Preferisco un sano pragmatismo alla maggior parte di convinzioni ideologiche, dunque non è per l’astratto concetto di pace se credo che il piano di riarmo europeo sia il frutto avvelenato di menti malate. A suo tempo la Grecia, la quale aveva certamente delle colpe, non ricevette subito l’aiuto necessario per sostenere le proprie finanze e fu costretta a misure draconiane da un piano di rientro che si tradusse in macelleria sociale: all’epoca, nelle stime più pessimiste, sarebbe bastato un prestito pari a un terzo della cifra oggi prospettata per i futuri armamenti.
I maggiori partiti italiani hanno sostenuto il riarmo seppur in misura diversa, tuttavia questa larga convergenza dimostra come votare non serva a una sega giacché, in un sistema rappresentativo, le idiozie sfiorano spesso l’unanimità: questo, insieme alla pigrizia, è uno dei motivi per cui non mi reco a un seggio elettorale da dodici anni. Per mia fortuna non ho né voglio figli e quindi, in una certa misura, posso sbattermene le palle di tutto ciò. Mi diverte come la propaganda europea sia pari a quella russa, né più né meno: ognuno tira l’acqua al proprio mulino, a costo di affogarcisi.
Io non combatterei mai la guerra di altri e se ci fosse la coscrizione diventerei un disertore. Potrei ammazzare qualcuno se fossi costretto a difendermi, ma non andrei mai a sparare contro degli sconosciuti per onorare una bandierina o il nome su una carta geografica.
Secondo me certi slanci novecenteschi sono oggi anacronistici. In larga parte non esistono più le patrie, ma soltanto nazioni che sono gestite come aziende, luoghi dall’identità in caduta libera in cui la retorica del passato non può attecchire come succedeva una volta: è nell’ordine delle cose poiché le cose stesse mutano e nulla resta statico.
In ogni caso all’amor patrio preferirò sempre l’amor proprio.
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