La notte mi ha sempre regalato ore di dolcezza riflessiva e per questo motivo le sono molto grato. Credo che i migliori momenti della mia vita abbiano fatto la loro comparsa durante la notte: camminate senza compagnia, musica senza musicanti, monologhi ad alta voce e pisciate con le braccia allargate. Ho esplorato cabine telefoniche maleodoranti, ho inalato gli odori dei panifici, ho contemplato il pessimo writing sui muri, ho deposto trifogli di fronte a lavatrici arrugginite ricoperte dall’intonaco, ho ascoltato i lamenti di alcune persiane e ho frugato negli occhi di chi è passato accanto alla mia ombra. In certi momenti ho avuto paura senza motivo. Alle volte ho camminato con gli occhi chiusi, lentamente, senza temere gli ostacoli urbani. Penso che la notte abbia molto da offrire. Nel mio immaginario ci sono coperte invernali riscaldate dall’intimità, occhiate minacciose a causa del sonno, scambi di parole e parole scambiate per altre, frasi di circostanza che non vengono pronunciate e il desiderio di tornare a casa. Durante le mie camminate notturne ho letto molti manifesti funebri e ogni volta, dopo la lettura di uno di quei comunicati così macabri, sono stato assalito da un po’ di malinconia. La notte ha messo in luce la mia empatia, ha acuito i miei riflessi e mi ha dato ripetizioni esistenziali. Le ore buie che ho trascorso a camminare, in realtà sono state ore spese a studiare me stesso davanti a un tecnigrafo invisibile. I miei sono vaneggiamenti a tarda ora, ma contengono un briciolo di senso che mi fa commuovere un po’. Ho bisogno di una piccola rivoluzione personale, devo insorgere contro l’inerzia, ma a tempo debito. Mi sento bene, ma ho sonno: laverò i miei denti, mi avvolgerò nella coperta che si trova sopra il mio letto e adagerò il mio cranio sopra il capezzale.
Il sax frenetico di Bob Berg accompagna il mio ozio domenicale. Sono annoiato e contento. Muovo le dita sulla tastiera, sbadiglio senza coprire la bocca e scoreggio con veemenza. Mi sono alzato alle undici e trenta, eppure ho già sonno. Come posso ingannare le prossime ore? Alle volte mi piacerebbe mandare avanti il tempo come facevo da piccolo con le VHS della Disney. So che non dovrei trovarmi nella mia stanza, ma da qualche altra parte a fare qualcos’altro. Non sono atteso da persone speciali, non ho nomi da pronunciare con entusiasmo e per me non ci sono grandi eventi da attendere con impazienza. Ogni tanto trovo che sia davvero deprimente trascorrere intere giornate senza fare un cazzo, mentre altre volte l’astinenza da qualsiasi attività provoca in me una sensazione piacevole. Vorrei essere in grado di restare a letto per interi giorni, senza fare nulla, tranne fissare le travi del soffitto e ascoltare le battute indecenti sussurrate dal mio intelletto. Anche gli anfratti della mia intimità sembrano avvolti dall’ozio, infatti non sento più quel bisogno di affetto venereo e platonico che non ho mai toccato. Sono curioso di sapere come sarà il mio futuro: sarà brillante e simpatico o schivo e musone? Il mio presente è un po’ indifferente, ma in fondo gli voglio bene. Trovo che il mio passato sia tremendamente lunatico e un po’ taccagno: i ricordi che mi ha regalato non sono brutti, tuttavia non mi piacciono.
