Per me la primavera inizia questa mattina. Respiro un’aria nuova e mi sento scaldato da un sole in bermuda. Mi piace molto questo periodo perché esercita su di me un effetto tonificante che rinforza la mia calma adamantina. Ogni anno, durante la seconda metà di marzo, la mia mente fa sempre retromarica: affiorano i ricordi della confusione scolastica, le azioni irrazionali tipiche degli adolescenti e le immagini di giornate assolate e isolate. Dopo qualche amarcord metto la prima e mi dirigo verso il futuro per impedire che il piacere del passato annuvoli la bellezza del divenire. Il mio stomaco si ribella e vuole cibo. Stamane ho fatto venti chilometri in cyclette impiegando meno di quaranta minuti e il mio organismo, giustamente, chiede rifornimenti. A pranzo degusterò del riso integrale condito con i carciofi, addenterò un po’ di frutta e scaverò tra gli abissi di un vasetto di yogurt. Credo che nemmeno una malattia improvvisa possa turbare il mio stato di grazia. Alcune volte mi chiedo se il mio sia un benessere reale o il semplice frutto di una mia convinzione inconscia. Penso che il mio benessere sia vero perché non riesco a mentire a me stesso, ma per sicurezza tengo sempre sotto controllo la sua veridicità. È quasi mezzogiorno e tutto va bene.
Il mio sabato pomeriggio è avvolto da un silenzio imperturbato. Mi piacerebbe poter serrare lo sguardo e vedere ciò che accade in questo momento in ogni loco terrestre; vorrei fare zapping tra l’emisfero australe e quello boreale. I vetri della mia finestra sono un po’ sporchi, devo ricordare alla mia volontà di pulirli. Ho bisogno di pisciare, ma non urinerò fino a quando non avrò svuotato il sacco di parole quotidiane. In questo preciso istante ci sono cellulari che squillano e persone che non rispondono, suonerie fastidiose e becere provocano inquinamento acustico nell’autismo generale. Parole non dette, mezze verità, desideri repressi: sono felice di essere fuori da questo circolo vizioso. La mia calma assomiglia a una donna nuda che riga il suo corpo con un cubetto di ghiaccio. Non sono un fatalista, ma credo che tutto vada come deve andare. Io vado adagio, come una barchetta ellenica che circumnaviga Cipro sopra le correnti del Mediterraneo. Da tanto non irrito più i miei occhi con la salsedine, nonostante il mare disti solo tre chilometri dalla mia magione. Mi chiedo se sia io a vivere al margine o se il centro della pagina sia un luogo poco frequentato. Le mie domande sono delle vedove lesbiche alle quali mancano le risposte. La mia carne chiede sudore e la mia voglia di pedalare acconsente alla richiesta.
Mi sono alzato alle nove e mezza dopo quasi dieci ore di riposo tombale. Mi sento in forma e anche stamane non riesco a trattenere il mio sorriso. Le mie lettere sono scandite dai tocchi di “Cause We Ended As Lovers” di Chieli Minucci, un ottimo chitarrista jazz fusion. Sto fluttuando a mezz’aria senza rendermene conto. È il mio senso di leggerezza e di quiete che mi fa levitare sopra i patemi comuni. Non so che sensazioni diano le droghe, ma non credo possano creare una sola allucinazione migliore della mia realtà. Sono io che mi porto dietro l’Eden terreno o è quest’ultimo che segue i miei passi? Sono appagato, ma non completo. La mia parte complementare è assente, essa latita per il globo senza che io conosca le sue fattezze. Non posso diramare un ordine di cattura né affiggere manifesti con su scritto “wanted” perché non conosco i tratti della mia metà; la mia parte complementare è un po’ come Maometto, non può avere un volto prima della sua apparizione. Non so se avrò mai una visione mistica di lei in abito da sera o in cardigan, non so se avrò mai modo di tenere il suo kajal, e soprattutto non so se conoscerò mai le forme irregolari della sua anatomia. È una giornata stupenda e per oggi mi basta sapere questo. Non posso spiccare il volo perché sono già in aria; posso solo volare più in alto. Chieli Minucci continua a dispensare assoli a destra e a manca, e questa volta è il sound ottimista di “The Sun Will Always Shine” che rimbalza sulle pareti della mia stanza. La mia bocca è ancora permeata dal piacevole gusto dello yogurt ai frutti di bosco che ho fagocitato quasi due ore fa, le mie mani sono un po’ fredde e profumano di sapone di Marsiglia, mentre le mie gambe, un po’ villose, chiedono con insistenza di percorrere lunghi chilometri immobili sopra la cyclette. Fermo l’ingordigia della scrittura e conservo parole per le ore a venire.
