Stamane mi sono recato in un ridente borgo della zona per prendere parte a una gara podistica di appena otto chilometri: è così che sono tornato all'agonismo dopo oltre un anno di assenza da qualsiasi evento competitivo. Mi sono classificato all’ottavo posto su ottanta partecipanti e mi considero soddisfatto poiché distanze così brevi non sono certo la mia specialità.
Ho corso il primo chilometro a 3'10", il secondo a 3'23", il terzo a 3'26; il passo del quarto invece ha risentito dei primi tratti in salita ed è stato di 4'05". I mille metri del quinto chilometro sono riuscito a farli in 3'58", quelli del sesto a 3'41. Gli ultimi duemila metri li ho fatti in 4'08" e 4'23" per l'arrivo in salita. Mi sono aiutato con un mio compagno di squadra che mi ha preceduto di pochi secondi. Ho spinto molto e ho sofferto parecchio su un percorso tutt'altro che facile in cui si alternavano salite e discese, ma sono contento per la tenuta psicofisica che ho dimostrato.
Mi attendono distanze decisamente più importanti e fatiche non meno intense, però mi sento bene e voglio fare il possibile per dare il meglio di me. Poiché ho ricominciato a mangiare carne posso anche godermi da solo la coscia di suino che ho vinto con il secondo posto di categoria. L'atletica è una madre severa ma giusta e intendo trarne ancora tutte quelle sensazioni che non riesco a trovare altrove.
Da alcune settimane ho ripreso ad allenarmi con una certa intensità. Ho messo molti chilometri nelle gambe e non mi sono fatto mancare le salite. La corsa mi ha dato molte gioie e mi ha fatto creare ricordi stupendi, ma non voglio relegarla al passato e spero che per molto tempo ancora faccia parte del mio presente: il futuro è un'astrazione che voglio ingombrare il meno possibile.
Sto ritrovando dentro di me le giuste motivazioni per costringere il mio corpo a soffrire di nuovo e sono esaltato dalle sfide che mi si prospettano. Ho cercato per un po' qualcosa che fosse al di fuori di me, però ho trovato soltanto della sabbia di cui le mie dita non hanno trattenuto manco un granello e così m’è parso di capire ciò che ho udito più volte: "L'unica via d'uscita è dentro".
Non so dove mi porterà questo ritorno all'agonismo e in fondo non me importa nulla poiché il senso è nel transito, non nella destinazione: trovo questa considerazione tanto banale quanto valida e non l'avrei mai scritta se mi fossi votato all'infruttuosa ricerca di un'ostinata originalità.

A marzo, dopo la maratona di Roma, ho smesso di correre e per circa sette mesi non ho fatto neanche una falcata: le cause sono state plurime. Mi sentivo appagato e avevo qualche fastidio agli arti inferiori, inoltre volevo dedicare una parte maggiore del mio tempo libero ad altre cose. Qualche giorno fa ho riprovato a correre e sono riuscito a fare sedici chilometri e mezzo ad una media di quattro minuti e quarantuno secondi a chilometro! Ne sono rimasto impressionato solo in parte poiché, malgrado la lunga pausa, serbavo in me la chiara sensazione che qualora fossi tornato in attività il mio rientro sarebbe stato meno traumatico del previsto. In quest’occasione ho avuto una prova diretta di quanto possa essere efficace la memoria muscolare e per me tale scoperta (o quantomeno la conferma ad una mia intuizione) è stata davvero fantastica; benché per me sia piuttosto tecnico, ho anche trovato l’articolo di uno studio norvegese a tale riguardo. Di sicuro c’era una cosa che avevo dimenticato ed era la portata dello stato euforico che nel mio caso solo la corsa sa darmi; in sette mesi non ne ho sentito la mancanza, tuttavia appena l’ho riprovata mi sono ritrovato al settimo cielo. Non conosco gli effetti delle sostanze psicotrope e dunque non so se possano essere più forti del rilascio di endorfine che avviene col podismo, ma quantomeno quest’ultimo non ne ha di collaterali e inoltre in me nemmeno provoca dipendenza. Anche quest’oggi ho corso altri sedici chilometri e mezzo, ma con maggiore scioltezza e minori postumi dello sforzo. Non so se tornerò pure a gareggiare: chissà.
