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L’invito a morire

Si rinnovano nella mia interiorità le esortazioni a lasciare anzitempo il corpo, eppure queste suadenti offerte non mi convincono affatto e con pari pervicacia continuo a rigettarle. La morte è un’allettante prospettiva, anzi, io la considero proprio un’esigenza metafisica, ma al momento trovo che un’adesione volontaria al suo carattere irreversibile non sia affatto in accordo né con la mia età né con la situazione in cui verso. Tali ragionamenti in me non scaturiscono dalla mestizia o da tumulti emotivi che rispondono ad aggettivi analoghi, ma sono i getti piroclastici di una profonda e prolungata ricerca interiore.
L’introspezione ha un certo margine di errore e soprattutto può esporre a rischi elevati chi la pratichi, nondimeno io non potrei prescindervi neanche se volessi in quanto da tempo immemore mi sono sbarazzato di tutte quelle illusioni che consentano di bloccarne i lavori. Paradossalmente questo periodo di pensieri mortiferi è molto fecondo in quanto mi offre angoli di lettura e prospettive che in altri momenti mi sono preclusi o di cui, tutt’al più, posso azzardare una simulazione. Tali riflessioni si agitano come in un mare di Dirac e condizionano i miei ritmi circadiani, così talora mi trovo a dormire pochissimo per vari giorni di seguito fino a quando non recupero forze e lucidità con una dormita da ore in doppia cifra. Il mio mondo onirico risente di simili oscillazioni e mi offre visioni inedite, intense, angoscianti o di difficile interpretazione, ma comunque ricche di informazioni e di indizi sulle regioni più remote della mia personalità. Non devo morire per mia mano, non ancora, la mia indole non è autodistruttiva, ma seguo la sottile linea che divide l’ultima volontà dalla sua volizione. A mo’ di Ulisse mi lego all’albero maestro per udire richiami pericolosi.

Francesco

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