Categories: Parole

Mi scrivo

Arrivo spesso a un punto morto e non ne ho alcuno di riferimento, ma riesco sempre a trovarne uno d’osservazione. Guardo in avanti perché non ho gli occhi di dietro né il vizio della nostalgia, però non mi perdo nella stantia retorica di chi illude se stesso che vi siano alternative all’avanzata nel tempo: come tutti gli altri non posso che seguire l’andamento dell’entropia e le sue implicazioni più o meno dirette. Mi lascio trascinare dalla corrente mentre cavalco un coccodrillo di gomma.
In questo periodo non nascondo una certa e persino piacevole malinconia, però nemmeno la metto su un piedistallo in bella mostra: non sono né suo complice né suo delatore e arraffo quanto di buono mi concede. La primavera mi piace, ma produce in me moti d’animo che all’apparenza si contraddicono o si annichilano, come se vi fosse un rendez-vous di particelle e antiparticelle.
Il mio accentuato isolamento mi giova oltremodo perché mi concede vantaggi concreti, ma al contempo mi preclude ciò di cui l’attuale stagione è sovente simbolo o allegoria. In effetti sono regioni di cui non ho mappe né indizi, terre ignote ove non mi sono mai avventurato, ma almeno non passo l’estate in qualche villaggio vacanze a fare balli di gruppo: non si può avere tutto nella vita, o forse, a volte, sì. Posso parlare e scrivere a malapena per me stesso, con me stesso e in me stesso: così faccio da decenni. I miei dialoghi interiori, di cui queste righe infinite sono una delle molteplici espressioni, costituiscono un attenzione verso il mio Sé, l’amor proprio, la cura nel senso d’aver cura di me e, talora, anche della guarigione. Tendo a ripetermi perché mi faccio eco non una, ma più e più volte. Mi piace passare le mani sul mio volto rasato: detesto la peluria.

Francesco

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