In due allenamenti ho ripreso una condizione mentale che invero speravo venisse arricchita da altro o che ad altro si accompagnasse e invece mi ci sono ritrovato davanti così come l’avevo lasciata, ma questo rendez-vous non è comunque poca cosa. C’è un pezzo di Aldo Tagliapietra che ultimamente suona nelle mie orecchie e un paio di volte l’ho ascoltato anche oggi tra una falcata e l’altra: si tratta di Nella pietra e nel vento.
Scrivo qualcosa su quel passatempo con cui mi illudo di allungare i telomeri, ma sarebbe meglio che spendessi delle parole su qualcos’altro. Ieri alla Maratona di Roma ho corso di proposito senza orologio e con appena ventitré chilometri di allenamento nelle ultime tre settimane (di cui cinque in una staffetta e diciotto veloci qualche giorno prima della gara).
Sono partito forte, troppo forte, e per quasi venti chilometri ho seguito una kazaka che poi ha chiuso in due ore e quarantatré minuti: un tempo irrealistico per me.
Ho corso la prima metà in un’ora e ventuno minuti, la seconda in un’ora e trentacinque minuti: porco dio! La crisi è cominciata al ventottesimo chilometro, bella prematura come i mali incurabili che falcidiano i più sfortunati alla grande lotteria della genetica.
Ho pensato al ritiro fino al quarantesimo chilometro, ma a forza di ripetermelo come un mantra quel comprensibile intento ha perso di significato. Solo al mio secondo Passatore ho sofferto più di ieri mattina. Il paradosso è che in una gara gestita malissimo ho chiuso con un tempo per me soddisfacente, ovvero due ore, cinquantasei minuti e ventiquattro secondi: si tratta del mio secondo miglior risultato di sempre in maratona!
Non ho mai accusato così tanto le asperità dei sanpietrini: ottimi come armi improprie per gli scontri di piazza, un po’ meno per correrci. Alla fine ho chiuso 158° su 11486 e sulla via del ritorno, in una piccola libreria, ho anche trovato una buona versione dell’Eneide a sette euro.
Ho deciso di mettere a piè di pagina le foto impietose che mi ritraggono in prossimità dell’arrivo perché in quei quarantadue chilometri ho alzato ancora una volta la soglia di sopportazione del dolore: ieri la vera prestazione è stata caratteriale, non atletica.

Roma Ostia 2015: record personale di mezza maratona
Pubblicato martedì 3 Marzo 2015 alle 23:43 da FrancescoDa alcune settimane una siccità di parole e pensieri ha desertificato queste pagine, però sono certo che prima o poi tornerà la stagione delle piogge. Intanto mi diletto a spendere qualche frase nient’affatto nuova per descrivere un’altra galoppata che mi ha gratificato oltremodo.
Domenica mattina mi sono alzato alle cinque e venti per raggiungere in orario la partenza della mezza maratona più partecipata d’Italia, ovvero la Roma Ostia. Mi sono diretto alla volta della capitale con poche ore di sonno e scarsa convinzione poiché non mi aspettavo molto da questa gara, ma allo start, dentro la mia griglia, un certo entusiasmo s’è impadronito di me.
Sono partito forte, di certo con un’andatura inferiore ai 3’40” al chilometro: non avevo l’orologio né altri riferimenti e ho fatto affidamento sulle mie intuizioni che qui raggrupperei sotto il nome d’istinto se volessi scomodare un’espressione inappropriata.
Le lievi salite del percorso non mi hanno dato fastidio e ho mantenuto un passo costante senza soffrire troppo. Ancora una volta mi sono trovato in una giornata di grazia e ho migliorato il mio record sulla mezza maratona di oltre tre minuti: ho chiuso con un sprint finale in 1h 18m 14s e così ho abbattuto anche il muro psicologico dell’ora e venti sui 21097 metri. Non che ne avessi bisogno, ma ho avuto un’ulteriore conferma del mio stato psicofisico; forse in passato sotto certi aspetti sono stato meglio, ma di sicuro non sono mai stato così forte fisicamente e giorno dopo giorno inseguo il primato anche sull’altro fronte.
