me una nostalgia che non posso definire tale perché antecede la separazione dalla quale solitamente si origina. Credo che ogni cosa buona si generi autonomamente e allo stesso tempo conceda agli esseri senzienti l’illusione di potersene ascrivere i meriti.
Ricorre in me la mancanza di una controparte e l’incompletezza che ne deriva. Talvolta mi sento come un invalido emotivo benché mi renda perfettamente conto di quanto io sia predisposto ad amare. Le incursioni dell’autocommiserazione vorrebbero minare la mia autostima, ma riescono soltanto a produrre frustrazioni di scarsa portata che puntualmente riciclo per produrre energia durante l’attività fisica. La tristezza non mi domina sebbene tenti in ogni modo d’impadronirsi di me, ma qualche volta credo che sia opportuno cedere  po’ di terreno alle forze antagoniste per poi metterle in fuga. Questa lotta interiore dimostra quanto io sia in salute sotto ogni aspetto. Se non provassi nulla o se mi fossi arenato in quella bieca idiozia che è il fatalismo, allora forse sfoggerei un’atarassia insincera. Il travaglio precede il parto e quest’ultimo attesta la creazione. Senza ingiuriare troppo la modestia, io mi sento come un tesoro da scoprire, immerso nel tempo corrente e nascosto dagli schemi consuetudinari delle relazioni interpersonali.
La mia inclinazione monogama desta spavento e agli occhi altrui produce congetture sbagliate. Non si tratta di una gara benché l’amore sia effettivamente una disciplina olimpica, ma ammetto di non conoscere persona alcuna che sia in grado di essere all’altezza d’un sentimento univoco. Concedersi a molti o a nessuno è cosa assai comune e semplice, perciò a qualsiasi livello, fisico o platonico, taluni e talune tengono i piedi in più scarpe, ma proiettare il tempo e le attenzioni verso un unico individuo senza ingenerare dipendenza reciproca è un atto miracoloso.
Non è una semplice unione dilatata nel tempo ad elevare l’animo umano, altrimenti basterebbe omologarsi ai falsi valori di qualche stupida religione per toccare il cielo con un dito, bensì è la consapevolezza e l’autenticità dei sentimenti reciproci a determinare una compiutezza duplice. Dall’istinto si può evadere soltanto con la ragione e secondo me è un percorso razionale quello che conduce all’amore sebbene io creda che quest’ultimo non rientri nel primo né nella seconda. La poesia e il romanticismo spicciolo alimentano i rapporti di dipendenza, nascondendone i tratti insinceri con parole quali “alchimia” e “magia”, ma io non conferisco all’amore soprannaturalità e per questo motivo lo elevo al livello dell’essere umano invece di confinarlo nella superstizione. La mancanza che provo è naturale così come lo è ciò che può dissolverla, di conseguenza tutto è nell’ordine delle cose e per me è un grande privilegio rendermene conto.
Chiunque venga sopraffatto dalla tristezza per l’assenza d’amore nella propria esistenza forse riduce a quest’ultima l’intera realtà, ma la natura e le regole che la sottendono non sono affatto il riflesso di un’esperienza soggettiva. Un tempo gli esseri umani si limitavano a riprodursi, ma poi alla necessità di figliare s’aggiunse quella di amare nel senso più profondo che da qualche secolo viene attribuito a questo verbo, erede di parole diverse e sito nell’etimologia quanto lo è l’amore nella filogenesi. Non mi si parli d’amore quando due solitudini annoiate si ritrovano a giocare con i loro sessi: quello è un passatempo istintuale che se venisse praticato in misura maggiore renderebbe questo pianeta meno frustrato e non è affatto paradossale che io scriva ciò. Quanto mi auguro non s’eredita né si compra, non si patteggia né si può pretendere, perciò è meglio che io aguzzi lo sguardo per ravvisarlo nel susseguirsi degli eventi.
Nessuna idealizzazione deve colonizzarmi e non devo tributare nulla ai pensieri perché questi non esistono a meno che non abbiano dei garanti nella realtà in grado di avvalorarne l’essenza. Nella realtà quotidiana quanto ho scritto finora non si tradurrebbe né si traduce affatto in un asservimento mutuo e sfuggirebbe (difatti sfugge) di certo ai toni ampollosi di questo appunto, perciò conterebbe (e solo può contare) sull’ironia, perno di ogni istanza che abbia la sua origine nelle regioni più nobili e autentiche della personalità. Io non devo identificarmi nell’altra né delegarle la mia sopravvivenza, bensì rassicurarla per andarci di pari passo.

