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I cancelli chiusi

Due giorni fa sono uscito di casa con un paio di pantaloni da ginnastica del Liverpool e una maglietta di Ken Il Guerriero. Era pomeriggio, pioveva a dirotto e per due chilometri ho impugnato un ombrello malandato che in seguito ho abbandonato con cura vicino a dei cassetti della spazzatura. Non ho cantato sotto la pioggia come Gene Kelly, ma sono entrato nella stazione ferroviaria del mio comune e ho comprato un biglietto di sola andata per Roma. Successivamente mi sono diretto al terzo binario per attendere il mio treno, ma prima ho speso qualche secondo per ridere della bruttezza dei graffiti amatoriali che si trovano nel sottopassaggio della stazione. Ho atteso alcuni minuti dietro la linea gialla della banchina e poi mi sono accomodato nelle scomodità esose di Trenitalia. Dopo un’ora e cinquanta minuti ho raggiunto la capitale e ho mangiato un boccone alla stazione di Termini, poi ho preso la linea B della metropolitana e sono sceso a una delle ultime fermate dell’EUR. Ho camminato per un po’ e alla fine ho raggiunto il Palalottomatica per vedere il concerto dei Dream Theater e dei Symphony X, ma non sono riuscito a trovare un biglietto e ho partecipato brevemente allo sconforto degli alti esclusi. Mi sono lasciato alle spalle le orde di venditori partenopei che erano asserragliate davanti al Palalottomatica e ho compiuto il viaggio di andata al contrario. Non pensavo che i Dream Theater e i Symphony X facessero il tutto esaurito a Roma poiché il giorno precedente avevano già suonato a Bologna e l’indomani erano attesi per un’altra data nel meridione.

Francesco

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