Assistiamo alla caduta di un’altra intesa. Accenniamo coralmente brevi sospiri per cadenzare i riti del silenzio e compiamo abluzioni lacrimose mentre il cosmo muta lentamente. Siamo clandestini e tentiamo di intrufolarci nell’Olimpo, ma ogni volta i nostri limiti ci scortano fino al giaciglio di Bellerofonte e ci intimano di non violare mai più i confini aulici. Non crediamo a chi ritiene che il bene sia solo il frutto dell’assenza del male e sembra che la nostra genia non possa fare a meno di confidare eccessivamente nelle ricompense illusorie di un merito congenito. Pensiamo che tutto ci sia dovuto perché siamo stati abituati a crederlo da chi ci ha preceduto, ma la realtà è tremendamente diversa e talvolta la nostra indole non è in grado di accettarla. Parliamo continuamente, ma proferiamo soltanto frasi vuote e lasciamo che il peso dei nostri concetti cada sui nostri cuscini quando spegniamo le luci. Ci nutriamo con cucchiai di spocchia e ci sentiamo legittimati a fare ciò che non vogliamo subire, ma non riusciamo ad accorgercene nemmeno quando ci viene somministrato un castigo per curare una patologia delittuosa. Dissertiamo sui problemi dell’habitat mentre la nostra personalità va a fuoco e ci illudiamo di dare una soluzione agli estranei quando non riusciamo nemmeno a dare una rappresentazione elementare dei nostri problemi. Sia fatta la volontà della nostra indolenza.
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