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5
Apr

Ancora sulla breccia

Pubblicato martedì 5 Aprile 2011 alle 22:43 da Francesco

In certe parti del mondo le persone muoiono insensatamente, mentre in altre le zone del globo gli individui non riescono a vivere benché le loro funzioni vitali siano attive. Talvolta sembra che tra il pleistocene e il presente quasi non vi siano migliaia e migliaia di anni. Sopraffare, fottere e guadagnare: mi domando se davvero tutto si riduca a questa osservanza della legge di natura. Vorrei iniziare ad amare qualcuno prima di essere troppo vecchio per farlo completamente, però devo anche fare i conti con la realtà che mi circonda e non vedo nulla di promettente attorno a me. Ogni tanto, anche quando mi trovo in ampie radure, mi sento come un animale in gabbia.
Sono forte e sereno, ma vivo come un nomade in un vuoto stanziale. Non sono abituato a stare nei pensieri di qualcun altro, perciò non sono in grado di capire se io interessi ad una persona o meno. Non riesco a captare certi segnali perché affettivamente io sono un completo analfabeta. A intervalli irregolari spunta sempre fuori qualcuno o qualcosa a ricordarmi che la mia esistenza potrebbe anche conoscere la condivisione e l’amore reciproco, però puntualmente, di questo promemoria, resta soltanto una raccomandazione per il futuro.
Prima o poi il tempo chiuderà il mio cuore e forse nell’amarezza di questa evenienza riuscirò a trovare comunque un po’ di sollievo per una certezza di cui comunque farei volentieri a meno. Molte cose possono cambiare dal giorno alla notte e in questo angolino dell’universo talvolta si sono verificati cambiamenti straordinari per intere popolazioni e per singole vite. Non credo ai miracoli e non me ne aspetto uno, inoltre non sono condannato a nulla, o almeno, non ancora.

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2
Apr

L’ormone della felicità

Pubblicato sabato 2 Aprile 2011 alle 10:51 da Francesco

Finalmente ieri, dopo quasi due mesi, sono tornato a correre. Ho accorciato di tre chilometri il mio itinerario e di conseguenza ho coperto una distanza di diciottomila metri con un passo di quattro minuti e quaranta al chilometro. Ho sentito le gambe pesanti e il vento contrario non mi ha facilitato la prestazione, però sono soddisfatto di questo ritorno e credo che presto riotterrò la velocità di un tempo sul percorso originale.
Al di là delle questioni tecniche, per me è stato davvero importante il ritorno alla corsa anche e specialmente sotto l’aspetto emotivo. Non posso certo seminare podisti esperti e più svelti, ma quando corro riesco a lasciarmi dietro ogni delusione, ogni aspettativa funerea, ogni dolore e tutto l’armamentario della tristezza. Quando torno a casa non c’è nessuno ad aspettarmi, ma dopo una fatica del genere non rientro mai abbattuto e anzi, un profondo senso di orgoglio mi fa sempre strada. Talvolta, di sera, dopo una mezza maratona (o una distanza che le si avvicini molto) io sfioro la commozione e qualche volta arrivo anche al punto di lacrimare. L’attività fisica è lo strumento con il quale mi sono salvato la vita  e per mezzo di cui me la continuo a rendere piacevole. La produzione di endorfine che avviene durante la corsa svolge un ruolo importante in tutto ciò, ma non è una questione esclusivamente biochimica e difatti, almeno nel mio caso, il primo motore è quello della volontà di vivere. Ogni tanto, se potessi sdoppiarmi, mi abbraccerei. Tra dieci anni mi vedo ancora sulle stesse strade, sotto gli stessi soli pomeridiani, tra equinozi e solstizi ormai assodati, con auricolari (questi mi auguro diversi!) per veicolare melodie veloci e potenti, con le smorfie facciali forse un po’ avvizzite  Chissà, per me e la corsa potrebbe valere una celebre formula che di solito ricorre in altri ambiti: “Finché morte non vi separi”.
Nei giorni precedenti il mio stato d’animo era sceso drasticamente perché avevo visto collassare su se stessa un’occasione rara e meravigliosa. Il desiderio genera sofferenza, ma è un rischio che sono sempre pronto a correre, in tutti i sensi. Dovrei scrivere certe cose a qualcuno, ma alla fine anche così va bene, senza parole.

