Con lo pseudonimo di Izdubar (l’errata traslitterazione di Gilgamesh) sto cercando di traslare sul piano sonoro la tecnica dell’immaginazione attiva di Carl Gustav Jung.
Non si tratta di un discorso musicale poiché le regole vengono infrante senza che a monte ve ne sia una piena padronanza, conditio sine qua non per una sperimentazione che non risulti la parodia di se stessa.
Cerco i rumori di fondo dell’inconscio e senza volerlo (cioè, al di fuori della giurisdizione della coscienza) lo faccio con un linguaggio che ricorda certe cose a cavallo del noise e dell’ambient, con qualche inciampo nel post-rock: insomma, un grande casino. La scelta delle immagini segue lo stesso procedimento. Questa cosa di tre minuti si chiama “Italian Poetry”. In tempo per il due giugno.
Chissà come fu il buio a cui si opposero i primi fuochi, quando i giovani…
Mi ha sempre disgustato il puzzo di fumo e per evitarlo mi sono precluso occasioni…
Era da marzo dello scorso anno che non riuscivo a serbare memoria d'un sogno, o…
Con un segno di comando ristabilisco un punto d'equilibrio. Non v'è in me prossimità alcuna:…
Non amo i visi lunghi nel duplice significato dell'espressione e anche a quest'ultima mi riferisco…