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Il Mostro di Firenze: aneddoto laziale

Alcuni anni fa trascorsi diversi giorni in un campeggio di Castel Fusano per questioni scolastiche e mi trovai insieme ad altre persone che erano là per gli stessi motivi. Una mattina andai a fare colazione in un complesso che era vicino al mio bungalow. Accanto me si sedette un uomo sardo che mi disse di essere un parente di Mario Vanni. Supposi che quell’uomo fosse stato richiamato dal mio accento toscano e pensai che avesse colto l’occasione per fare quattro chiacchiere di prima mattina. Costui mi disse la sua opinione sul celebre caso de “Il Mostro di Firenze” e mi spiegò che non credeva alla colpevolezza di Vanni. Il nostro dialogo durò poco e ne persi celermente i dettagli, tuttavia ne rimasi sorpreso perché avevo seguito con attenzione l’iter processuale e le vicende dei cosiddetti “compagni di merende”. Questo aneddoto mi è tornato in mente qualche giorno fa e ho deciso di appuntarlo qua sopra per rileggerlo in futuro. Prima di concludere voglio sottolineare l’atmosfera grottesca che vigeva durante le deposizioni degli imputati e dei testimoni. Penso che il processo a Pietro Pacciani sia una delle più forti commistioni di comicità e tragedia che io abbia mai visto a causa dei caratteri caricaturali di coloro che ne hanno preso parte. Ovviamente non ho assisto direttamente alle vicende giudiziarie, ma ho visto molte trasmissioni che le hanno trattate approfonditamente e tra queste alcune puntate datate di “Un Giorno In Pretura”.

Francesco

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