Sono esaltato dalla mia esistenza. Difendo il mio senso dell’amore a spada tratta e seguo un mio codice morale che non ha radici in nessun credo religioso. Ho lasciato dietro di me molte persone melliflue e ho ucciso l’importanza delle loro carni. La mia katana è formata dalla parola e dall’azione. La lama del mio verbo ha trapassato legami consanguinei e rapporti longevi. Tutta questa violenza morale è dovuta al mio desiderio di dilaniare le maschere che insinuano la mia integrità. Non voglio essere sottomesso dalle orde della falsità e della comodità, non voglio compromettere né contrattare la purezza dei miei sentimenti solo per evitare la mano oscura della solitudine sine die. So che dipingo con tinte epiche il mio comportamento integralista nei confronti dei sentimenti e non posso farne a meno. Mi sono educato da solo in un isolamento prolungato, non temo più il silenzio e il vuoto, e so che la via giusta per i miei passi è rappresentata dallo sguardo di una mademoiselle di cui prendermi cura nel rispetto della sua individualità. Forse la mia età mi rende ancora troppo acerbo per addentrarmi così in profondità, ma non temo il tempo né la perdita della mia primavera. Sono armato di parole e pronto a essere concreto ipso facto. Sorrido con determinazione perché sono in stato di grazia.
La mia città è illuminata da una giornata stupenda, le condizioni atmosferiche sono impeccabili e non c’è nulla che possa turbare la pacatezza del mio ennesimo dì lagunare. Le casse amplificano i ritmi latini della chitarra di Marc Antoine e il mio udito ne approfitta per deliziarsene. Le mie giornate continuano a trascorrere tutte uguali e un po’ incolori, ciò nonostante sto bene. Nella mia vita non c’è nulla d’importante, ma non è grave. Sono rilassato, però il mio è un relax bizzarro; per me è come prendere il sole a Sarajevo durante la guerra dei Balcani, disteso su una sedia a sdraio in mezzo alle bombe, ai cecchini, alle rovine urbane e alle famiglie in lutto. Nella mia vita non c’è nulla che giustifichi lo strano sorriso che sorge spontaneo sul mio volto e sinceramente non sento il bisogno di trovare una ragione al mio piacevole stato di requie. È possibile che io abbia già raggiunto il nirvana? Non ho raggiunto la beatitudine, ma mi sento ugualmente beato. Nonostante il mio benessere sono consapevole dell’importanza di un sentimiento nuevo e non lascerò mai che la mia individualità mi neghi il tentativo di rendere felice un’altra persona. Ogni cosa a suo a tempo, ammesso che ci sia un tempo per ogni cosa.
Ho passato l’intero pomeriggio all’interno di una forte attività onirica svoltasi durante un costante dormiveglia. Tra poco mi rimetterò a letto e probabilmente mi sveglierò domattina. Se riuscirò ad alzarmi presto uscirò e andrò a correre, altrimenti rimarrò in casa e mi dedicherò al vogatore e alla lettura. Provo un piacevole torpore. Se mi volto vedo il materasso che ammicca, con malizia ed esperienza, alla mia schiena. Il mio letto mi vuole supino e rilassato, e non riesco a dirgli di no. Quando sono stanco mi sento molto dolce e pervaso dal desiderio di condividere le coperte con la ragazza che non ho. Il mio desidero venereo è più intenso che mai. Da alcune settimane un ingiustificato senso di benessere, che ho accennato più volte nelle righe precedenti, acquieta ogni mia frustrazione e mi rende invulnerabile da ogni attacco dell’impulsività. Credo che sia importante mantenere il contatto con la realtà, anche quando essa è terribile e angosciosa. Penso che sia pericoloso nascondersi dentro le chimere e vivere esclusivamente di fantasie e deliri. La realtà può essere stupenda, anche quando ogni sua sfaccettatura appare un vicolo cieco dal quale sembra impossibile uscire. Sono giunto al termine del mio stato di coscienza domenicale e concludo con un sorriso.
