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Gestalt

Tempo fa la psicologia della Gestalt e il suo approccio olistico nell'analisi della realtà mi hanno fornito lo stimolo per approfondirne le speculazioni. A tale riguardo ho letto un libro di Gaetano Kanizsa, "Grammatica del vedere", e la parte che più ha suscitato il mio interesse è stata la spiegazione della differenza tra vedere qualche cosa e pensarla.
Di primo acchito una simile precisazione può sembrare scontata, pleonastica e tautologica, ma secondo me offre più di qualche spunto e trovo una prima conferma di quest'idea nella difficoltà d'operare una distinzione abbastanza netta tra le due attività in esame. Qualcuno per ovviare a questo problema ha proposto di ritenere pensiero e percezione due fasi dello stesso processo, ma secondo me Kanizsa ha giustamente liquidato tale espediente come una scotomizzazione.
Quando l'occhio incontra una parola a cui mancano una o più lettere questa viene comunque letta come se fosse stata scritta correttamente, di conseguenza da un esempio così classico si evince quanto il cervello vada al di là dell'informazione fornita e personalmente trovo questo punto già sufficiente per sposare la prospettiva gestaltista. Un altro argomento a favore di tale posizione fa leva sui cosiddetti criteri di completezza che agiscono in modi diversi sul pensiero e sulla percezione: con una breve ricerca sul web è possibile raccogliere numerose immagini tramite cui capire come, ad esempio, la simmetria sia una discriminante preminente nel pensiero e risulti secondaria nel campo delle percezioni, dove invece la convessità e la continuità di direzione assumono un'importanza maggiore. Dell'ulteriore acqua al mulino di Kanizsa è portata dagli innumerevoli fenomeni di completamento amodale, ovvero quei casi in cui ciò che viene visto non ha una corrispondenza fenomenica, ma questa è resa a livello cognitivo: insomma, di ciò che manca si occupa l'intuito. Se volessi approfittare dell'occasione per essere semplicista e categorico potrei affermare che non occorre la psicologia della Gestalt per sapere che niente è come sembra, però la questione è un'altra e pone l'accento su come la realtà oggettiva venga mediata nel soggetto da fattori di vario genere che gli sono intrinsechi, non ultimi quelli emotivi.
A mio modesto avviso in alcune trattazioni la straordinarietà non risiede nelle teorie proposte o nei grandi impianti speculativi che le sostengono, ma nella capacità di comprendere davvero cosa implichino e come si ripercuotano nella vita d'ogni giorno.

Francesco

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