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L’indagine interiore

Ci sono dei giorni in cui mi sento alla deriva, del tutto perso in quest’oceano privo di senso che è la vita mortale. Non ho aspirazioni ultraterrene e non mi aspetto una promozione celeste sul campo, ma tutt’al più nei campi elisi. A volte penso a come il tempo riesca a passare in sordina per molti anni, senza destare stupore alcuno prima che, improvvisamente, scateni dei dubbi ferocissimi su come sia stato impiegato fino a quel momento.
Invero sono molte di più le giornate in cui sono in sintonia con la realtà che mi circonda e di cui faccio parte, perciò non presto troppa attenzione alle ciarle di una saltuaria stanchezza e ne rido sguaiatamente ogni volta che torno in forze. La mente è un congegno miracoloso, però è anche capace di tiri mancini ed è per questa ragione che una volontà tenace deve contenerne l’esuberanza, o almeno questo è quanto presuppongo per me stesso.
Al di là delle prassi quotidiana, comprensiva di tutte le sue bizzarrie ed efferatezze, v’è di certo una porzione della realtà che è del tutto inedita per i sensi, ma di cui è difficile scandagliare già la sola superficie: non è solo la Luna che possiede una faccia nascosta. Sempre più di sovente avverto in me la forte necessità di avvicinarmi a una dimensione che sia altra da quella che mi è dato d’esperire ogni dì, ma al contempo mi guardo bene dalle trappole dall’autosuggestione e dal facile fascino di certi esotismi. Nutro la convinzione che sia possibile produrre in sé stessi dei temporanei cambiamenti organici per fare un uso insolito delle proprie funzioni cerebrali, però senza l’ausilio di sostanze psicotrope e quindi con un protocollo privo di effetti collaterali.
Mi auguro che prima o poi da una mia esperienza inedita io possa raccogliere qualcosa di cui scrivere con cognizione di causa, ma non è escluso che tutto finisca in un nulla di fatto, come forse l’esistenza stessa.

Francesco

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