Sono arrivato a Taipei tramite due voli della Cathay Pacific. Ho preso in affitto una stamberga nelle periferia della città e ho inalato quantità letali di smog. Sono circondato da palazzi fatiscenti e da mille esercizi commerciali che spuntano ovunque come le macchie di Köplik durante il morbillo. Il caos della città mi ricorda quello di Seoul sebbene la capitale sudcoreana abbia dimensioni maggiori. Il cibo non costa molto, specialmente alle innumerevoli bancarelle che occupano i marciapiedi e confinano con le officine: adoro questo scenario decadente! Io mi trovo nei pressi di Jingan, a Jhonghe City, ovvero a circa sei chilometri dal centro della capitale. Ho fatto un giro di perlustrazione della mia zona e non ho incontrato neanche un occidentale tra le strade del suburbio. La vista della mia stanza dà su due palazzi che a mio modesto avviso non hanno nulla da invidiare alle Vele di Scampia. Mi aggrada la sistemazione che mi sono trovato e malgrado le apparenze non credo che i dintorni formino una zona malfamata. A Taiwan il tasso di criminalità è piuttosto basso, ma io sono sempre guardingo anche se non lascio trasparire la mia prudenza. Nel vicinato figura anche un bambino che si esercita con il flauto (o con qualche altro strumento a fiato) e questo musicista in erba allieta tutti con lo stile incerto delle sue stonature. Non conosco neanche una parola di mandarino, ma riesco a farmi comprendere attraverso gesti semplici e sufficientemente eloquenti. In giro sono già riuscito a riconoscere il significato di qualche ideogramma che ho incontrato più volte nel mio blando approccio alla lingua giapponese. Nei prossimi giorni mi dedicherò alla visita di Taipei per poi fare qualche salto in altri punti dell’isola, ma prima devo riprendermi dal jet lag che questa volta si è fatto sentire pesantemente su di me. Le prime impressioni sono buone e so già che ne avrò persino di migliori.
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