Quindici anni fa vivevo in campagna e durante l’estate giocavo con i figli dei vicini. Ricordo le partite a calcio e i fiori decapitati a pallonate. Ho provato paura durante quelle sere estive perché temevo che una stella cadesse sulla Terra e la distruggesse. Immaginavo scenari apocalittici con la fantasia di un bambino e passavo i pomeriggi davanti alla televisione a guardare i cartoni animati e i telefilm su Canale 5 e su Rete 37. Ricordo con piacere Ken Il Guerriero, Holly & Benjy, i Transformers, GI Joe, He-man e i Cinque Samurai. Mi piacevano i soldatini e svolgevo regolarmente dei raid aerei sopra i formicai del mio giardino. Erano momenti colmi di spensieratezza. Oggi ho inevitabilmente più consapevolezza del mondo che mi circonda, ma ogni tanto riesco ancora a comportarmi e ad assimilare i fatti come quel bambino dedito alle grandi manovre con bombardieri e soldatini di plastica. Credo che sia importante mantenere un contatto con la propria infanzia per tutta la vita. Ho notato che il tempo e l’acculturazione, di qualsiasi livello sia quest’ultima, tendono a ridurre drasticamente il numero di occasioni nelle quali le persone riescono a sorprendersi. Per me è fondamentale la capacità di meravigliarmi senza ingenuità e per farlo a quasi ventidue anni ho bisogno di restare connesso con la prima fase della mia vita, senza che il collegamento con l’infanzia mi porti a comportamenti infantili tipici di tanti adulti. Concludo e mi dedico alla bevuta di un po’ d’acqua.
Non sono in grado di interpretare i miei sogni, ma talvolta tento di farlo ugualmente. Alcune volte ho degli incubi, altre volte dei sogni erotici che spesso fanno da preludio alle polluzioni notturne. È da molto tempo che nei miei sogni non appaiono più le persone con le quali ho rotto i ponti e credo che ciò indichi la loro scomparsa dalla mia interiorità. Adoro immergermi nel mare onirico del mio stato di incoscienza senza preoccuparmi degli effetti collaterali: piacere o angoscia, dolcezza o terrore. Vorrei essere in grado di sognare ogni volta che cado dormiente. Se fossi nato negli anni sessanta avrei trascorso i pomeriggi ad ascoltare la voce rauca di Janis Joplin e avrei usato molta mescalina per procurarmi allucinazioni. Purtroppo vivo nel secondo millennio, il peyote non è più di moda e io non faccio uso di droghe. Se fossi un chimico mi dedicherei all’invenzione di una droga priva di controindicazioni. Non credo che la tossicodipendenza possa essere sconfitta, pertanto penso che l’industria farmaceutica debba iniziare una ricerca su un tipo di droga in grado di non compromettere le funzioni vitali dell’organismo umano. Gli introiti derivati da questo ipotetico narcotraffico legale potrebbero prosciugare le tasche della criminalità organizzata, potrebbero permettere investimenti maggiori nella ricerca per la cura delle malattie più gravi e potrebbero incrementare lo stato di salute della popolazione terrestre. Mi rendo conto che le ultime righe sono pura fantascienza, ma le trovo coerenti con l’aspetto onirico di questo breve scritto.
Ieri sono andato a letto alle sette e mezzo di sera e mi sono svegliato alle due di notte. Non ho fatto nulla di particolare. In questo momento sono chiuso nella mia stanza e non so come intrattenermi. Alla mia destra c’è uno squarcio di cielo censurato dalla persiana della mia unica finestra e alla mia sinistra siede il mio vecchio amico muro, tacito e sornione. Un’altra settimana sta per concludersi senza che sia iniziato nulla di nuovo. Mi trovo sempre a contatto con il mio benessere alienante e continuo ad alimentare le mie giornate con cucchiaiate di apatia. Il mio tempo è intrappolato nell’assenza di concretezza. Credo che mi addormenterò alle otto di sera o forse un po’ prima. Mi piace dormire, ma il mio non è vero riposo perché nella mia vita non c’è fatica. Il mio sonno è un vizio dell’organismo e non un bisogno reale. Tra poco mi laverò i denti e lo farò lentamente, molto lentamente. Mi diverto a guardarmi allo specchio mentre combatto il tartaro con lo spazzolino a cui non ho mai dato un nome. Per me questo è un pomeriggio pachidermico e sereno, ma senza nulla che lo caratterizzi in modo particolare. Nulla procede e nulla s’interrompe. Vado a impugnare il tubetto di Colgate.