Non ho in programma nulla di particolare per la mia giornata. Mi dedicherò alla lettura di un capitolo de “I Rifugi della Mente” non appena avrò terminato queste parole prive d’inchiostro. Più tardi userò la vista e l’udito per la lettura dei fatti di cronaca e l’ascolto di alcuni album. Ho intenzione di trascorrere la serata con alcune puntate di City Hunter e con l’astrattismo di un videogioco. Forse alzerò qualche peso e tornerò a incidere queste pagine con la tastiera. È un sabato qualunque, una normale giornata del mio ventunesimo anno di vita. Bevo un sorso d’acqua, passo la mano sinistra tra i capelli e mi avvicino alla chiusa. Continuo a sentire una strana sensazione di benessere, ma non riesco a capire da dove provenga. È pace, è quiete, è una tenda che attenua le luci estive di un’alba colma di vivacità.
Marzo è bisessuale perché si tiene stretto alla virilità dell’inverno e allo stesso tempo si concede alle vanità della primavera. Mi piace questo mese perché mi ricorda i tempi della scuola media. Mi chiedo cosa accadrà nel corso dei prossimi trentuno giorni, mi domando se la mia vita continuerà su una rotta incerta o se riuscirò a vedere la terra, seppure in lontananza. Sono un po’ affatticato, ma mi sento bene, l’allenamento mi appaga e come ho scritto in precedenza, mi permette di sfogarmi. Alla mia destra ho una tazza di thè alla mela; vorrei bere tutto d’un fiato, ma la temperatura dell’acqua mi concede solo sorsi fugaci. Il giorno sta iniziando mentre le mie ore di veglia stanno giungendo alla fine. Anche oggi mi sveglierò durante il tardo pomeriggio e ripeterò il repertorio di fatica che sono abituato ad eseguire da alcuni giorni: correre, vogare, flettere e alzare. Concludo con la speranza di gridare quanto segue: «Terra, terra!».
Anche oggi mi sono alzato alle cinque di pomeriggio. Ho mangiato qualcosa, ho guardato le notizie del giorno, ho ascoltato qualche album e infine mi sono dedicato al mio corpo; molte serie di pesi e due corse notturne. Mi piace sentire il mio organismo sotto sforzo e adoro come la fatica riesce ad eliminare le impurità della mia mente; frustrazione, disagio, noia. Ho intitolato queste righe “Relax tonificante” perché la mia vita è un continuo rilassamento nel quale mi prodigo per mantenere la mia mente e la mia carne in ottime condizioni. Mi piace essere lucido e voglio fare tutto ciò che posso per evitare che qualcosa comprometta la mia percezione della realtà. So che mi attendono ancora molti giorni solitari privi di calore umano, ma non ne sono spaventato. Sto sorridendo. Voglio avere una vita longeva nonostante io non abbia motivi apparenti per desiderarla. Finisco la mia tazza di thè e mi dirigo vicino alle lenzuola; per me è il momento di dormire, ma non per sempre.
In questi giorni non faccio altro che correre e alzare pesi. Avverto qualche dolore al collo e alle spalle perché non sono ancora abituato ai nuovi ritmi di allenamento che mi sono imposto. Cerco di incanalare nello sforzo fisico tutta la mia rabbia latente; in psicologia questo processo si chiama sublimazione. Sono stanco e solo, ma riesco ancora a sollevare la testa. Non ho mai mandato SOS di fumo con la nicotina, non ho mai versato il mio senso di vuoto sulle rive dell’alcol, non mi sono mai dilettato con le droghe, non ho mai affidato la mia vita alla follia della religione, non ho mai potuto fare affidamento su amicizie invisibili, non ho avuto un padre benché io non sia orfano e non ho mai conosciuto le dolci cure di una qualsiasi forma d’amore. Trovo che tutta questa negazione sia un’occasione per dimostare a me stesso la mia forza e la mia resistenza. Tutti i rifiuti che ho ricevuto non mi hanno fatto diventare un individualista, ma hanno accresciuto in me la convinzione che occora essere almeno in due per rasentare la felicità. So che esistono sentimenti splendidi e non sarà certo una diffusa ritualità, che accetta solo il lato carnale e d’interesse di ogni situazione, a convincermi del contrario.