Domenica ho debuttato su quella che per me è una distanza breve, ovvero la mezza maratona. Di norma uso i ventuno chilometri (più alcune centinaia di metri) come allenamento di base ed è raro che in una sessione io corra di meno, tuttavia in futuro apporterò delle modifiche a questa abitudinarietà per compiere degli esperimenti: spero che il mio corpo non se ne abbia a male. Su 389 atleti che hanno tagliato il traguardo (gli iscritti erano oltre quattrocento) sono arrivato decimo col tempo di 1 ora, 21 minuti e 55 secondi. Ho corso a una media di 3’53” e ho gestito la gara in modo egregio. All’inizio ho trainato un gruppetto dal quale mi sono staccato all’altezza dell’undicesimo chilometro. Durante la parte del percorso che si snodava su una strada bianca (nella pineta della Feniglia) non ho forzato il ritmo e ho aspettato di tornare sull’asfalto prima di lanciare l’attacco ad un drappello che mi precedeva. Sono riuscito a correre gli ultimi chilometri in progressione e ho superato altri quattro atleti, ma uno di questi mi ha recuperato a sua volta negli ultimi trecento metri con un allungo eccezionale: costui mi ha dato due secondi, io invece ne ho dati tre all’undicesimo, perciò si è trattato di un arrivo in volata che mi ha esaltato molto. Sono soddisfatto del risultato e ho anche guadagnato la medaglia d’argento della mia categoria perché la gara in questione valeva come campionato regionale UISP di mezza maratona.
Oltre a questo decimo posto, due settimane prima ho partecipato ad uno short trail di 17,5km abbastanza impegnativo, specialmente sul piano muscolare, difatti il percorso prevedeva continui cambi di ritmo, con una dura alternanza di salite e discese: alla fine io sono arrivato nono su 148 e ho gradito la mia prestazione. Sono capace di divertirmi anche su distanze più brevi rispetto a quelle in cui vado a ricercare me stesso, ma ho già in programma un’altra ultramaratona, ovvero un altro viaggio introspettivo nonostante ormai abbia una certa conoscenza dei luoghi dentro e fuori di me. Vivo bei giorni e dormo sonni lieti, perciò mi ringrazio…
Intervallo piaceri e doveri senza che i primi avanzino pretese sui secondi o viceversa, perciò non ho nodi da sciogliere né conflitti da sanare. Tra alti e bassi, come se gli uni fossero realmente i contrari degli altri, mi diletto ancora ad affrontare le lunghe distanze e al contempo anelo altro. A marzo ho preso parte a tre gare. Il nove alla Strasimeno, una competizione di 57 chilometri in cui sono arrivato 41° con un tempo di 4 ore, 29 minuti e 18 secondi. Il ventitré è stata la volta della Maratona di Roma: nell’Urbe ho abbattuto ancora una volta il muro delle tre ore e ho conseguito il mio nuovo record personale sulla distanza classica: 2 ore, 58 minuti e 33 secondi. In questa edizione della gara capitolina sono giunti al traguardo ben 14875 podisti e io mi sono piazzato al 249° posto: è un risultato che mi ha gratificato molto e poi l’arrivo ai Fori Imperiali è stato davvero stupendo, così come il pubblico e la pioggia…
Il ventinove marzo mi sono imbarcato su un volo economico per Milano e l’indomani, a sette giorni dalla maratona suddetta, ho partecipato alla Cento Chilometri di Seregno, però là, nelle terre iperboree, Ermes non mi ha assistito e un’ingente perdita di sali minerali mi ha costretto ad abbandonare la gara al settantatreesimo chilometro: il caldo mi ha annientato.
Non ho vissuto male il ritiro poiché è un’evenienza che io metto sempre in conto sia nella corsa che nella vita, tuttavia, mutatis mutandis, vi ho scorto delle analogie con l’esperienza luttuosa e probabilmente ne avrei scritto qualcosa se in me non fosse venuta meno la volontà di redigere le mie analisi. È come se mi fossi voltato per vedere Euridice benché dietro di me in realtà non ci sia mai stata nessuna e così, dopo una sbirciatina al regno di Ade, sono tornato tra i miei simili. In questo periodo mi sento influenzato dalla lettura di Un altro giro di giostra di Tiziano Terzani e forse in parte è anche per merito di questa gradevole contaminazione se guardo le cose con un accresciuto distacco: tanto gli effimeri successi quanto i bei fallimenti, così in alto come in basso.
Mi ero ripromesso che sarei tornato a scrivere qualcosa se avessi superato una prova: questa consisteva nel completamento della maratona in poco meno di tre ore.
