Meccanismo introspettivo

Abito davanti alle porte dei miei bisogni e ogni giorno seguo con lo sguardo il veloce andirivieni dei desideri inespressi. Qualche volta parlo da solo a voce alta e racconto a me stesso frammenti del mio passato. Non ho molti argomenti a disposizione e sono egocentrico per necessità. Il solipsismo mi suggerisce le parole e io mi limito a metterle in ordine sopra queste righe. Ho abitutidini da pensionato e impulsi da orfano pubescente. Vivo al di là della mia età e non riesco a dare un senso al mio tempo. Di tanto in tanto mi diverto a scacciare piccole ossessioni dalla mente. Mi piacciono le nubi e i nubifragi, ma non mi considero un pessimista né un fan delle catastrofi. La pioggia estiva mi ricorda alcuni pomeriggi di tenero isolamento sotto cieli dalle sembianze apocalittiche. La mia esistenza in certi momenti mi fa sentire tutto il suo peso, ma in altre occasioni mi strappa sorrisi così larghi che non riesco a farli stare sulla mia faccia. Sono coccolato dalla consapevolezza di essere un individuo intrappolato nelle proprie percezioni. Non voglio che scoppi di euforia o sensazioni lancinanti traggano in errore la mia vista. Saluto i miei giorni senza la commozione provata dai parenti dei viaggiatori diretti a Ellis Island. Colleziono sforzi fisici, digiuni saltuari, brevi atti di onanismo ed elucubrazioni tanto lunghe quante inutili. Alle volte non riesco ad afferrare dei concetti semplici e non di rado abbandono le trincee della fisicità per rifugiarmi nel sonno. I meccanismi che muovono la mie parole ripetitive sono semplici e datati. Un disegno di Daniel Thibodeau rappresenta perfettamente il mio modo di concepire un certo tipo di ingranaggi.

Francesco

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