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Al cospetto dell’Areopago

Mi trovo al centro di una vicenda disgraziata, uno di quegli eventi annunciati che tante volte ho sondato con occhi e orecchie nei servizi di cronaca, ma sto affrontando la cosa con il dovuto distacco, con una forte vocazione all’atarassia e come se non mi riguardasse. Colgo quest’occasione per inseguire ancora una volta la phronesis nelle tenebre degli eventi e dunque nulla mi sorprende. Le difese immunitarie del mio spirito si sono sviluppate negli anni alle pendici dell’Iperuranio, sul pensiero dei grandi filosofi e in seno a un’efficace introspezione.
Legge e giustizia non combaciano sempre e talora risiedono agli antipodi delle cose umane, ma io non ho la facoltà di accorciare le loro distanze e dunque mi rimetto al volere degli dèi. Tutto accade per un motivo: o per insegnare qualcosa al diretto interessato o come risultato di un ritorno karmico. Osservo la prosaicità dei fenomeni ordinari alla luce accecante di una realtà superiore e non chiedo conto della seconda proprio come non pretendo di governare i primi in un’ubriacatura di controllo.
Sarà ciò che dev’essere, com’è sempre stato e come sempre sarà. Le miserie degli esseri umani sono forse le caratteristiche distintive della specie, almeno per quanti non protendano verso le possibilità più alte a loro disposizione. Potrei disquisire su cosa sia la società, per quali ragioni essa nasca e su quali premesse, ma ho disturbato tante volte il signor Hobbes che non me la sento di turbarne ancora il meritato riposo. Nulla permane, né la verità né quanto le si oppone ontologicamente, e questa certezza mi rasserena. Il resto va da sé, allo sbando, nel tempo che gli rimane tra le illusioni di un’attualità sempiterna. Mi raccomando il gallo a Esculapio.

Francesco

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