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E la mestizia m’accusò di lesa maestà

Calpesto pezzi di vetro o frammenti vermigli di cuori infranti? Guardo coloro che sono caduti prima di me e faccio un passo di lato per non rientrare nell’effetto domino. Esistono storie che non sono mai state raccontate, dei supplizi consumati nella quotidianità più crudele e delle lacerazioni profonde che hanno reso vane intere esistenze. Ho consultato la pinacoteca degli orrori presso gli occhi di certe persone e nelle memorie di quelle le cui palpebre si sono serrate anzitempo. In alcuni casi ho dovuto limitare l’empatia per non soccombere, ma ho imparato più di quanto questa stessa retorica possa evocare per ingloriarsi.
Mi sento come se avessi indagato degli abissi catramosi e ne fossi uscito con le ali immacolate. Non mi crogiolo in un’identità che vuole slegarsi da tutto il resto poiché il mio obiettivo è esattamente il contrario, difatti consiste nel rendermi parte della realtà accessibile senza però snaturarmi. Ormai più che incipiente, la primavera giunge al momento giusto, ma un giorno anch’essa scomparirà. Non chiedo niente al tempo e soltanto la mia prosa è l’ambasciatrice di istanze che devono guardarsi dalle fiamme dei fuochi fatui. Il mio non è un cuore di ghiaccio, tutt’al più ignifugo perché la passione deve ardere assidua e non carbonizzare le anime. Il tempo che ho davanti è un corridoio invitante, idoneo per un ulteriore slancio, per prendere l’abbrivo necessario a compiere un salto sopra il prossimo burrone senza così finirci dentro, né con i piedi di piombo né con la testa fra le nuvole.

Francesco

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