Ho la sensazione che il vento del cambiamento stia iniziando a spirare. Mi chiedo se Eolo abbia in serbo per me un altro monsone colmo d’infatuazione o il soffio caldo di un eterno scirocco. I movimenti d’aria a cui mi riferisco non sono raffigurati sulla rosa dei venti ed è per questo motivo che mi è impossibile conoscerne le direzioni. Peno che le mani riescano a congiungersi con qualcosa di ultraterreno quando si intrecciano con quelle di qualcun altro e non quando si imprigionano l’una con l’altra in una preghiera fatua. La parabola di due vite inizia sempre con un incontro e termina altrettanto inevitabilmente con una separazione, ma credo che vi sia un modo inesprimibile per apporre un sigillo imperituro sulla simbiosi sentimentale di due entità viventi. Forse la mia è solo un’idea romantica per evitare l’accettazione della finitezza di ogni cosa imposta dalle attuali limitazioni delle conoscenze umane. Non voglio dare troppa importanza al futuro, però voglio preservarlo nell’esperienza costante del presente. Voglio che quel corpo, di chiunque sia, si accompagni a me senza dare troppo peso alle inezie di questa epoca e che riesca a fondere, con i suoi trentasette gradi, i metalli che costituiscono le parti più intime e riservate della mia interiorità. Io voglio fare altrettanto. Credo che la poesia di un rapporto non stia in continui trattati sull’eros né in un continuo atteggiamento melenso. Considero indescrivibile il collante di due persone e per questo motivo ritengo che non occorra nessuna frase particolare per interrompere il fruscio dell’acqua che aiuta una delle quattro mani a lavare un piatto nell’ora del pranzo. Per me è magnifica l’idea di un rapporto conscio della profonda intelaiatura che sorregge la sua apparente superficialità. L’ironia deve essere all’ordine del giorno per agire come vaccino contro atteggiamenti seriosi. Penso che la forma delle azioni di una coppia debba essere scherzosa e che solo il risultato delle volizioni debba assumere toni più austeri. Un esempio concreto: stare al capezzale di un congiunto di uno dei due partner senza incrementare le sfumature tragiche della situazione, ma presenziare con un tono quasi faceto in grado di sussurrare vicinanza durante gli ultimi battiti cardiaci del morente. La chiave di lettura di queste righe deve essere leggera e serena. Mi preparo al pasto nella speranza che quella vacca di mia nonna si sbrighi.
Tendo ad abusare dell’ironia. Tratto con ilarità la morte, le malattie, i drammi personali, l’inibizione comunicativa della persone e ogni altro argomento che di solito riesce a scuotere le corde della sensibilità umana. Ironizzo molto su me stesso e sul mio vuoto emozionale che mi obbliga a massaggiarmi lo scroto. Per me la scrittura è catartica, mi purifica, ma ultimamente mi sono accorto che queste righe rappresentano anche la masturbazione del mio intelletto. Potrei scrivere queste parole sulle pareti dei cessi di una stazione ferroviaria e per me continuerebbero ad avere la stessa valenza masturbatoria. Provo un’attrazione morbosa verso la verità e alcune volte tendo a rincorrerla anche quando essa risulta dannosa per i miei interessi. Sono attratto dall’amore e non smetterò mai di sottolinearlo. La mia visione dell’amore non è fiabesca, ma ha sicuramente una grande componente di romanticismo moderno. Non smetterò mai di ripeterlo a me stesso: non sono un tipo adatto ai flirt con le pin-up provinciali, il mio assetto sentimentale mi permette solo storie a lungo termine. In quasi ventidue anni non ho mai avuto una flirt né una storia durevole: il mio cuore è vergine come il mio uccello. Alcune volte mia madre mi taccia di insensibilità perché dileggio la morte, forse prossima, di mia nonna. Non riesco a pormi in modo serioso nei confronti della morte perché da piccolo ho imparato a esorcizzarla. Forse assumerò un tono più serio se incontrerò qualcuno a cui mi legherò veramente. Non provo affetto per nessuno dei miei pochi familiari e non ho mai nascosto loro questa verità. Sono in grado di provare affetto e di amare, ne sono certo, ma per me non basta un legame sanguigno a giustificare sentimenti così profondi. Provo un po’ di bene per mia madre, ma credo che buona parte di questo lieve sentimento positivo nei confronti della mia genetrice derivi dal complesso di Edipo. In questa fase della mia vita non sento il bisogno dell’amicizia, nonostante io sappia relazionarmi con gli altri e mantenere legami solidi. Non ho mai avuto un legame solido