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27
Feb

Morte e ramen

Pubblicato domenica 27 Febbraio 2011 alle 20:15 da Francesco

Ieri, tra le mura medicee di Grosseto, ho scoperto un negozio di cibo etnico in cui non ho esitato a comprare alcune delizie. Mi sono portato a casa un po’ di ramen e me lo sono preparato per il pranzo d’oggi e per quell’altro pasto della giornata che solitamente si consuma durante la sera. Devo proprio risolvermi a fare una scorta di ramen: in questo caso l’imperativo è d’obbligo.
Nel circo mediatico oltre agli elefanti e alle puttane tirano molto anche i morti. Gli indici d’ascolto si alzano come in un’erezione al cospetto dei cadaveri, difatti la morbosità diffusa costituisce una necrofilia platonica. Quando la carne viene meno e lo spettacolo sembra finito, c’è sempre qualche virtuoso del cattivo gusto che riesce immancabilmente a sfregiare finanche la memoria. Avvezzi alla violenza, alla prevaricazione, ma sempre al soldo delle loro insicurezze, un numero consistente di miei simili si diletta a esorcizzare le paure con l’infantilismo dei bambini, tuttavia senza avere più a disposizione la cattiveria innocente che ricorre spesso nei fanciulli. A me pare che a molte persone piaccia stringersi attorno ai lutti per adoperare il proprio dolore o quello di estranei come collante emotivo. Talvolta la solidarietà veicola aspetti meno nobili e altrettanto essenziali per il quieto vivere. Un raduno di motociclisti non è poi tanto diverso da una veglia funebre. Gli usi e i costumi sono sempre più raffinati, il pudore rasenta l’ipocrisia e la condotta si modella su schemi canonici, ma c’è sempre un fondo primitivo alla dipartita di un essere umano come al suo arrivo. Dall’efferatezza alla commozione mi pare che ancora sia difficile svincolarsi dagli istinti e dai retaggi comportamentali per muoversi in regioni più alte del pensiero. Ci provo.

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17
Ott

Contatto

Pubblicato domenica 17 Ottobre 2010 alle 02:37 da Francesco

Suppongo che in una relazione amorosa la sessualità svolga una funzione capitale. Trovo banali e poveri i rapporti che offrano soltanto la carnalità o un appagamento platonico, insomma tutti quei legami incompleti che ancor oggi evito e derido, tuttavia mi domando se io sia all’altezza di sostenere un rapporto che racchiuda in sé un equilibrio perfetto tra istinto e intelletto.
Ormai credo che io abbia conseguito una certa esperienza sotto l’aspetto platonico, però sono completamente impreparato al contatto fisico. Una sciagurata che decidesse d’imbarcarsi in una relazione con me dovrebbe pazientare un po’ per raggiungere l’orgasmo. Probabilmente i primi tempi mostrerei la mia goffaggine e non sarei in grado di fottere come si conviene: ah, diamine! Immagino che una donna percepisca l’abilità del partner a toccarla e penso invece che un uomo difficilmente si renda conto di come i propri gesti impattino sulla cute femminile, tuttavia non mi preoccuperebbe la mancanza di tatto che potrei mostrare all’inizio e dunque neanche l’ansia da prestazione riuscirebbe a farsi spazio in me.
Dalla mia prima sega ne è passato di sperma sotto i ponti, tuttavia non credo che la pornografia mi abbia insegnato granché sul sesso: tanti calli e poche nozioni. Forse soltanto l’esperienza può insegnare le dinamiche dell’amplesso a chiunque sia disposto ad apprenderle senza curarsi subito del proprio appagamento. La sessualità è una dimensione piuttosto lontana da me e con una licenza poetica la definirei in perenne afelio dalla mia realtà, ma ne immagino il potenziale e credo che quest’ultimo sia sconosciuto anche a coloro i quali, pur sessualmente attivi, abbiano soltanto dei rapporti meccanici, improntanti a degli automatismi atavici. Io uso la masturbazione come valvola di sfogo per le pulsioni sessuali e nella mia vita la sua incidenza è tutt’altro che compulsiva, tuttavia non credo che quest’ultima possa svolgere un’altra funzione oltre a quella regolatrice per cui io la osanno.
Io vivo bene nonostante la mancanza d’amore perché ho la consapevolezza dalla mia parte e conosco, da spettatore estraneo ai fatti, quali danni inenarrabili possa subire una vita qualora forzi se stessa per obbedire alle debolezze. La pazienza è la virtù dei forti e talvolta non porta a nulla, ma io la ritengo preferibile a tutta la gamma di disastri annunciati che ormai tracima dai libri d’ogni epoca e dai volti di molta gente.