163° su 10690 arrivati, perciò sono rientrato nelle premiazioni dei primi duecento e ho portato a casa un borsone della gara che un domani potrebbe tornarmi utile per cominciare a fare concorrenza ai venditori ambulanti della mia zona. Back on my trail, fo’ shizzle.
Maratona di San Valentino 2015: una grande soddisfazione
Pubblicato giovedì 19 Febbraio 2015 alle 19:03 da FrancescoDomenica mi sono recato a Terni per correre la maratona di San Valentino. Lungo il tragitto ho tratto fiducia da lontani nembi che minacciavano tempesta, difatti le mie gare migliori sono state tutte sovrastate da cieli plumbei. L’oracolo atmosferico ha trovato pieno compimento lungo i quarantadue chilometri del percorso e la mia prestazione è stata superba: non c’è appello per le sentenze di Kronos e della corsa amo proprio il suo tratto categorico in relazione al tempo.
Ho alzato la cresta e ho abbassato di quasi otto minuti il mio record personale di maratona: ho tagliato il traguardo in 2h 50m 34s, ventesimo assoluto e quinto di categoria. Per metà gara ho tallonato la prima donna, la croata Vrajic, poi l’ho staccata e ho mantenuto un’andatura media di 4’03”. Ho aspettato una crisi che non è mai arrivata e questa volta l’azzardo è andato bene. A ridosso del trentottesimo chilometro ho iniziato ad avvertire delle fitte alla milza che sono riuscito a gestire e non ho avuto altri disagi. Ho anche fatto negative split, ovvero ho corso la prima metà più lenta, in 1h e 26m, e la seconda più veloce, in 1h e 24m.
Il mio unico rifornimento è stato una bottiglietta d’acqua che ho preso verso il trentacinquesimo chilometro: l’ho bevuta metà (più per prevenire un eventuale caso di ematuria che per sete) e l’ho gettata. Non ho assunto solidi perché non ne ho sentito il bisogno ed è stato meglio così.
Mi ha ripagato in toto il cambio di allenamento che mi sono imposto e che ho ricamato sulle mie esigenze. Non sono alla ricerca ossessiva di miglioramenti e non mi lamenterei affatto se il tempo di questa maratona rimanesse per sempre la mia prestazione migliore sulla distanza classica: la mia esistenza non ruota attorno alla corsa, ma ne trae beneficio.
Questa accozzaglia di numeri e impressioni ha anche un’altra matrice che fa riferimento al già citato salto d’ottava e di fatto ne è una conferma trascurabile
Solo qualche mese fa, in quell’autunno così nefasto e tormentato, ho pensato che non avrei più fatto una gara per parecchio tempo e invece sono tornato a correre più forte di prima. Quando non c’era nessuno accanto a me, proprio come non c’è ora e non c’è mai stato prima, ho cercato di risvegliare lo spirito dei miei avi perché sono sicuro che tra uno di loro c’è stato un grande uomo. Ormai indosso sempre una hachimaki, una bandana giapponese, che a qualcuno può sembrare soltanto un vezzo, ma per me simboleggia l’odissea degli ultimi mesi e la forza che ho ritrovato dall’altra parte del mondo. Chissà domani cosa fileranno le Parche.

Trentasei minuti e quarantaquattro secondi
Pubblicato domenica 8 Febbraio 2015 alle 18:42 da FrancescoMi ritrovo a scrivere di corsa (non nel senso che ho fretta) perché stamane ho partecipato per la prima volta ad una gara di dieci chilometri. Il mezzofondo prolungato non è la mia specialità e di solito prediligo distanze maggiori, però ho colto l’occasione per capire quale sia il mio valore su diecimila metri piatti. Ho corso a 3’40” al chilometro e ho concluso al decimo posto in 36’44”.
