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Lettere morte

Le parole al vento non volano nei giorni in cui a spirare sono soltanto i corpi, perciò spesso restano dove sono state pronunciate, in balìa d’ogni calpestio e obliate prima di tutto dalla loro caduta verticale. Talora sembra che non resti molto da dire e in altre circostanze è come se nulla fosse mai stato detto. Non sono in grado di associare precisi inizi a finali certi, ma non me curo perché la mia testimonianza non è vincolante. Talora le migliori intenzioni non scendono in campo per giocare, bensì vengono reclutate per la raccolta delle altrui paturnie: l’empatia è un lavoro stagionale. Non so spiegare a cosa serva cercarsi all’interno di terzi quando è possibile farlo già dentro di sé stessi, ma d’altro canto ci sono cose che mi sfuggono mentre io manco le inseguo. Non mi considero una minaccia fantasma, tuttavia valuterei l’idea di travestirmici se fosse mio costume (appunto) festeggiare la notte di Halloween.
Abito le ore che mi sono più prossime e non ho appuntamenti da confermare né da cancellare, o almeno non d’importanti. Ci sono entusiasmi di cui sono il sano e solo portatore, ma è difficile tradurne la portata e gli effetti: per mia fortuna io non devo imbastire uno spettacolo itinerante sui miei moti interiori e le loro varianti. Di solito non rubo con gli occhi né con le mani, però se ne fossi in grado mi approprierei del futuro. Non voglio fare mio qualcosa, ma recuperare quanto già custodisco a mia insaputa.
Perché delegare ai posteri l’ardua sentenza quando si può sollevare i primi dalla seconda e la seconda da sguardi indiscreti? Ai silenzi di nulla e nessuno le spoglie di tutto.

Francesco

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