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Solipsistiche variazioni sul tema

Esistono forti anomalie nel campo dei rapporti umani, ma lo sviluppo di un Sé coeso garantisce una buona schermatura contro un simile genere di disturbi. Veleggio a metà della mia terza decade, in perfetta equidistanza tra speranze anacronistiche e rese precoci, difatti all’orizzonte non scorgo né una terra né i profili di altri vascelli. Il cielo terso mi ricorda un silenzio imperfetto e pacificatore, invece le piogge improvvise mi fanno venire in mente profluvi di parole inutili e sterili che solo a volte si fanno apprezzare come rumore di fondo.
Comprendo il piacere frivolo di comunicare con altri individui nella vanesia illusione di una qualche reciprocità, però mi lascia perplesso l’urgenza di chi non sappia farne a meno. Non capisco per quale ragione sia indispensabile la considerazione di qualcun altro, come se un messaggio o un’esternazione perdessero i loro significati intrinseci o valessero di meno a causa dell’assenza di un ricevente; come se la misura per l’ingegno di un’opera fosse data dalla sola fruizione di quest’ultima.
M’è caro il concetto di aseità benché io lo trasli dalla scolastica a una dimensione individuale e introspettiva. Senza le luci della ribalta v’è un risparmio energetico d’indubbia portata, specialmente qualora il gioco non valga la ben più ecologica candela, ma non posso negare come, in determinate casi, risulti auspicabile una concentrazione di occhi su certe manifestazioni antropiche e ciò, di norma, per ragioni più valide di quella comunque legittima che sovente scaturisce da un’infantile ricerca di attenzioni.
Nel solipsismo v’è qualcosa di mirabile, ma immagino che una sua applicazione parziale e circostanziata offra più di quanto se ne possa ricavare da una rigida osservanza. Se la realtà fosse statica anche la sua controparte soggettiva potrebbe godere di certezze a lei speculari, ma pare che le cose siano più complicate di quanto ogni pressappochismo sia disposto ad ammettere.

Francesco

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