Non mi aspettavo di essere così veloce e mi ritengo soddisfatto poiché non è un tempo da tutti sebbene in una gara media occorrano quasi tre minuti di meno per una prestazione da podio.
Bene, ora che ho constatato i numeri posso anche fottermene delle statistiche poiché di certo non è da queste che posso trarre la gioia di cui ho bisogno. Qualche mese fa pensavo che forse non sarei mai tornato a disputare una gara, ma ci sono stato riportato a forza da una serie di cosiddette circostanze che si sono verificate prima e durante la mia permanenza alle Hawaii.
Gestisco i miei allenamenti solitari in modo tale che non intralcino quei nuovi interessi ai quali ho cominciato a dedicarmi da un paio di mesi. In realtà vorrei rivedere totalmente l’ordine delle mie priorità per mettere in cima qualcosa che ora come tanti anni fa mi sembra lontanissimo.
Domenica mi sono recato a Vetralla per prendere parte ad una gara di trail: trenta chilometri da correre lungo i sentieri del monte Fogliano con un dislivello di oltre millecinquecento metri!
Alla partenza ho suscitato alcune perplessità poiché mi sono presentato con scarpe da strada e una mise leggerissima, in netto contrasto con l’abbigliamento di tutti gli altri e con tutto ciò che prescrive il buon senso. Non mi considero affatto un atleta da trail, però ho sfruttato la difficoltà di questa gara per preparare una maratona. Se lo stesso giorno ci fosse stata una corsa su asfalto di pari lunghezza forse avrei scelto di partecipare a quella, ma alla fine sono stato felice che non ci siano state alternative perché l’evento si è rivelato piacevole sotto ogni aspetto!
Attorno al quinto chilometro mi sono portato in seconda posizione, però mi sono frenato un po’ quand’è iniziata una serie di discese veloci sulle quali non ho voluto rischiare una brutta caduta. Verso l’undicesimo chilometro ho dovuto fare i conti con una fitta nevicata e la scarsa visibilità, ma il peggio è arrivato poco dopo. Sono caduto tre o quattro volte: qualche escoriazione, un po’ di sangue e molto fango. Ho faticato parecchio in salita e anche se per un tratto ho perduto qualche posizione non mi sono perso d’animo. Piano piano ho ritrovato le forze e, sempre che io non ricordi male, la mia rimonta è cominciata dal diciannovesimo chilometro.
Ho sorpassato diversi atleti che mi avevano superato e ho affrontato le ultime discese con una certa audacia, difatti ho corso il ventiduesimo e il ventitreesimo chilometro a 3’46” e il penultimo a 3’45”: ho rischiato di farmi male e così ho interpretato in pieno il significato della bandana giapponese che indossavo. Ho concluso la gara al nono posto su centoquarantaquattro atleti in tre ore e un minuto. Direi che non è andata male per uno che ha corso senza abbigliamento tecnico. Qualcuno non avrebbe scommesso nemmeno una rupia bucata sulle mie possibilità di finire la gara, ma tanto sono abituato ad essere sottovalutato in ogni ambito dell’esistenza.
Ho trascorso una domenica piacevole e faticosa, l’organizzazione è stata impeccabile e sono tornato a casa soddisfatto. Avrei preferito possedere un buon motivo per restarmene sotto le coperte, ma certe cose vanno come devono andare o forse no, chissà.
Nel buio pesto di tre mesi fa non riuscivo a scorgere nemmeno un lontano bagliore di questo meraviglioso presente che allora era soltanto un futuro nascosto, del tutto inimmaginabile.
Non sono un fatalista e penso davvero che homo faber fortunae suae. Sono governato da leggi superiori che non conosco e non scarico la mia ignoranza sulle cosiddette casualità: certo, esse esistono, ma forse viene ascritto loro più di quanto in realtà portino nei loro amorfi grembi.
