Ieri sera, appena imboccata la Prenestina, ho visto volare un oggetto non identificato: apparteneva a una meretrice che lo aveva appena lanciato contro un’auto di grossa cilindrata.
Soltanto la presentazione di Lemures del Balletto di Bronzo (trio di cui avevo già visto due concerti) poteva convincermi a rimettere piede nella Caracas italiana: ne è valsa la pena perché alla fine ho rimediato anche una delle bacchette.
Ys uscì nel 1972, album occulto e di culto, imprescindibile e avanti di almeno cinquant’anni, perciò era nell’ordine delle cose che il suo seguito, Lemures, fosse pubblicato mezzo secolo più tardi. Dal vivo Gianni Leone e i suoi accoliti formano sempre un unicuum, qualcosa di alienante nelle molteplici accezioni del termine: paragoni non possono essere fatti, livello massimo, l’oltre-prog, “cosa altra” come si dice in certi ambienti.
Il concerto di ieri è avvenuto in una dimensione raccolta, quella del Traffic Club di Roma, circostanza a me congeniale per apprezzare le esibizioni dal vivo, ma credo che il Balletto di Bronzo meriti cornici più importanti come non di rado trova all’estero: nemo propheta in patria. Tra Ys e Lemures colgo una continuità eccezionale che forse non poteva avere altro tempismo, in pieno rispetto del cosiddetto kairos, ma non voglio scadere in una stucchevole idolatria e preferisco che siano i dischi a parlare in una lingua sconosciuta ai più.
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