È una bellissima giornata colma di nubi e la sfrutterò per andare a fare un giro in campagna. Spesso sono costretto a trovare espedienti estemporanei per evitare che i miei giorni siano dei cloni ordinati sul calendario. Il relax continua a cullarmi e ad allattarmi, sembra che non abbia intenzione di svezzarmi e in parte ne sono felice. Mi chiedo se un giorno ritornerò a contatto con la placenta. Alle volte mi sembra che il tempo scorra diversamente dal solito, ma so che il suo moto unidirezionale non muta mai. Quante volte ho già vissuto questo momento? Quante volte ho digitato il punto interrogativo alla fine di questa frase? Forse in qualche mondo parallelo sono un pilota di formula uno, mentre in un altro riesco semplicemente a prendere la patente senza eseguire riti propiziatori. Dove viene stipato il passato? Alle volte i ricordi giacciono in container a tenuta stagna. Non sono un carceriere e non confino le mie poche memorie. Vorrei essere in grado di dare l’amnistia a tutte le mie reminiscenze per farle diventare ricordi nitidi. Ci sono frammenti di tempo confusi che qualcuno utilizza per creare puzzle più surreali di Dalì. La confusione è una trafficante di giustificazioni. Penso che per osservare sé stessi occorra la capacità di fendere il proprio Ego e di isolarsi temporaneamente, in modo tale da trascendere qualsiasi influenza esterna o interna. Alle volte è difficile dire: “Ho sbagliato tutto”. Suona tragico e da vittimisti, ma non credo che l’errore sia sempre qualcosa di drammatico. L’errore può essere un semplice dato di fatto, una constatazione che non muta il modus vivendi di chi sbaglia: una sentenza, un’ultima parola o un’espropriazione. Credo che le scuse e l’abiura siano formalità morali. Le mie righe sono un po’ sconnesse, ma io le comprendo. Per me è venuta l’ora di muovere le gambe: fatica, aspettami.
Tra poco uscirò e percorrerò diversi chilometri. Non ho una meta precisa: credo che vagherò per alcune ore attraverso la campagna. Forse immergerò il mio corpo in qualche litro di h2o. Stamane la mia magione non è accogliente e le sue pareti hanno dei musi lunghi. Il cielo sopra il mio comune di nascita è pulito e sembra che non abbia intenzione di prevenire le insolazioni. Non ho proprio un cazzo da fare, perciò non mi resta che riempire il primo tempo del weekend con le falcate e con il sudore. Mi piace questa anteprima dell’estate, nonostante non porti grandi novità in questa stagione della mia vita. Devo investire la mia età, il mio tempo e la mia intimità nella mia parte complementare. Penso che al mondo esistano molte parti combacianti con la propria interiorità, ma ritengo che l’unica parte adatta sia quella che si afferra e si vive quotidianamente. È possibile recitare parole intense a visi diversi, ma a mio avviso le parole sono fini a sé stesse se non si appoggiano sull’unicità della concretezza. Per me il tradimento platonico non ha valore perché è privo della componente fisica. Non concedo valore neanche al tradimento fisico, perché è privo della sfera platonica, ma per un mio limite morale non potrei mai accettare quest’ultimo. Nel mio immaginario la monogamia è l’unica arma con cui è possibile rapinare la felicità e il suo equilibrio, ma ritengo che debba affondare le proprie radici nell’appagamento intellettivo e sessuale, e non basarsi su dogmi religiosi o contrattuali. Penso che sia giusto assecondare gli ormoni, ma credo che essi debbano ricevere l’avallo dei neuroni per evitare di commettere cazzate.
Penso che più tardi ascolterò un pezzo dei R.E.M. chiamato “Daysleeper”. Ho voglia di addormentarmi: tra poco mi inabisserò nel letto singolo che si trova nella mia stanza e resterò in apnea sonnolenta per alcune ore. Non ho appuntamenti, non ho impegni e non ho programmi. Non mi dispiace passare il pomeriggio a letto, ma preferirei avere una buona idea per impiegare meglio le mie ore pomeridiane. In questo momento i miei occhi si aprono e si chiudono come quando si trovavano tra i banchi di scuola. Trascorro molto tempo a dare tempo al tempo. Mi sento così leggero da sfidare la gravità a colpi di aerofagia. Spesso il mio vuoto prende la parola ed è per questo motivo che a volte non ho un cazzo da dire. Il mio vuoto non è un’entità negativa: esso è il riassunto comportamentale dei miei disinteressi. Sono le tre di pomeriggio, emetto sbadigli accorati e lancio occhiate indifferenti verso il soffitto. Il mio stato di benessere è un paradosso che non riesco a spiegare. Voglio sbirciare nel futuro, ma non credo ai venditori con i turbanti né alle profezie dei miei connazionali. Vorrei essere un apolide, ma solo per narcisismo. Sono un italiano e disto centocinquanta chilometri dalla capitale della mia repubblica, ma alle volte mi sento molto più lontano, come un paracadutista della domenica che atterra nell’Aspromonte. Quest’oggi le mie parole formano frasi brevi e sconnesse: una traduzione scritta eccellente per i componimenti eterei formulati dal mio cerebro indolente.
