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Oltre le turbolenze

Le ferite narcisistiche si sono rimarginate, l’Io e i suoi fratelli sono rientrati nei ranghi, è venuta meno l’utilità delle più cupe fantasie e sulle macerie dell’incantamento una desolazione foriera di nuove prospettive ha trovato la propria epifania: tutto qua?
Ho seguito l’intero decorso della mia disfunzione emotiva come se ne fossi stato io l’artefice, il deus ex machina, ma ancora una volta l’introspezione ha rivelato la mia tendenza strutturalista. Al di là dei paroloni (o immediatamente prima) si trova un silenzio più consono alle circostanze e nient’affatto rivelatore: per renderlo mistico dovrei ordinare dei pezzi di ricambio compatibili con la mia indole. Forse a restarsene chiusi tra gli infrarossi e gli ultravioletti si rischia di sviluppare una forma di claustrofobia esistenziale: è disarmante quanto v’è d’inosservabile tra le anguste strettoie del visibile. Non voglio scadere nell’ontologia né in audaci e inutili cerebralismi, ne ho le palle piene delle elucubrazioni, ma cerco di restare attonito il più a lungo possibile davanti alla precarietà della vita perché non confido nell’imminenza di altre meraviglie.
Adesso non ho progetti a lungo termine e la mia attenzione agisce a corto raggio, sicché non ho un posto dove ripararmi dalle folate del futuro che sferzano il mio atollo; e tutt’attorno l’oceano. Qualche volta ho la sensazione che la strada più agevole per l’avvenire si snodi a ritroso, lungo le profonde e insondabili radici genealogiche, laddove i nomi e le azioni dei miei antenati sono tutt’uno con la dimenticanza. Potrei imparare molto dalle esistenze che mi hanno preceduto se mi fosse concesso di vederne le repliche sul grande schermo della memoria: secolo dopo secolo, a forza di notare sempre gli stessi errori, sono certo che verrei colto da più d’un déjà vu e finirei per guardare il presente a colori, senza prove tecniche di trasmissione.
Chissà tra i miei progenitori qual è stato colui (o colei) che più s’è distinto nella ricerca di sé, in pieno accordo con ciò che è (o non è) il tempo biologico: chissà in quale epoca ha vissuto, quali sono state le sue tappe evolutive e il suo ultimo pensiero, il moto di congedo della sua mente. Che il progresso tecnologico espanda i limiti dello scibile è innegabile, ma oltre al sapere v’è un ordine di problemi che riguarda l’essere e per quest’ultimo forse la strada è già stata battuta in tempi lontani: le orme sono molte ed è difficile capire quali siano quelle da seguire, ammesso e non concesso che poi debbano portare da qualche parte. In fede, io e il mio ateismo.

Francesco

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