e non ho mai amato, ma asserisco di essere in grado di fare entrambe le cose: sono abbastanza onesto con me stesso per sapere che è così. A me farebbe comodo comportarmi come la tipica persona incazzata con il mondo, ma non ho bisogno di un’ennessima maschera perché ho lasciato da tempo il palcoscenico delle cazzate. Sono un ragazzo tranquillo con un bagaglio di delusioni né più grande né più piccolo di quello di tanti altri. Purtroppo non ho collezionato abbastanza eventi spiacevoli per professarmi vittimista, la mia raccolta di punti esistenziali mi permette unicamente di desiderare un’analisi oggettiva della mia vita, anche quando tale analisi mi infastidisce o lede il mio narcisismo. Vivo con scioltezza e faccio surf sul vuoto in attesa che finisca l’onda del nulla per stendermi sulle sabbie di una prima, e spero unica, passione. Certe volte cado nel tranello della banalità della malinconia e rimango assuefatto dal suo aroma emotivo: per fortuna riesco a liberarmi sempre più spesso, e con grande facilità, delle tentazioni depressive. Non è sempre facile rimanere razionali e allo stesso tempo coltivare sensazioni che hanno poco a che fare con la ragione, ma credo che riuscire a mantenere un equilibrio, tra l’altro crescente, per la maggior parte del proprio tempo, sia un ottimo risultato. Sono convinto che la ragione e il sentimento non devono essere scissi, ma devono essere dosati opportunamente per dare vita a un’alchimia corretta.
Anche oggi mi sono svegliato alle tre e mezzo di pomeriggio. È un sabato ombroso che credo, forse erroneamente, non abbia nulla da offrirmi. La mia testa ruota e il mio sguardo cerca qualcosa per mettere in moto l’ispirazione pomeridiana, ma non c’è nulla che riesca ad accendere la mia verve. Keiko Matsui, una tastierista fusion nipponica di talento, mi fa compagnia in questa prima parte della mia giornata. La quiete possiede ancora le chiavi della mia vita e non sembra intenzionata a cederle. Mi sembra di vivere le ore seguenti al dies irae, ovvero il giorno del giudizio in cui credono i cristiani. La mia pace è frutto di un inverno nucleare e si espande così velocemente da risultare impercettibile ai sensi umani. Spesso sono monotono, ma le parole che ripeto non sono altro che il riflesso della mia esistenza pacata. Sono vivo come altri miliardi di persone e lascio che il tempo porti occasioni per un nuovo inizio o che incida un epitaffio sulla mia carne prima che essa vada in necrosi.
Mi sono alzato dal letto alle tre e mezzo di pomeriggio e al mio risveglio sono stato accolto da una giornata piovosa. Continua tuttora a piovere. Sono nella mia stanza e come al solito ascolto un po’ di musica. Oggi il compito di ritmare i miei minuti è affidato al sax di Wayne Shorter e al basso di Marcus Miller. Ho letto qualche trafiletto della cronaca quotidiana e ho notato che anche oggi è tutto nella norma: vendette trasversali, colpi d’arma da fuoco, battibecchi politici, nuovi culi in mostra e strade bloccate dal traffico. Sono seduto davanti al monitor, indosso una maglietta bianca dell’Adidas e un paio di pantaloncini, sorseggio dell’acqua naturale dalla bottiglia e penso a cosa potrei fare nelle ore a venire. La mia quiete ha molte facce e io le adoro tutte. Talvolta si mostra a me una pacatezza inquietante che emana un odore sgradevole di vuoto, altre volte il viso della mia flemma è l’incarnazione del riposo. Esistono molti aspetti della mia vita solipsistica e talvolta faccio fatica a tenere testa a tutte queste sfaccettature. Ogni giorno cresce in me la convinzione che solo un duetto può mettere in scena lo spettacolo armonioso della felicità. Ho scoperto che a breve distanza dalla mia abitazione esiste una casa chiusa. Nell’ultimo periodo ho notato una notevole proliferazione di mignotte e credo che sia normale: gli istinti chiamano e il denaro risponde. Tempo fa ho ipotizzato di andare con una prostituta per assaporare un po’ di affetto artificiale, ma poi mi sono ripromesso di non farlo perché non mi piacciono le vie di mezzo in ambito sentimentale. Se devo solo svuotarmi i coglioni lo posso fare da solo. Attorno a me sento spesso visioni maschilistiche e apparentemente virili riguardo alla relazione tra i sessi e non solo da parte degli uomini. Per me la copulazione fine a sé stessa è un atto naturale, ma non riesco ad accettarla senza la presenza di un collante sentimentale. Wayne Shorter continua a esaltarsi in “Pandora Awakened”, mentre io mi appresto a sforzare il mio corpo.