Oggi sono stato al mare e mi sono tuffato diverse volte da uno scoglio. A detta dei presenti l’acqua era gelida e un giovane pescatore è rimasto allibito dalla mia audacia. Credo che la mia resistenza al freddo sia dovuta al mio allenamento invernale. Erano alcuni anni che non assaporavo la salsedine e sono felice di averla gustata di nuovo. Sarei stato contento se J. fosse venuta con me: spero che presto i miei piedi si sporchino di sabbia accanto alle orme femminili dei suoi sandali. Stasera mi sento più bene del solito tanto da credermi immortale: sono un highlander maremmano. Sono tornato a casa alle nove di sera, dopo aver percorso diversi chilometri a piedi. Ho cenato seduto a un tavolo della mia mente insieme all’immagine di J. e ho mangiato due kebab contemplando la sua presenza eterea. Credo che il mio corpo sia un magazzino carnale dedicato allo stoccaggio del vigore. Mi sento esaltato come un brigatista o un mujaheddin: penso che solo una malattia terminale possa arrestare la mia ascesa dall’ascesi a uno stato di totale serenità. Sto raccogliendo i frutti del mio isolamento adolescenziale per preparare un cocktail di nettare divino con il quale trincare vita natural durante. Non ho mai provato nessun tipo di droga, ma dubito che le visioni caleidoscopiche provocate dalla mia lucidità possano essere provocate dai composti alcaloidi che mettono a ferro e fuoco i neuroni della mia generazione. A volte la mia percezione della realtà genera in me un’estasi dalle sfumature sciamaniche. Le vie dei Campi Elisi terreni sono aperte a ogni ora del giorno per coloro che sanno stare al mondo senza addomesticare il proprio sistema nervoso.
Le mie giornate continuano a trascorrere tra la presenza zelante del relax e la mancanza perpetua di innovazione. Alle volte mi sento un outsider della vita e in altri momenti ho la sensazione di essere un ragazzo viziato che non sa come impiegare le tonnellate di tempo a sua disposizione. Non ho sensi di colpa né ambizioni, possiedo solo giacimenti di minuti e piantagioni di giornate immobili. La mia vita può sembrare atarassica, ma non lo è. Sono un nullafacente sereno e incompleto a cui piace scrivere sempre le stesse cose. Le mie parole sono ripetitive: è il solito spartito con qualche variazione. Le mie frasi escono dall’utero della mia piacevole monotonia esistenziale. Finora tutti i possibili cambiamenti che si sono affacciati sulla mia vita sono stati solo delle gravidanze isteriche, ma penso che il futuro, nonostante il suo ermafroditismo, possa ancora dare alla luce mutamenti inaspettati. Da qualche parte si stanno scatenando vortici di eventi positivi e negativi dai quali voglio farmi inghiottire senza paura: so che esistono infinite combinazioni di avvenimenti e mi allieta l’impossibilità di prevederli o decifrarli prima che accadano. Ogni tanto qualcuno dice che non c’è mai fine al peggio, ma credo che nemmeno il meglio abbia un limite. Adoro il mio equilibrio, ma sono disposto a renderlo precario per abbandonare la mia stasi estatica in favore di nuovi lidi sensoriali. Come sempre tento di sfiorare l’ermetismo per esprimermi, cerco di usare un linguaggio ampolloso, ma l’importante è che io sappia ciò che ho scritto.