Oggi a Terni ho preso parte alla mia prima quarantadue chilometri e ho sfiorato il risultato a cui ambivo, infatti ho chiuso la gara in 3 ore, 0 minuti e 54 secondi*: sono arrivato 31° assoluto su 635 e 6° di categoria. Mi sono presentato alla manifestazione in condizioni pietose. In piedi dalle 0:45 a seguito di un risveglio improvviso, sono uscito di casa alle prime luci dell’alba e ho guidato per circa due ore e un quarto prima di arrivare a Ferentillo: là ho atteso lo start per altri centoventi minuti. Ero appesantito perché a febbraio non ho avuto modo di allenarmi granché, a differenza del mese di gennaio nel quale ho percorso più di 320 chilometri. Inoltre sono capitato nella griglia di partenza di coloro che ambivano a finire la gara in quattro ore, ma d’altronde non potevo fornire all’organizzazione un risultato precedente che avvalorasse le mie intenzioni perché questa era la prima volta che gareggiavo sulla distanza di Filippide: io ho cominciato con le ultramaratone.
La collocazione suddetta mi ha costretto a forzare il passo per trovare lo spazio in cui esercitare il mio ritmo e questo sforzo l’ho pagato verso la fine: il terzo chilometro l’ho corso addirittura a 3’51” mentre io volevo procedere sin dall’inizio a 4’06”. Fino al 35° chilometro ho retto bene, ma poi ho cominciato a rallentare.
Sono comunque soddisfatto e ho deciso di mantenere la parola che mi ero dato perché il mio real time* (ovvero il tempo della gara calcolato da quando si transita effettivamente sotto l’arco della partenza e quindi differente dal time che è calcolato dal momento dello sparo) è stato di 02:59:46: il mio personal best. Missione compiuta, seppur di pochissimo.
Ho rivisto qualche faccia conosciuta, ho attraversato un bel percorso che in qualche punto ho trovato addirittura incantevole, in particolare la cascata delle Marmore, e sono andato via contento. La medaglia cuoriforme la dedico a mia madre.
Per me la corsa sostituisce esigenze d’altro ordine ed è così palese quest’azione surrogatoria che non necessita di alcuna descrizione, ma io almeno me ne rendo conto e soprattutto non rompo i coglioni al prossimo: mica male.

Non ho ragioni valide né stimoli passeggeri per riprendere a seminare parole trascurabili qui o altrove, ma voglio traslare su queste pagine un ricordo che ho già vergato con innumerevoli falcate: forse sono più bravo a scrivere con i piedi che con le mani…
Sabato ho corso la cento chilometri delle Alpi, da Torino a Saint-Vincent, e mi sono classificato al sesto posto con un tempo di 9:00:14. Ho mantenuto un passo al chilometro di 5’24”. Siamo partiti in 180 e siamo arrivati in 127.
Non mi va di snocciolare troppi numeri né troppe parole: coi primi ho poca dimestichezza, alle seconde invece riservo una crescente indifferenza. Nella gara ho dato tutto me stesso e al traguardo sono crollato tra le braccia di un brav’uomo. A circa cinque chilometri dall’arrivo, sulla salita del Montjovet, ho compiuto il mio ultimo sorpasso ed è stato il momento più epico della mia vita da podista. Ho visto luoghi incantevoli e ho incontrato ottime persone, ma ancora una volta sono stato sorpreso dall’intensità dei moti interiori che mi hanno accompagnato fino a quando mi sono potuto concedere il lusso di non staccare la mente.
Io corro ancora per disperazione e vivo felicemente: quante buffe contraddizioni possono costellare la vita d’un uomo. Ho ancora margini di miglioramento, però mi mancano la stoffa e le ambizioni per fare il salto di qualità. Non ho alcuna chance di eccellere in questa disciplina, ma è meritocratica e trovo che sia l’esegesi migliore di “Essere e tempo” di Martin Heidegger: in altre parole un esistenzialismo più prometeico ed esuberante. Nella corsa non c’è potere discrezionale: chi è più veloce sta davanti, chi è più lento sta dietro.
A questo punto potrei spendere qualche parola sul percorso, sull’organizzazione e quant’altro, tuttavia preferisco avvalermi della proprietà di sintesi e la mia opinione in merito può essere facilmente intuita dall’auspicio di prendere nuovamente parte all’evento di cui sopra.

Ringrazio ancora una volta la redazione de Il Tirreno per il graditissimo articolo che mi ha dedicato nella cronaca sportiva del diciassette ottobre.

Fase tecnica
Tra sabato e domenica ho vissuto una della esperienze più belle ed epiche della mia intera vita. Arrivo a Firenze all’una di pomeriggio, sotto una pioggia copiosa. In Piazza Degli Strozzi ritiro il pacco gara e scambio qualche battuta con dei podisti romani mentre mi appunto il pettorale e lego il chip alla scarpa destra. Anche se corro da sette anni questa è la prima gara in assoluto a cui prendo parte e non potrei chiedere un esordio più avvincente.

