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Dic

A invarianza d’odio e violenza

Pubblicato giovedì 15 Dicembre 2022 alle 14:09 da Francesco

Nei rispettivi eccessi e decessi le società umane hanno come fattori comuni la sopraffazione e un sistema di caste più o meno esplicito. In paesi come l’Iran e la Cina i governi reprimono senza scrupoli le audaci proteste dei dissidenti, con buona pace di quello stato di diritto nel cui nome, altrove (come in Occidente), invece si lasciano correre episodi di grave allarme sociale e non viene fatto abbastanza per prevenire atti di criminalità efferata, perlopiù in ragione di una tendenza perdonista secondo cui vittima e carnefice non sono poi così diversi, ma anche per un’ubriacatura dei cosiddetti diritti umani che è cosa altra rispetto a un ragionevole garantismo. 
Nel Vecchio Continente non esistono contromisure efficaci per la delinquenza, perciò il crimine autoctono e straniero agisce in maniera sempre più impunita e disinibita, incentivato dalla tenuità delle eventuali conseguenze e, per quanti provengano da paesi severi, anche da un paragone spesso invitante con il sistema penale del proprio luogo natio: insomma, vale la pena provarci a ogni livello. Sotto un certo aspetto cambia poco se un individuo sia un sicario o un semplice vandalo, difatti le sue azioni non gli prospettano mai scenari che egli reputi davvero punitivi e quindi la sua condotta finisce per dipendere da un’etica di cui, evidentemente, manca. A causa di un simile lassismo alla legge ordinaria de facto subentra quella della giungla, un ritorno illico et immediate allo stato di natura, dove si salvi e prevarichi chi può.   
La “giustizia” funziona a intermittenza, è una lotteria dalle estrazioni lente, pachidermiche, a cui i meno scafati non possono che rassegnarsi così come si accetta una malattia terminale. È tutto aleatorio e pro forma, perciò la tutela del singolo è delegata ai suoi santi in paradiso, ammesso che ne abbia o possa ingaggiarne qualcheduno.
Di converso i regimi totalitari agiscono in maniera brutale per mantenere lo status quo e talora, sulle ali dell’emotività con cui nel “civile” Occidente (così quest’ultimo si definisce) si apprende ogni genere di efferatezza, viene quasi da giustificarne i mezzi, come se l’essere umano non meriti né possa essere governato altrimenti a causa del suo attuale livello di coscienza.
Credo che ogni comunità umanoide vada pensata a invarianza di odio e punizione, come se qualcuno fosse sempre chiamato a macchiarsi le mani di sangue: nel caso dei regimi totalitari è perlopiù lo Stato, il Leviatano hobbesiano a sporcarsi, in altri luoghi invece anche i normali cittadini possono impiastricciarsi a detrimento dei loro simili. Per quanto si possano edulcorare gli individui con grandi proclami e costituzioni (nate comunque dalla violenza), essi non restano che animali da ripartire in prede e predatori. Ha senso mettere al mondo qualcuno che debba accettare preventivamente tutto questo? Secondo il mio trascurabile parere assolutamente no.

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Apr

La polizia, il pappone e Juju

Pubblicato giovedì 9 Aprile 2009 alle 02:17 da Francesco

Ieri ho rimediato una bicicletta economica e ho pedalato tutto il giorno per le vie di Tokyo, ma precedentemente, nel corso della mattina, ho fatto un giro a piedi dalle parti di Asakusa per vedere alcuni templi. Mi piace la fede pacata e discreta con la quale i giapponesi omaggiano i simulacri buddisti e scintoisti; trovo che sia una religiosità molto lontana da quella del peccato originale e dai sensi di colpa che caratterizzano alcune correnti cristiane di cui ritengo che il cattolicesimo sia l’esponente principale per quanto concerne questi aspetti. Nei pressi di Iidabashi sono stato fermato da due poliziotti per un controllo dei documenti. La coppia di agenti è stata molto gentile e alla fine mi sono messo in posa con uno dei due mentre l’altro ha effettuato lo scatto: incredibile. Penso che una cosa del genere non potrebbe mai accadere in Italia. Tra l’altro uno dei due poliziotti ha notato la maglia della nazionale giapponese che indossavo e mi ha detto per due volte: “Soccer!”. Prima di andarmene gli agenti si sono scusati per il controllo e poi mi hanno salutato: “Have a nice day and be careful”. Io a questo premuroso avvertimento ho alimentato la brutta fama dell’Italia: “Thank you but I think Tokyo is much safer than my country”.

Qualche giorno fa ho conosciuto Juju, un chitarrista di strada che ho incontrato dalle parti di Shinjuku e al quale ho anche comprato un disco. Costui ha pure una home page: http://fweb.midi.co.jp/~juju/. Mi sono avvicinato a lui seguendo il suono del suo grandioso tapping!

Sempre a Shinjuku ho conosciuto un personaggio davvero grottesco, un individuo che sembrava uscito da uno di quei film polizieschi degli anni ottanta che guardavo da ragazzino. Questo tizio è un pappone australiano che cerca clienti stranieri lungo le strade di Shinjuku e si fa chiamare Charlie; io a lui mi sono presentato con la stessa sincerità e gli ho detto di chiamarmi Raffaele. Charlie ha capito subito che non avrebbe rimediato uno yen bucato da me, ma evidentemente gli sono risultato simpatico poiché ha risposto a ruota libera ad alcune delle mie domande. Gli ho chiesto quale fosse oggigiorno l’attività principale della Yakuza e lui mi ha detto che l’organizzazione si dedica principalmente al traffico di droga e al gioco d’azzardo via Internet. A suo dire lui conosce qualche membro della Yakuza e prova rispetto per loro mentre nutre un odio immenso per i nigeriani che a suo avviso sono rei di essere dei “motherfuckers”. Alla fine ho fatto credere a Charlie di essere in Giappone per tastare il terreno in modo da capire se sia una terra fertile per cominciare un’attività poco legale e così mi ha detto quanto segue, a grandi linee e per quanto io ricordi: “I can sell everything for you in this area, if you can import ecstasy from overseas, that’s the best, here the police is weak, no experience”. Penso che prima o poi questo gioco del finto narcotrafficante finirà con il mettermi nei casini, ma lo trovo divertente, educativo e interessante. Quando mi sono congedato da Charlie sono stato fermato nuovamente da un negro che mi ha chiesto se volessi entrare in un locale, ma io gli ho risposto: “I’m from Italy, I know how it works”. Questo tizio ha sorriso e poi mi ha dato la mano: “Okay man, take care”. In realtà la mia nazionalità non c’entra nulla, la street knowledge ormai la si può ricavare estrapolando le parti autentiche da determinate forme di intrattenimento che si occupano di temi del genere e dalla cronaca nera sia nazionale che internazionale di cui sono sempre stato un po’ appassionato; questo è il caso di dire che tutto il mondo è paese. A parte le storie di qualche gangster della domenica, ogni giorno che passa trovo Tokyo sempre più bella e piacevole da vivere.

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