Sono in piedi da poche ore e, come spesso accade, mi sento in forma. Stanotte mi sono regalato poche ore di sonno, tuttavia ho dormito bene. Non ho nulla di particolare da scrivere, ma voglio occupare ugualmente queste righe. Tra meno di un mese compirò ventidue anni. Trascorrerò l’anniversario della mia nascita in compagnia di Federica, la mano amica. Non mi piacciono le feste di compleanno e nemmeno le scritte “happy birthday”. Penso che ventidue anni siano pochi per me. Spero di vivere a lungo senza che la comparsa improvvisa di un tumore o di un’altra patologia stronchi la mia vita. Ogni tanto l’ipocondria trova spazio nel mio relax. In questi giorni mi sono accorto che alcune persone hanno una visione distorta di me. Taluni confondono la mia accondiscendenza con la pigrizia, confondono le mie parole con l’incapacità di agire, confondono la mia affabilità con il bisogno di contatto umano e confondono il mio relax con la passività. Un’ampia fetta delle mie esigue conoscenze crede che io sia gay, ma io non lo sono e non ho intenzione di sforzarmi per convincere gli altri della mia eterosessualità: taluni confondono il mio romanticismo moderno, e quindi la mia verginità e la conseguente assenza di chiavate sanguigne, con l’omosessualità. Qualcosa non è chiaro a certi esseri umani: la mancanza di vita sessuale non significa omosessualità, ma al massimo può indicare una condizione asessuata che tuttavia non si confà al mio caso. Penso che molte persone abbiano paura dell’omosessualità e credo che costoro tentino di allontanare i loro dubbi sessuali proiettandoli su altre persone. Non temo l’omosessualità e non ho difficoltà a parlarne, ma io non sono frocio: almeno non in questa vita. Forse in un’esistenza passata sono stato una checca cortigiana? In questa vita ho voglia di lineamenti femminili: occhi chiari, capelli biondi, arti esili e cervello funzionante. A me piacciono le valchirie, ma posso sorvolare sopra la bellezza nordica a patto che il cerebro funzioni.
I giorni trascorrono e io continuo a guidare il mio lento calesse con una spiga in bocca e un cappello di paglia in testa. Passo le giornate a guardare sottecchi la coda del quadrupede che mi traina lungo le strade sterrate di questa contrada senza nome. Non tocco mai le redini e tengo sempre le mani incrociate dietro la nuca. Ogni tanto qualche passante mi dà il buongiorno e la buonasera, ma la mia pigrizia mi vieta di ricambiare. Mi riposo ventiquattro ore al giorno, senza sosta. Ho scordato molte cose: una mappa, una meta da segnare sulla mappa e il colore dei miei occhi. Un giorno mi ribellerò alla pigrizia e chiederò a un passante di descrivere il colore dei miei occhi. Ogni giorno prometto a me stesso di fermarmi alla prima locanda, ma la mia è solo una promessa da marinaio rurale che si ripete ogni dì. Non ho tappe da seguire, ma solo toppe da cucire sopra la mia valigia invisibile. La mia calma detta la velocità del calesse: il mio somaro raglia annoiato davanti a me, il suo sforzo lento e ondulato fa muovere le due ruote in legno che sbriciolano piccoli frammenti di terra rossa. Ci sono solo distese di grano noiose e bellissime che la mia vista potrebbe scorgere se la tesa del mio cappello non la oscurasse. Mi sembra che ogni versta percorsa sia un movimento immobile. Non ricordo l’inizio del viaggio e sono convinto che non ricorderò nemmeno la sua fine. Abbasso il cappello e mi riposo un po’.
Un pianista suona le sue ultime note mentre le luci del locale si spengono e le persone se ne vanno convinte di essersi divertite. Lo sguardo malato di una vecchia signora fugge dalla finestra della sua stanza d’ospedale per cercare il tepore perduto nel suo ultimo ventiquattro dicembre. Un taglio di forbice inaugura una nuova vita e un altro cordone ombelicale va in pensione. Alle volte un padre sorride, alle volte un padre piange, alle volte un padre non c’è. Qualcuno sta trafficando qualcosa e qualcun altro sta cercando di scoprirlo. Ci sono persone che non dormono nonostante l’ora perché non riescono a smettere di fissare il proprio cellulare con il cuore in gola. Un trentenne in sovrappeso indossa una canotteria con macchie antiche e guarda il televisiore dal suo trono di gommapiuma: un re senza più speranza. Una lite si cheta tra le mura domestiche e un lenzuolo economico protegge l’abbraccio di una giovane coppia squattrinata. Giovani vite accolgono una presunta vocazione e si preparano a servire il loro credo. I giornali sono vicini alle edicole, le casse di frutta e verdura si adagiano sulle spalle dei lavoratori precari e le radio trasmettono vecchie canzoni melense che fanno sospirare la sensibilità di alcuni camionisti. Ci sono porte che si chiudono e saracinesche che si aprono. Isoradio fornisce informazioni sulla viabilità e l’aurora debuttante distribuisce drammi e gioie ai suoi abbonati. C’è qualcuno che alle cinque di mattina ha bisogno di cimentarsi in descrizioni banali per addormentarsi vicino ai fuochi arancioni dei lampioni.