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1
Lug

Dissertazione faceta sulla serietà moderata della mia illibatezza

Pubblicato giovedì 1 Luglio 2010 alle 02:07 da Francesco

Qualche giorno fa ho rincontrato per caso un vecchio compagno di giochi e l’ho salutato prima di accorgermi del suo passaggio all’età adulta, difatti si trovava con la compagna e la figlia neonata al seguito. Cazzo, non sono riuscito a trattenermi quando ho visto il passeggino e invece di complimentarmi per la nascita gli ho detto qualcosa che suonava più come una condoglianza: “Eh, ti è toccata! Che ci vuoi fare!”. Dodici anni fa io e questo tizio mettevamo le caccole sui pollici e le colpivamo con l’indice per bombardarci reciprocamente, bestemmiavamo a ogni piè sospinto e ogni tanto, prima di una serata davanti ai videogiochi, rubavamo qualche lattina di Coca Cola dal ristorante dei suoi genitori. Cazzo, mi dispiace che egli abbia procreato così giovane, difatti ha cinque anni meno di me benché io sia decisamente più infantile di lui. Ricordo ancora quando mi diceva: “Oh, io da grande faccio l’avvocato o l’attore porno”. Immagino che la prima carriera potrebbe ancora intraprenderla se decidesse di affrontare un quinquennio di giurisprudenza, ma sospetto che la seconda ormai gli sia preclusa. Dannazione. Durante l’adolescenza i miei conoscenti erano quasi tutti più giovani di me perché i miei coetanei inseguivano già le fighe. Ormai anche quei piccoli disgraziati sono cresciuti e si sono fatti irretire dalle passioni o da qualcos’altro che ne ha annientato lo spirito di un tempo. Io sono sempre la stessa persona, ho maggiore consapevolezza di me e conosco qualche data storica in più rispetto al passato, ma sono ancora un ragazzino segaiolo che sfrutta ogni occasione possibile per ridere senza freni di sé e del mondo che lo circonda. La sindrome di Peter Pan non c’entra nulla. Di gente immatura n’è pieno il mondo, ma io ho ancora il privilegio di conservare in me qualcosa d’infantile che paradossalmente mi ha permesso di crescere bene e continua a sostenermi sopra la coltre di mestizia nella quale spesso si rifugiano i cosiddetti adulti.
Una mattina della scorsa estate ho fatto impazzire il figlio di nove anni di un’amica di mia madre. L’ho battuto sul suo stesso campo e l’ho portato all’esasperazione con un armamentario verbale e facciale, però alla fine, dopo il piacevole spettacolo della sua disperazione, contro le indicazioni della madre, l’ho fatto giocare a Grand Thef Auto: Chinatown Wars e pare che si sia divertito a spacciare cocaina ed eroina mentre compiva omicidi su commissione per conto di Zhou Ming. Fanculo il metodo Montessori, se avessi meno tempo da perdere offrirei nuove teorie alla pedagogia. Comunque, a parte quest’ultimo excursus aneddotico, anch’io dovrei cominciare a guardare il gentil sesso da un punto di vista che non sia autoptico, ma c’è un’altra congiunzione avversativa che si frappone alla natura condizionale della mia intenzione: “Ma!”.
Insomma, di ragazze avvenenti ce ne sono molte e ogni anno ne nascono di nuove, ma io non ho mai conosciuto né incontrato una ragazza interessante o che io reputassi avulsa dalle banalità. In quanto affermo non incide il livello culturale, bensì la personalità e immagino che a ventisei anni per me cominci a diventare piuttosto improbabile la possibilità d’imbattermi in una ragazza che mi sia affine. La solitudine non mi pesa affatto e anch’io, per quanto ne so, le sto simpatico, perciò la preferisco ai rapporti che scaturiscono dal bisogno e dall’insicurezza, come per altro ho già avuto modo di scrivere e dire in altre sedi. Nel mio comune e nelle zone limitrofe non ho mai conosciuto qualcuno che abbia suscitato in me un interesse vivo. Infatuazioni, tutt’al più, mai partite da me, tra l’altro. Insomma, tutto ciò che ho scritto finora esemplifica in parte le ragioni per cui io preservo la verginità. Certa gente mi considera anormale perché non ho mai avuto una fidanzata né ho mai dato un bacio, ma io compatisco chi invece ha dovuto farlo per sentirsi in linea con gli obblighi virili. In me vivono paradossi che trovo fantastici. Sono disinibito, piuttosto libero, lontano dalla maggior parte delle costrizioni che spesso scaturiscono dal giudizio della collettività (o meglio, di una sua parte, quella trascurabile, per inciso) e tutto ciò lo considero più utile, prezioso e persino più simpatico di qualche episodio orgasmico. Beh, posso dire di essermi fatto con le mie mani, con la sinistra precisamente. È buffa la serietà che taluni attribuiscono a certe cose. Per la chiusa di questo appunto prolisso voglio allegare un video che reputo molto interessante. Nel filmato, precisamente dal cinquantunesimo secondo, Franco Battiato intervista Claudio Rocchi e quest’ultimo racconta una sua esperienza che a mio avviso merita un ascolto attento: io la considero una delle cose più interessanti tra quelle che ho udito negli ultimi tempi.