Mi sento di nuovo forte e allineato sulla mia via: il baricentro è stabile, lo sguardo deciso, perciò che io possa ricordare bene questi giorni e le notti che ne hanno preceduto la mirabile venuta. Oltre alle liete constatazioni è opportuno un resoconto: di sicuro non è indispensabile, però ho voglia di scriverlo per rinnovare la recente fragranza di quei momenti già incensati dagli eventi.
Sabato sono decollato dall’aeroporto di Waimea e prima di arrivare a destinazione ho fatto due brevi scali sulle isole di Maui e Molokai. Ho volato tre volte a bordo di un Cessna 208 Caravan e durante la seconda tratta sono stato l’unico passeggero: ho provato una sensazione surreale! Sono arrivato a Honolulu in circa due ore e mezzo. Una volta uscito dall’aeroporto ho rimediato un passaggio da un atleta locale che si trovava anch’esso sul mio terzo volo e così sono andato a ritirare il pettorale: ho ricevuto il numero 16508! Non so se nasconda un valore cabalistico…
Non mi sono trattenuto molto all’Hawaii Convention Center, ma ho preferito dirigermi a Waikiki per riposarmi il più a lungo possibile e nel migliore dei modi.

Mi sono svegliato alle tre del mattino poiché lo start era previsto per le cinque. Ho messo il mio completo e mi sono legato una hachimaki (una bandana giapponese) in testa che riportava i due ideogrammi della parola “touhon”, ovvero “spirito combattente”. Per riscaldarmi ho corso da Kuhio Avenue fino alla partenza in Ala Moana Boulevard (guarda un po’, un boulevard): circa due chilometri e mezzo in cui ho visto maratoneti (o aspiranti tali) frammisti a degli ubriachi, ma forse qualcuno univa in sé i due mondi: creature ibride, un po’ dionisiache, un po’ mercuriali…
Poco prima dello start è stato cantato l’inno americano e poco dopo nel cielo ancora scuro sono esplosi dei fuochi d’artificio. Il primo chilometro l’ho dovuto correre piano, ma ho poi recuperato in progressione i secondi persi negli ingorghi dei primi mille metri. Qualche folata di vento e un po’ di pioggia hanno caratterizzato buona parte della gara, ma nulla d’insostenibile. Sono stato quasi sempre in gruppo con degli atleti nipponici, meno che in un frangente dove siamo stati in tre: un italiano, un giapponese e un tedesco, come in una barzelletta ricordata male o in un’alleanza bellica dagli esiti nefasti. Ho passato il decimo chilometro in 41 minuti e rotti e là ho trovato le prime conferme sulla mia andatura, ma ne ho ricavate di ulteriori al ventunesimo, infatti sono transitato in circa 1 ora e 28 minuti alla mezza maratona. Ho avuto una piccola crisi attorno al venticinquesimo chilometro poiché il vento si è alzato all’improvviso e la pioggia si è fatta più fitta, ma dopo poco il peggio è rientrato. Ho maturato la convinzione che sarei sceso sotto le tre ore prima del trentaquattresimo chilometro anche se avevo già cominciato ad accusare stanchezza muscolare: ho continuato a testa bassa, come altre volte, in altre casi…
Al traguardo il mio real time è stato di 2 ore, 58 minuti e 21 secondi, tempo che mi ha permesso di guadagnare l’82° posto assoluto, il 13° di categoria (M30-34) e il 71° tra gli uomini, uno dei primi europei e primo di quello che suppongo sia uno sparuto gruppo di italiani: tutto questo a fronte di più di ventiduemila partecipanti (e circa trentamila iscritti).
Niente male per uno come me che sembrava avesse chiuso con le gare e con altro: la verità è che “non è finita finché non è finita”!
Tra l’altro nel 2013 anche alla cento chilometri del Passatore (la mia prima gara) arrivai all’82° posto: quello fu un inizio e quest’ultimo forse ne sancisce un altro, come in un cerchio che si chiude, come in un eterno ritorno…
Ho iniziato questo viaggio dubitando delle coincidenze e queste mi si sono presentate in forme, modi e numeri di cui non ho ancora appuntato tutto. Non si tratta di autosuggestione: forse è qualcosa di ancora più prosaico, ma di certo non è autosuggestione. A tempo debito lascerò qui ulteriori dettagli e intanto continuo a starmene in mezzo al Pacifico, ospite di brave persone.
