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Nov

Zona rossa e incolore

Pubblicato domenica 15 Novembre 2020 alle 17:04 da Francesco

Tace tutt’attorno l’urbe e nei suoi punti nevralgici; polso debole, coma vigile: gli uni sono sedati e gli altri pure. L’attuale realtà è velata d’un silenzio imperfetto ma egemone di cui al contempo apprezzo il dominio e disistimo le cause formali. Un lieve vento di cui ignoro la provenienza allieta questa domenica vermiglia, però non mi suggerisce nulla di nuovo poiché quest’oggi neanche il Sole, come sempre d’altro canto, illumina qualcosa d’inedito.
Assorto nei miei pensamenti e nei piccoli svaghi, mi staglio su una prospettiva indefinita e non riesco a proiettare forme sul futuro che possano definire le linee abbozzate di un qualsivoglia orizzonte. Hic et nunc non c’è un ponte radio con l’avvenire, non sono in grado di prevedere gli incroci che mi attendono né se effettivamente più in là ve ne siano, però sono pervaso da una coriacea serenità la quale, al momento, non risente delle piccole ammaccature di cui gli agenti atmosferici e gli eventi umani sanno essere cagione.
Non sono votato ad altra ricerca che non sia quella interiore, ma essa però si ripercuote al di fuori del suo campo d’indagine e forse è anche attraverso un tale sconfinamento, per mezzo dell’eterogenesi dei fini, che questa trova un parziale compimento sulla scorta del quale il processo si rinnova nei suoi limiti ultimi e si configura dunque come interminabile per sua stessa natura. Nella perenne ecatombe di senso io non cerco la resurrezione di ciò che forse non ha mai avuto sostanza né essenza, bensì mi limito a passeggiare sulle fosse comuni di frasi che furono e di cui il tempo non serba né i resti semantici né i segni d’interpunzione. Non ho stretto promesse perché non è mio costume usare violenza verso terzi e dunque lascio ad altri l’onere di soffocare gli impegni presi nelle loro puntuali inadempienze. Saluto i controsensi perché spesso viaggiano in direzione contraria alla mia, ma talora c’incolonniamo a mio detrimento.

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10
Mar

Il sunto del baratro

Pubblicato martedì 10 Marzo 2020 alle 19:22 da Francesco

Le nubi più tetre si addensano su un cielo che pare in procinto di crollare. Le incertezze sfilano con gli abiti che ricevono dalle paure umane e si lasciano ammirare con terrore nella piena paralisi del loro pubblico. Uomini e donne pietrificati come statue minori nella stagnazione economica: il sole tramonta a Occidente. I discorsi, le dichiarazioni e qualunque altra ciarla sono soltanto atti di vandalismo contro un silenzio che alla fine prevarrà. Taluni seguono gli accadimenti con il fiato sospeso e mi chiedo se siano disposti a prolungarne l’arresto, difatti per evitare il contagio possono provare a trattenere il respiro per sempre. 
Per prime uccido le speranze. Mi aspetto il più nefasto degli esiti, l’annichilimento totale di ogni certezza pregressa, un vanesio autoritratto della distruzione e qualche maceria di consolazione. Tutto si risolve con l’ecpirosi. Tutto. Chissà come verranno chiamate e ripartite quelle terre che ancora si raccolgono sotto il nome di Italia.
In momenti del genere la democrazia mostra i suoi volgari limiti e la vera natura degli inetti che la sostengono. Arrivi pure la fine e si trattenga per sempre. L’atmosfera è quella di un bunker berlinese nella primavera del Quarantacinque. Mi chiedo quale grave atto cosmico io abbia commesso per cadere in forma umana su questo pianeta e in quest’epoca. Non ho l’atarassia a portata di spirito, ma solo un fatalismo tascabile. La zona rossa mi ricorda l’occhio di Sauron. Il modo migliore per lavarsi le mani lo insegnò Ponzio Pilato a suo tempo. Beati gli anacoreti, gli eremiti, i padri del deserto e chiunque rinneghi se stesso.

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