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Corsi di studio e percorsi di guerra

Talvolta penso che alcune persone investano cinque anni della loro vita in un ateneo per conseguire il diritto a lamentarsi. Una volta una ragazza ha discusso con me per questioni condominiali e mi ha fatto notare più volte i suoi titoli di studio: “Io mi sono laureata due volte”. Porco dio, complimenti, ma non me ne frega un cazzo. Avere un pezzo di carta può essere bello e appagante, ma credo che risulti inutile qualora venga utilizzato esclusivamente per pulire le vie rettali o per sbandierare una cultura fatta di nozioni accademiche. Questa tizia era (e immagino sia ancora) la classica idiota che si sente un personaggio picaresco poiché malgrado la sua estrazione sociale è riuscita a ottenere un riconoscimento da quello Stato che lei contesta puntualmente per partito preso. Ovviamente nel mondo delle università gravitano anche laureandi e neolaureati che sono spinti verso lo studio da una vera passione; persone che sacrificano una buona parte del loro tempo per fare ricerca in condizioni precarie e che a mio avviso rappresentano lo strato migliore di una nazione a cui non vengono versati mai abbastanza tributi (in tutti i sensi). A distanza di quasi sei anni sono felice di non essere andato all’università, tuttavia ho un lieve rammarico perché se a quel tempo le mie condizioni psicofisiche fossero state simili a quelle attuali avrei tentato di entrare nella Legione Straniera e questa non è la prima volta che lo appunto qua sopra. La ferma minima della Légion Étrangère è di cinque anni, più o meno quanto occorre per ottenere una laurea, ma in compenso si tratta di un’esperienza formativa molto più esclusiva di quella universitaria, inoltre è anche remunerativa e dopo un lustro permette di rimpatriare con un bel gruzzolo in tasca. Io conservo ancora il rimpianto tollerabile di non avere provato una simile avventura, ma se oggi, in un tempo di crisi globale, mi affacciassi alla maggiore età senza alcun talento (come per altro ho dimostrato ampiamente) proverei senz’altro a svoltare in questa maniera. A me piace essere pragmatico, perciò non mi affido molto al modo in cui le cose dovrebbero andare e cerco di attenermi al modo in cui le cose vanno effettivamente. Ho quasi venticinque anni e ho impostato la mia esistenza in un modo che si confà alle mie modeste esigenze, perciò mi tengo stretto il titolo di “bamboccione” che a suo tempo Padoa-Schioppa dette giustamente ai ragazzi come me: comunque l’ex ministro non si riferiva indiscriminatamente a tutti i giovani italiani come riportarono alcuni organi di informazione che innescarono le solite polemiche pregne di sterilità. C’è sempre qualcuno che pensa di saperla più lunga dei suoi simili in termini oggettivi e secondo me questa convinzione mina qualsiasi bagaglio culturale. Ho l’impressione che le necessità assiomatiche impartiscano lezioni controproducenti. Non voglio imparare a credermi più furbo del mio prossimo perché non ho bisogno di questa forma perversa di agonismo per sentirmi bene, però talvolta devo deflettere con ironia le stupidaggini che provengono da chiunque gareggi con l’idiozia solipsistica per raggiungere le proprie ambizioni egocentriche.

Francesco

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