Sono appena uscito dalla doccia. Ho trascorso la seconda parte del pomeriggio come avevo programmato: cyclette e pesi davanti agli episodi di City Hunter. Mi piace la stanchezza leggera che transita nelle mie ossa, produce una variante della dolcezza che latita dalla mia esistenza e compensa la mia mancanza di effusioni. Oggi mi sono fatto la barba e ora ne approfitto per toccarmi il viso; le mie dita accarezzano le guance con un po’ di innocenza e con un po’ di malizia legata all’autoerotismo. In questo momento mi piacerebbe cingere il girovita di una baccante speciale e preparare con lei una cena semplice e gradevole al gusto. Le mie proiezioni fantastiche, che elaboro con cadenza fissa, possono sembrare sintomo di dissociazione mentale, ma ho la presunzione di credere che pochi come me abbiano i piedi ben saldi sul filo della realtà. Non mi sottraggo mai al confronto con gli altri e sono sempre pronto a mostrare la nudità del mio carattere. Nel bene e nel male voglio che il mio viso sia l’effige delle mie azioni, per questo non mi nascondo dietro l’anonimato che può offrire la società moderna. Ho conosciuto persone che asserivano di disprezzare l’ipocrisia, ma la realtà e la sua concretezza hanno dimostrato che quelle persone erano le prime a mentire a loro stesse. Non esiste ipocrisia nella società, come tanti finti ribelli brufolosi asseriscono, esistono solo collettivi di stronzi, come forse è giusto che sia nell’equilibrio morale dell’uomo. Una pizza margherita è pronta sulla mia tavola. Concludo con un importante avvenimento odierno: mi sono ricordato di masturbarmi.
Oggi ho terminato la lettura de “I Rifugi della Mente” e ho iniziato a sfogliare le pagine de “La Solitudine del Morente”. In questo momento sto ascoltando l’estro jazzistico di Gregg Bissonette. Mi piacerebbe avere orecchie con le quali sopportare il fracasso notturno dei vagoni ferroviari, occhi per vedere le anime in attesa dentro le stazioni; attese inutili, per molte persone l’ultimo treno è già partito da anni. Vorrei essere parte dell’etere per pitturare nella mia mente gli ultimi istanti di un disastro aereo. Se fossi sabbia scruterei le operazioni belliche in Iraq. C’è molto voyeurismo in me. In questo istante mancano dieci minuti alle undici di sera e io sto bene. Non mi interrogo più da giorni sulle cause del mio benessere interiore, lascio che esso mi culli e mi mostri la sua placenta. Ogni tanto lascio che la mia mente passeggi in mezzo al cimitero dei vivi che mi sono lasciato alle spalle; mezzo crisantemo per ogni lapide e niente di più. Non ho una lista nera, non posseggo più rancore e quasi stento a crederci. Per me il tempo è una cura poderosa, perché oltre a tamponare le emorragie dell’Ego permette di rinforzare i tessuti morali di quest’ultimo. Credo che l’isolamento sia una condizione transitoria che a volte può durare tutta una vita, ma c’è una cosa di cui sono certo: preferisco un isolamento ab aeterno a qualsiasi ballo in maschera.
Stamane il mio risveglio è stato meraviglioso. Durante il dormiveglia ho iniziato a sentire il suono monotono di un sax provenire dal palazzo di fronte. Probabilmente qualcuno si stava esercitando con il sassofono. Mi è piaciuto moltissimo svegliarmi con il suono sbilenco di questo strumento a fiato, nonostante l’esecuzione amatoriale. Prima di alzarmi dal letto mi sarebbe piaciuto osservare la mia menade dormiente, ma al momento ella non esiste. In questo istante la mia finestra aperta fa da usciere a un vento leggero e ad alcuni raggi solari. Da circa una settimana, nella mia cittadina, si susseguono giornate sempre più belle e questo credo che sia un chiaro avvertimento dell’invasione primaverile. Di solito sto bene, ma stamani riesco addirittura a toccare il cielo con un dito. In giornate come queste, battezzate da risvegli celestiali, metto in dubbio la natura mortale dell’essere umano. Per me è bizzarro come questa stagione possa condividere la mia serenità e atti biechi narrati dalla cronaca quotidiana: rapimenti, emersioni di doppie personalità, violenze domestiche e scandali politici. Ogni giorno, da qualche parte, avviene un acting out che assume forme inquietanti. Sono uno spettatore del mondo mimetizzato da comparsa inerte. Metto il punto a questa frase e inizio la mia, solita, giornata.