Lo start avviene puntualmente alle tre di pomeriggio in Via dei Calzaiuoli dopo lo sparo in aria di Matteo Renzi. Ho il mio classico abbigliamento, ma non sono pochi coloro che portano il kway o indossano dei teli con cui ripararsi dalla pioggia e dal vento. Più d’un corridore mi consiglia di coprirmi, tuttavia io sono abituato ad allenarmi con il freddo e dunque le condizioni atmosferiche risultano vantaggiose per me. Non mi fermo a nessuno dei primi tre ristori e faccio rifornimenti brevi ad alcuni dei seguenti, così guadagno posizioni di gruppo in gruppo fino a Borgo San Lorenzo dove arrivo in 2:42:35. Verso il punto più elevato della gara, ovvero Colla di Casaglia, mi esalto in un’ottima progressione e riesco ad avanzare ulteriormente, però non ho alcuna idea di quale sia la mia posizione in classifica e raggiungo la vetta in 4:17:00. Mi fermo per prendere la luce frontale che alla partenza avevo dato in consegna all’organizzazione e riparto. Raggiungo Marradi in 5:47:16 e comincio a rendermi conto che il mio passo è più sostenuto di quanto avevo previsto. Al 67° chilometro mi unisco ad altri due corridori, però soffro la loro andatura e la milza inizia a darmi dei fastidi che cerco di arginare con una respirazione diversa. Ci fermiamo al quattordicesimo ristoro, ma la coppia riparte e io mi trattengo qualche secondo di più per bere del tè caldo. Il buio avvolge i tornanti e per svariati chilometri non vedo nessuno davanti né dietro di me. Dopo Sant’Adriano un tizio mi comunica via SMS che sono trentottesimo su oltre millesettecento e non so se crederci o meno, però sono realista e so che non riuscirò a mantenere quella posizione fino alla fine. Dal 75° all’80° chilometro rallento il passo e m’accorgo che fatico più in discesa che in salita. Cerco di tenere a distanza colui che mi precede ed è qui che commetto l’unico errore di tutta la mia gara. Dovrei rallentare ulteriormente il passo poiché le energie sono sempre meno, però non ce la faccio e dopo l’85° chilometro costui mi sorpassa meritatamente. Accuso il testa a testa e così perdo qualche altra posizione, ma il peggio deve ancora venire. Al 90° chilometro sospetto una crisi ipoglicemica e così all’ultimo ristoro prima del traguardo faccio incetta di carboidrati e zuccheri. Supero il 95° chilometro e non ne ho davvero più: sono sfinito. Praticamente cammino per quasi tre chilometri e perdo altre posizioni, ma so che se provassi a correre troppo non finirei la gara e non ho intenzione di gettare i miei sforzi per ragioni di classifica, le quali, per altro, non riuscirei comunque a far valere. Ho i piedi divelti, un dolore alla schiena e uno all’interno coscia, ma a due chilometri dalla fine mi sento di fare un ultimo ed estenuante allungo, perciò supero l’uomo che mi precede e arrivo in Piazza del Popolo a Faenza a mezzanotte e quaranta in un tempo ottimo per me, 9:40:54, ben al disotto delle undici ore che avevo messo in conto di doverci spendere.
Ho corso per cento chilometri con una media di 5’49” al chilometro. Ho concluso all’82° posto nella classifica generale, al 78° in quella maschile e sono risultato 9° nella categoria amatori, ovvero quella di coloro che non avevano mai partecipato prima alla gara. Tutto questo a fronte di oltre 2000 iscritti, di cui ne sono partiti circa 1800 e ne sono arrivati 1451. Risultati definitivi.
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Fase psicologica
Durante la gara ho ripensato alla mia esistenza, agli errori commessi, alle occasioni sprecate e alle prospettive future. Mi ci sono voluti cento chilometri per capire che devo essere meno rigido e categorico. Passo dopo passo ho smaltito i miei risentimenti e ora mi sento più tranquillo, di nuovo in pace con me stesso. Stamani, risvegliatomi a Faenza, ho avvertito qualcosa di diverso nel mio modo d’interpretare la realtà circostante. Con questa gara mi sono fatto una iniezione di autostima che mi permetterà di farmi scivolare addosso più di quanto non abbia già fatto finora. Avevo previsto degli effetti del genere e forse è stata anche questa prospettiva a farmi vincere i miei limiti. Adesso mi appaiono grottesche ed esagerate tante delle reazioni che ho avuto negli ultimi mesi, alcune addirittura pericolose. Forse se certe situazioni fossero andate nel verso giusto io non avrei mai intrapreso un’avventura del genere.
Gli ultimi due giorni resteranno irripetibili perché lo sforzo fisico è stato speculare ad un cambio d’ottica. Anche se dovessi rifare una cosa del genere il risultato in quel caso sarebbe solo ed esclusivamente quantificabile da un cronometro. Devo ancora realizzare bene tutto quanto, ma provo una soddisfazione inaudita.
Note aggiuntive
Ringrazio la redazione de Il Tirreno per il breve articolo che mi ha dedicato nella cronaca sportiva del primo giugno.
