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Orgoglio e pregiudizio

L’altro ieri ho finito di leggere “Orgoglio e pregiudizio”. Devo riconoscere a Jane Austen uno stile mirabile senza cui non sarei stato in grado di sopportare la melensaggine della storia. Ho scelto di sorbirmi un romanzo rosa nel momento in cui ho scartato Bukowski, ovvero quando da alcuni estratti di quest’ultimo ho constatato come alla sua scrittura manchino la crudezza di Céline e la poesia visionaria di Jack Kerouac benché si proponga di cingere demoni simili: inutile ripetermi. Nel caso della Austen ho apprezzato più la forma del contenuto e d’altronde mi sarei sorpreso se fosse accaduto l’esatto contrario. Secondo me questo libro ha delle colpe che lo collocano al di là del genere rosa, difatti per ciò che ha cagionato io lo considero il manifesto di un nichilismo ginecocratico. Invece della produzione di Elizabeth Bennet in quantità celestiali, sospetto che la lettura di “Orgoglio e pregiudizio” abbia dato slancio a molte Charlotte Lucas e Catherine de Bourgh. I maschi non devono neanche sforzarsi di sfogliarne le pagine, difatti tra di loro è più facile trovare un Wickham che un signor Darcy. Quante somiglianze ravviso tra le isterie che s’intuiscono in mezzo alle pruderie dell’Inghilterra che fu e quelle oggi ascrivibili all’apparente emancipazione del genere femminile! Basta cambiar la scocca agli errori per costruirci sopra l’illusione di grandi cambiamenti. A seguito di questa lettura non penso di conoscere qualcosa in più dell’universo femminile, però credo di averne ricavato dei paralogismi che sfoggerò all’uopo.

Francesco

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