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Detriti temporali

Mi rincuora la vista di un orizzonte crepuscolare che sfugge a ogni mia maldestra ipotesi e ancora godo del mio soggiorno su questo pianeta. Canti antichi, insistenti e ripetitivi destano in me forze sopite di cui ancora ignoro la vera portata.
Non ho punti di contatto con i miei simili, così come alcuni di essi non ne hanno tra di loro e dunque l’incomprensione rientra nella normalità, nello stato di fatto, qualunque esso sia. Sono un territorio inesplorato di cui io stesso non conosco bene i confini e mi chiedo quanto ancora possa scoprire sul mio conto. Tante metafore mi si parano davanti come se fossero meteore, ma il loro ricorso non lascia segni evidenti oltre a una prima impressione, anch’essa suscettibile d’incuranza. Non so cosa farebbe qualcuno se fosse al mio posto poiché io non sono al suo e anche se fosse possibile invertire i ruoli troverei tutt’altro che igienico un repentino cambio dei panni. A volte mi chiedo se l’esistenza umana sia l’esito di un intervento postoperatorio, poiché se così fosse capirei meglio quanti si fascino la testa prima di rompersela. Non mi stupisco di chi non sappia più stupirsi di nulla, ma io non mi annovero tra costoro perché intuisco la presenza sempiterna di realtà intangibili e conoscenze ineffabili da cui non pretendo l’onere della prova.
Veleggio nell’incostanza di eventi che tradiscono le proprie premesse, però non bado più di tanto alle condizioni variabili e cerco qualche riferimento al di là delle magnitudini apparenti, dove l’occhio si perde col rischio di darne uno in più alle Graie. Accolgo il divenire così com’egli accoglie me, in un gioco di cicli ineludibili in cui gli opposti si annullano in nozze mistiche.

Francesco

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