Dal Vecchio Continente un caro amico mi ha inviato un articolo apparso nella cronaca sportiva dell’edizione di oggi (diciotto dicembre) de Il Tirreno. Ringrazio ancora una volta chi di dovere.

Cento chilometri del Passatore 2014
Pubblicato mercoledì 28 Maggio 2014 alle 08:44 da FrancescoSabato ho corso la cento chilometri del Passatore per la seconda volta e sono di nuovo riuscito a terminarla benché il mio tempo sia stato più alto di circa cinquantaquattro minuti rispetto a quello dell’anno precedente: nel 2013 impiegai 9 ore, 40 minuti e 54 secondi per raggiungere piazza del Popolo a Faenza, in quest’edizione invece ho fermato il cronometro 10 ore, 34 minuti e 31 secondi dopo lo start che è avvenuto in via dei Calzaiuoli, in quel di Firenze.
Fino al Passo della Colla tutto è filato liscio e infatti, da quanto m’è stato riferito, ero tra i primi novanta benché abbia impiegato quattordici minuti più dello scorso anno per scollinare al 48° chilometro. Fino a Marradi, al 65° chilometro, ho mantenuto un passo che mi proiettava ancora sotto le dieci ore, ma dopo il 70° ho avuto dei crampi ai polpacci e all’addome, dolori così lancinanti per i quali mi sono dovuto stendere sull’erba al lato della strada mentre passavano le auto. Una volta a terra, nel buio della notte e in quello del cuore, ho spinto le gambe contro una recinzione: dopo un po’ è sopraggiunto un altro podista che s’è fermato quasi un minuto per aiutarmi. Quando costui è ripartito io sono rimasto qualche altro secondo disteso e mi sono chiesto se avrei fatto lo stesso qualora i ruoli fossero stati invertiti: ho pensato subito di sì, ma ne sono diventato certo prim’ancora di rialzarmi per ripartire.
Verso Brisighella mi sono dovuto fermare una seconda volta per dei conati di vomito, forse un principio di congestione che mi sono procurato con l’assunzione di troppi liquidi: insomma, mea culpa, ho fatto qualche errore d’integrazione. Qualche chilometro dopo, prima del 95°, si sono ripresentati i crampi: bentornati! Seppur di minore intensità, i dolori alle gambe mi hanno fatto crollare di nuovo a terra e ho impiegato oltre un minuto per riprendermi. All’ultimo ristoro, quello del 95° chilometro, ho bevuto del the caldo e mi è sembrato la panacea di tutti i mali perché mi ha permesso di correre gli ultimi cinquemila metri sotto i sei minuti al chilometro: una velocità stellare per la condizioni in cui ero ridotto e con i quasi cento chilometri che avevo già macinato. Ho riguadagnato diverse posizioni e mi ha davvero sorpreso il cambio di passo che mi sono imposto, però avrei preferito che una tale brillantezza fosse stata spalmata meglio negli ultimi trenta chilometri.
Ora mi domando dove io abbia trovato quel vigore finale. Forse dopo il superamento di un limite s’apre per un po’ una comoda strada che ne introduce di più tortuose. La mia tenuta mentale è stata ottima e ne sono felice perché mi ha dato buone indicazioni su quanto esula dallo sport. Ho patito molto in questa cento chilometri, è stata la mia gara più lunga in assoluto e penso che mi abbia aiutato ad incrementare la mia soglia di sopportazione del dolore (che fa tanto comodo anche nella vita), ma alla fine sono riuscito a concluderla con un dignitoso 204° posto su 1738 atleti arrivati e su 2198 partiti.
Penso che ormai abbia dato il meglio di me nell’ultramaratona, perciò ho intenzione di dedicarmi a distanze più brevi, almeno per qualche tempo, però è sempre facile ricascarci…
Invero la cosa migliore sarebbe che io cominciassi a scopare.
Ad maiora.
