Mi chiedo quale autocertificazione serva per intraprendere viaggi astrali nel corso di una quarantena. Non mi sento prigioniero tra le pareti di casa, tacite e cementizie testimoni di silenzi proficui, ma provo una sorta di claustrofobia cosmica perché la mia specie non è ancora riuscita a stabilire una linea diretta tra la Terra e Proxima Centauri.
Contagio il presente con la mia estrema lucidità e così intravedo il suo lento transito verso una dimenticanza che, prima o poi, sarà definitiva, ma quest’inesorabile processo di sparizione non mi rattrista né m’inquieta come invece soleva fare in tempi ostili, quando erano frequenti e cruente le schermaglie tra le gli circostanze e la mia mente.
Di me non resterà nulla, tuttavia è proprio dal nascente senso della perdita che posso riscattare ciò che ho impegnato finora per garantirmi un’esistenza ordinaria, ossia le intuizioni dell’infanzia. È destinata a crollare la sala delle memorie, nelle cui colonne sono intagliati i più intimi affetti, dove nicchie levigate dal passato custodiscono i ricordi capitali della vita vigile. A tempo debito non potrò più ignorare il richiamo che giunge da strade ignote e lontane, dove forse si attardano quelle verità ultime alle quali ancora non so conferire né ruoli né sembianze. Mi mancherà ciò che non mi manca e di cui comunque ora mi è preclusa una mancanza autentica.
Queste sono prove tecniche di assenza e smarrimento. Ogni singolo istante può fagocitare i suoi analoghi pregressi e qualunque senso apparente che lo abbia preceduto per mesi, anni, decadi, ovvero variazioni impercettibili nei ritmi del cosmo, ma proprio a un tale culmine può dimostrarsi rivelatrice la spada di Damocle, quando smetta di pendere minacciosamente e si abbatta in un colpo inspiegabile, a volte mortale.
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