La realtà si frappone fra i soggetti e le interpretazioni che i secondi dànno della prima, perciò le cose in quanto tali non aderiscono quasi mai agli arbitrari stampi delle altrui aspettative e da questa frequente incompatibilità, a mio parere, scaturiscono i molti mali degli individui e delle masse. È un meccanismo facile da riconoscere, ma forse arduo ne è il sabotaggio giacché esso definisce i rapporti tra le persone e le astrazioni che ne fanno da collante, perciò ogni serio tentativo di alienarsene implica la rinuncia a delle sovrastrutture sociali le quali, invero, io reputo del tutto sacrificabili. Per paradosso simili intuizioni sono contrarie all’intuito ed è giusto che siano sottoposte a un esame costante anche da chi decida di perseguirle per il proprio bene o per la strenua ricerca di un innalzamento che esuli da gerarchie e riconoscimenti.
Secondo me l’unico approccio salvifico all’esistenza, qualunque cosa ciò significhi, è descrittivo e, per quanto possibile, si pone al di là delle bene e del male per eludere tali categorizzazioni quando non siano strettamente necessarie. Scrivendo di codeste cosucce mi tornano alla mente le parole che pronuncia il personaggio di Steiner ne La dolce vita felliniana, ossia quand’egli solo nella penombra e vicino a una finestra dice a se stesso: “Bisognerebbe vivere fuori dalle passioni, oltre i sentimenti, nell’armonia che c’è nell’opera d’arte riuscita, in quell’ordine incantato. Dovremmo riuscire ad amarci tanto da vivere fuori del tempo, distaccati… distaccati”.
Come si può obiettare alcunché a una simile lucidità? Di contro (in tutti i sensi) questa presa di coscienza può risultare troppo, un peso soverchiante, una pressione eccessiva per quanti non sappiano conviverci e si ritrovino incapaci di contenerne le possibili e pericolose degenerazioni.
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