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15
Ott

Lo strumento sporco

Pubblicato mercoledì 15 Ottobre 2008 alle 03:06 da Francesco

Qualcuno crede che io sia afflitto dalla tristezza a causa delle mie analisi interiori, ma le cose stanno diversamente. Attraverso l’introspezione ho toccato punti molto profondi della mia intimità senza curarmi di eventuali conseguenze. Ho sempre ritenuto che fosse importante liberarmi il più possibile dai condizionamenti esterni e per questo motivo non ho mai avuto problemi ad affrontare argomenti personali, ma questa disinvoltura titanica ha creato un’apparenza cupa sulla mia persona. Non sono un masochista che ama vessarsi con indagini impietose, ma cerco di utilizzare l’introspezione in modo distaccato e razionale per facilitarmi la vita. Non posso avere il controllo su ogni cosa, ma ho la possibilità di aumentare l’emancipazione della mia capacità decisionale dall’impulsività e dai paralogismi. Questo processo non si svolge presso i prati fioriti di Heidi ed è normale che talvolta emergano argomenti quasi imbarazzanti, ma ritengo che in casi simili si veda la volontà di studiarsi. Io tendo verso l’oggettività, ma so che non posso raggiungerla e allo stesso tempo compio sforzi per avvicinarla quanto più possibile. Alcune cose che ho scritto in passato possono sembrare disgustose e altre ingenue, ma io penso che rappresentino le estremità sincere della mia morale. Ho ripetuto altre volte che io non credo nell’amore perché non ho bisogno di credere in qualcosa che esiste e si manifesta senza avalli ulteriori, ma questa posizione può essere ritenuta ingenua da chiunque la interpreti in maniera superficiale. Ciò che viene comunemente indicato come “amore” probabilmente non lo è altrimenti rimarrebbe tale e non provocherebbe reazioni che non lo riguardano, ma per taluni è impossibile ammettere una cosa del genere poiché si tratta di un attentato alle strutture di difesa dell’Ego. Trovo che sia più facile pensare all’amore come qualcosa di elitario, romanzesco o reazionario, ma io che tendo verso l’oggettività non posso fermarmi di fronte agli alibi dell’incoerenza e della paura. Le mie parole non vogliono convincere nessuno, infatti io mi rivolgo sempre ed esclusivamente a me stesso, ma posso conoscermi meglio lambendo alcuni aspetti dei miei simili senza preoccuparmi delle scelte private di costoro poiché non mi competono né possono influenzarmi. Un discorso simile si adatta alle parti più macabre e disgustose della mia scrittura. Io non amo l’horror: lo trovo banale ed estremamente noioso. A me interessano gli orrori reali e per questo a un film come “Begotten” preferisco un documentario sugli esperimenti di Josef Mengele. Il mio approccio nei confronti degli orrori umani non è adolescenziale. Non mi interesso al male per stupirmi o per stupire. A me interessa la realtà e penso che quest’ultima sia più difficile da scorgere attraverso scenari che la alterino, tuttavia non nego che possano avere ugualmente una certa valenza in un’ottica metaforica. Non posso farci nulla se sembro un individuo triste e anche se potessi liberarmi da questa nomea non lo farei perché non è un problema che mi riguarda. Credo che la tristezza sia fondamentale e sono contento di averla sperimentata in passato, ma ho già imparato da lei tutto ciò che poteva insegnarmi e ormai preferisco frequentare i miei risultati positivi. Penso che la comunicazione sia una sorta di selezione naturale che premia chiunque provi ad agire e riflettere abbattendo ostacoli senza il timore dei pregiudizi e dell’imbarazzo.

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